.. i . t, . ' . . .. .. . -~ ' .... , .... , ! ; .•. La sfilata dei parenti non avrebbe tardato, dato che alle due porte del cassone, una di fronte all'altra nelle rispettive inferriate, avevano già tolto i lucchetti, per permettere l'accesso. Loro non sarebbero arrivate insieme, ma separate, confuse fra le visite. Albino cercava di immaginare chi sarebbe comparsa per prima, se La Chata, la madre o Mercedes, Meche, con il suo bel corpo, con le sue spalle, con le sue gambe, alata, provocante. (Ma quasi che l'evocazione di Meche, nelle circostanze di questo momento, venisse distorta dall'influsso di nuovi fattori, incerti e pieni di contraddizioni, che aggiungevano al ricordo un'atmosfera diversa, un tocco originale e strano: Meche arrivava dopo essere passata attraverso un'esperienza i cui dettagli Albino ignorava ma che, fin da quando l'aveva saputo, una settimana prima - quando preparavano il piano per introdurre la droga nel Carcere e Polonio aveva pensato di servirsi della madre de El Carajo - rimaneva fissa nella sua mente in un modo o nell'altro, ma alludendo comunque ad immagini fisiche concrete. Con grande esattezza la secondina, in primo luogo, e poi il diverso ed inquietante contenuto che avevano acquistato due parole ascoltate da Albino chissà dove e come - fra infermiere o medici, mentre aspettava per essere visitato per qualche cosa in qualche parte, era come se si trattasse di un sogno o forse si trattava veramente di un sogno -, parole che grazie al loro carattere di circonloquio, condensavano una serie di movimenti e di situazioni molto vasti e suggerenti: posizione ginecologica. La secondina e il suo modo di perquisire un certo numero di visitanti, non tutte, ma in modo speciale quelle che venivano a trovare i tossicodipendenti e fra questi quelli che erano indicati come gli agenti più attivi del traffico all'interno del Carcere: Albino e Polonio. L'avrebbero perquisita in questa posizione ginecologica? Una tale situazione - e le due assurde parole - facevano di Meche qualcosa di leggermente diverso dalla Meche abituale: violata e prostituita, ma STORIE/REVUELTAS senza che ciò costituisse un elemento di rifiuto, anzi al contrario, di riavvicinamento, come se le aggiungesse un nuovo elemento di attrazione di natura indefinita, che Albino non si sentiva capace di formulare. Non gli importava che Meche avrebbe potuto trovarsi in un momento difficile - e glielo avrebbe chiesto con dovizia di dettagli - nel caso di un'esplorazione più o meno eccessiva da parte della secondina, durante la perquisizione: questo lo eccitava con un desiderio rinnovato, dall'apparenza sconosciuta, ed un racconto minuzioso e veritiero di Meche gli faceva immaginare, in futuro, una nuova forma di legame fra loro due, più intensa e completa, a cui non sarebbe di certo mancato un tocco di allegra e disinvolta depravazione, in cui quelle due parole mediche avrebbero svolto, in qualche maniera, un determinato ruolo.) Sebbene il cassone formasse parte della Croce, separato da questa unicamente dalle stesse inferriate che servivano da limite a tutti e due, chiusi li dentro, gli dava l'aspetto di un carcere a parte, un carcere per i carcerieri, un carcere dentro il carcere, attraverso il quale le visite avrebbero dovuto forzosamente passare prima di entrare nel cortile della Croce propriamente detta. Questa era il campo visivo che Albino dominava dallo sportello, una vera tortura. Più in alto dello sportello - che nel caso di una statura media si trovava al livello del petto - Albino doveva starsene chinato, in una posizione assai forzata, per riuscire a mantenere la testa ficcata lì, il che dopo qualche minuto gli aveva prodotto un acuto dolore muscolare al collo e alla spalla, oltre a fargli tremare le gambe in modo ridicolo e mortificante perché dava l'impressione di aver paura. Una volta valicata, da qualunque delle tre donne - Meche, La Chata o la madre - la prima e la seconda cancellata del cassone, bisognava fare qualcosa - un rumore, colpire la porta a calci - in modo che potessero individuare il punto preciso in cui si trovava la cella di isolamento. Naturalmente la cosa migliore, pensò, sarebbe di lanciare un insulto, di gridare un quella bocchinara di tua madre alle scimmie, che stavano lì per questo. L'importante era vederle arrivare, vederle entrare nel cassone e poi in cortile, per avere la sicurezza che tutto fosse andato bene durante la perquisizione, con le scimmie. Quanto a Meche e a La Chata non c'erano problemi: le avrebbero frugate un po' e basta, senza trovare niente. La madre era la cosa importante. Che passi, che passi, quella cogliona di vecchia che passi con i suoi trenta grammi ficcati nel buco. In mancanza di un'altra parola, chiamavano sciopero quanto stava per accadere: sciopero delle donne. Ma prima che Meche, La Chata e la madre salissero fin lì, alla porta della cella, per mettersi a strillare, a gridare, a scalciare, prima che il pandemonio scoppiasse veramente, la madre doveva consegnare loro, anzi a quello che stava con la testa infilata nel vano, il pacchettino con la droga. In questo caso ad Albino, il Battista di turno sul vassoio. Poi, ormai esaltato dalla droga, si sarebbe occupato della morte di El Carajo. Era facile liquidare la faccenda, durante una proiezione cinematografica, nell'ombra. Ficcargli la punta di ferro fra le costole, mentre Polonio gli tappava la bocca, perché sicuramente avrebbe cercato di strillare come un maiale. Certo non lo avevano as59
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