STORII/RIVUILTAS L'occhio di El Carajo adesso brillava con un orrore silenzioso, pieno di stupefazione con cui pareva aver rinunciato a comprendere, all'improvviso, · tutte le cose di questo mondo. senso (sottraendole al caso ed al fatto fortuito di non conoscersi) le relazioni interne che improvvisamente si stavano stabilendo fra Albino, Meche e la secondina, si metteva così, poco meno che metaforicamente, infatti bastava una parola per farne realtà, nella stessa posizione di Meche sotto il corpo di Albino, completamente avvelenata dall'amore dei due adolescenti indostani. Meche non poteva formulare in maniera coerente e logica, né a parole né col pensiero, ciò che le stava accadendo, il genere di questo avvenimento stravolgente ed il linguaggio nuovo, segreto e dalle peculiarità uniche, privative, di cui si servivano le cose per esprimersi, anche se non erano veramente le cose in generale né nel loro insieme, ma ognuna di loro separatamente, ogni cosa a parte, specifica, con le sue parole e le sue emozioni e la rete sotteranea di comunicazioni e di significati, che al margine del tempo e dello spazio, legava le une alle altre, per distanti che fossero fra di loro e le convertiva in simboli e in chiavi impossibili da comprendere per chiunque non appartenesse, e nella forma più concreta, alla congiura biografica in cui le stesse cose si autocostituivano nel proprio ermetico travestimento. Archeologia delle passioni, dei sentimenti e del peccato, in cui le armi, gli strumenti, gli organi astratti del desiderio, la tendenza di ogni fatto imperfetto a cercare la sua consanguineità e la sua realizzazione, anche se appare incestuosa, nel suo stesso gemello, si avvicinano all'oggetto attraverso una lunga, insistente ed instancabile avventura di sovrapposizioni, che sono ogni volta l'immagine più somigliante all'idea che la forma è un anelito, che però non riescemai a consumare, e restano come dei residui senza nome di una vicinanza sempre incompleta, di inquieti ed insistenti segni che aspettano, febbrili, l'istante in cui potranno incontrarsi con quell'altra parte della loro intenzione, al contatto della cui semplice presenza potranno essere decifrati. Così un volto, uno sguardo, un atteggiamento, che costituissero un tratto proprio dell'oggetto, si depurano, si completano in un'altra persona, in un altro amore, in un'altra situazione, come gli orizzonti archeologici in cui i dati di ogni ordine, un fregio, uno stipite, una abside, un'architrave, non sono altro che la parte mobile di una certa eternità senza più speranza, in cui si condensa il tempo, e dove le mani, i piedi, le ginocchia, il modo di guardare, o un bacio, una pietra, un paesaggio, nel ripetersi, vengono percepiti da altri sensi che non sono più gli stessi di prima, anche se il Passato appartiene solamente al minuto precedente. Mentre Meche oltrepassava la prima cancellata verso il cortile che comunicava con i vari incroci, disposti a raggiera intorno a un corridoio o rotonda dove si ergeva la torre di controllo - un elevato poligono di ferro, costruito per dominare dall'alto ciascuno degli angoli della prigione tutta -, erano ancora fissi nella sua mente, quieti, imperturbabili ed atroci, gli occhi della secondina, neri e di un'eloquenza mortale, come se dovessero restare a guardarla per sempre. Polonio non ce la faceva più a restare con la testa infilata nel vano, e stava decidendo di cedere il posto di vedetta ad Albino perché lo occupasse, ma gettando uno sguardo forzosamente sbieco verso l'interno della cella, gli parve di avvertire strani movimenti e nello stesso tempo si accorgeva che El Carajo aveva smesso di gemere dopo che lo aveva fatto ininterrottamente da che aveva ricevuto il pugno nello stomaco. Con grande precauzione e lentezza, attento, prudente, si piegò l'orecchio che usciva fuori dalla cornice, per spingere all'interno la testa, preoccupato che, nel frattempo, Albino non si fosse deciso a strangolare una buona volta lo zoppo. A dire il vero - pensò - di ragioni ne aveva, però bisognava aspettare un poco, lo avrebbero ammazzato tutti e due in circostanze più propizie e quando la droga fosse ormai al sicuro nelle loro mani, non prima né qui nella cella, se no il piano poteva andare a rotoli e, che lo volessero o no, la madre di El Carajo era una pedina fondamentale di tutta quella storia. Bisognava pensare bene a dove e quando ucciderlo dopo (o subito dopo, se questa era lavolontà di Albino), ma ogni cosa al momento giusto. In realtà, si era messo a gemere senza posa, da quando Polonio gli aveva mollato il pugno e il calcio, in una maniera irritante, ripetuta, monotona, artificiosa, con cui esprimeva senza infingimenti, in tutti i dettagli, la mostruosa condizione della sua anima perversa, disgraziata, infame ed abietta. I colpi non erano stati poi così forti e a ben altri e peggiori e più brutali era abituato il suo corpo miserabile, e dunque questa commedia del dolore, fatta a bella posta per impietosire e per umiliarsi, otteneva il risultato opposto, una specie di schifo e di odio crescenti, una collera cieca che scatenava dal fondo del cuore il più vivo desiderio di farlo soffrire fino a limiti incredibili e di infliggergli qualche dolore più concreto, più autentico, capace di farlo a pezzi (e qui un ricordo della sua infanzia), come una tarantola maligna, con la stessa sensazione che invade i sensi quando quel ragno, sotto l'effetto di un acido, si raggrinza, si contrae su se stesso - producendo pure un rumore furioso ed impotente -, si aggroviglia sulle sue stesse zampe, impazzito, e tuttavia non muore, e uno vorrebbe schiacciarlo, eppure non ha la forza di farlo, non osa, gli riesce impossibile tanto da scoppiare quasi a piangere. Gemeva con un tono rauco, molle, gorgogliante, con cui simulava a tratti uno stridìo pietoso e svergognato, mentre riusciva a fare in modo che in quel suo occhio sudicio e pieno di lacrime rimanesse quieto, commovente, ammantato di pietà, un implorante sguardo di profonda autocompassione, ipocrita, falso, pieno di recondita malevolenza. Polonio e Albino ne avevano fatto il loro alleato solamente perché la madre era disposta a fargli il favore, ma una volta liquidato l'affare, lo zoppo alla malora, che andasse a fare in culo, ucciderlo era l'unica soluzione, l'unico modo per tornare a sentirsi tranquilli e in pace. "Lascialo!", ordinò Polonio con un vigoroso spintone di tutto il corpo su Albino. Libero dalle grinfie di Albino, El Carajo se ne rimase come un sacco inerte in un angolo. Aveva veramente rischiato di essere strangolato da Albino, e ormai non osava gemere né manifestare una qualunque protesta. Con una mano che si mosse goffa e tremante sul suo petto, si accarezzava la gola e si toccava la noce del collo come se volesse rimetterla al suo posto. L'occhio adesso gli bril57
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