Linea d'ombra - anno VI - n. 28 - giugno 1988

STORIE/REVUELTAS insopportabile. Era stato soldato, marinaio e magnaccia, ma con Meche no, lei non si faceva proteggere, era una donna onesta, ladra sì, ma quando andava a letto con altri uomini non lo faceva per denaro, lo faceva per piacere, senza andarglielo a raccontare ad Albino, questo sì. Era andata a letto anche con Polonio molte volte. Era roba buona, veramente roba buona, ma onesta, quel che è giusto è giusto. Nei primi giorni di isolamento Albino li aveva intrattenuti e distratti con la sua danza del ventre - o meglio aveva distratto Polonio perché El Carajo se ne restava ostile, senza entusiasmo e senza capirci un cazzo -, una danza formidabile, emozionante, di grande prestigio nel Carcere, che produceva un'eccitazione così viva che alcuni, dissimulando inutilmente - per cui finivano col denunciare le proprie intenzioni in quel goffo e frettoloso pudore con cui credevano di mascherarlo - si masturbavano con una violenta e frettolosa ansia, la mano sotto i vestiti. Era un vero privilegio per Polonio averlo contemplato qui, comodamente, in cella, dato che altrove Albino si era mostrato sempre schizzinoso rispetto alla composizione del pubblico, come ogni giullare che si rispetti, scacciando gli spettatori che dal suo punto di vista non erano adatti, frivoli, poco seri, incapaci di apprezzare le difficili qualità di un autentico virtuoso. Nel basso ventre si era fatto tatuare una figura indù - che in un bordello di un certo porto indostano, secondo quel che raccontava, gli aveva disegnato l'eunuco della casa, adepto di una setta esoterica dal nome impronunciabile, mentre Albino, a causa dell'oppio, dormiva un sonno profondo e letale al di là di qualsiasi ricordo-, che rappresentava una bella coppia di un giovane e una giovane nel momento in cui facevano l'amore ed i loro corpi apparivano circondati, avvolti da un incredibile intrico di muscoli, di gambe, di braccia, di seni e di organi meravigliosi - l'albero braminico del Bene e del Male - disposti in modo tale e con una tale abilità cinetica, che era sufficiente dare l'avvio con adeguate contrazioni e spasmi dei muscoli, una ritmica oscillazione, un lento ascendere dell'epidermide ed un sottile, inavvertibile su e giù delle cosce, perché quelle membra sparse e dall'aspetto capriccioso, torsi e ascelle e piedi e pube e mani ed ali e ventre e peli, acquistassero un'unità magica in cui si ripeteva il miracolo della creazione e la copula umana vi si dava interamente in tutto il suo magnifico e poderoso splendore. Nel cubicolo che serviva per registrare le visite, le mani della secondina la palpavano sopra i vestiti - poi sarebbe venuto il resto, il dito di Dio -, ma Meche non riusciva a togliersi dalla testa proprio la danza di Albino, la settimana prima, nella sala dei difensori, appena finito di ordire gli ultimi dettagli del piano originario, quello che era fallito per via dell'isolamento, e la madre de El Carajo contemplava le contorsioni del tatuaggio con l'aria di non capire, ma con un risolino nascosto in bocca, capacissima di fare ancora l'amore quella vecchia baldracca, nonostante i suoi sessanta e tanti anni. In un angolo della sala, coperto dagli sguardi altrui da un muro di cinque persone: le tre donne, El Carajo e Polonio, si era sbottonato la braghetta dei pantaloni, la canottiera in vita come un sipario tea56 trale sollevato per mostrare lo scenario, e animava con gli affascinanti contorcimenti del ventre quel coito che emergeva dalle linee bluastre e che andava facendosi ad ogni passo, ad ogni interruzione o incontro o ristrutturazione delle equidistanze o dei rifiuti, mentre tutti - meno El Carajo e sua madre, che evidentemente lottava per nascondere le sue reazioni - si sentivano percorrere il corpo da una soffocante massa di desiderio ed una risatina breve ed equivoca - Meche e La Chata - gli solleticava il palato. Ormai senza gli indumenti intimi, Meche presentiva i prossimi movimenti della mano della secondina, e si sentiva agitata, cosa che prima non le era mai successa, da strane e confuse disposizioni d'animo e da un'improvvisa prevenzione, in cui però si avvertiva la presenza stessa di Albino (con il ricordo inedito, quando si erano presi la prima volta, di curiosi dettagli sui quali non credeva di essersi mai soffermata e che ora comparivano nella sua memoria, assolutamente nuovi e quasi tutti appartenenti ad un'altra persona) che non le permettevano di assumere l'orgogliosa indifferenza e il distacco aggressivo con cui doveva sopportare, paziente, collerica e fredda, il maneggio della donna fra le sue gambe. Per esempio, la respirazione agitata eppure compressa, contenuta, o per meglio dire, quell'ansimare intermedio, né molto dolce né molto violento - ed ora si accorgeva che era stato unicamente dal naso - di Albino, sul suo monte di Venere, perché ormai stavano lì, inesorabili, penetranti, il pollice e l'indice della secondina che le schiudeva le labbra, e rapidamente, con il medio, iniziava una sospettosa esplorazione interna, amabile e delicata, in un lento andare e venire, gli occhi completamente quieti fino alla morte. Si trattava di entrare nella Croce con le visite generali, e mescolate, confuse fra i familiari degli altri prigionieri, piazzarsi tutte e tre loro davanti alla cella di isolamento, disposte a tutto finché non toglievano il castigo ai loro uomini, immobili e fisse lì per l'eternità, come fedeli cagne rabbiose. La secondina, dunque, e i suoi maneggi, erano la fonte del doppio, triplo, quadruplo ricordo che si sovrapponeva e si mescolava, senza che Meche riuscisse a contenere, a rimediare, a reprimere, uno stupido ma assolutamente inevitabile atteggiamento di acquiescenza, che la scimmia prendeva per sé con un tremito ansioso ed un ansimare stonato - quasi feroce ed unicamente dal naso, come Albino-, per cui lo stesso ventre di Meche sembrava trasformarsi - o si trasformava, in virtù di una sediziosa trasposizione - nel ventre di quello (lei, Dio mio, come se si preparasse a funzionare nel ruolo di maschio nei confronti della secondina) perché l'immagine di Albino si era infiltrata dentro quelle sensazioni, durante quelle scene della prima volta, quando a cavalcioni all'altezza dei suoi occhi infondeva quella vita prodigiosa ed emozionante alle figure del tatuaggio braminico, ed ora Meche immaginava di essere lei stessa a far danzare in quel momento il suo ventre - identiche, anche se segrete, invisibili oscillazioni - come strumenti di seduzione diretti alla scimmia ed ai suoi occhi vicini, mentre quella non solo non offriva resistenza, ma, senza saperlo, sotto l'impulso del soffio misterioso che faceva muovere in questo

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