sponibile. "Lei è una persona d'età, anziana, degna di rispetto; con lei le scimmie non si azzarderanno''. Il fatto era così, da dentro, qualcosa di materno. Si trattava - diceva Polonio - di qualche tampone di garza della grandezza di pochi centimetri, la cui estremità sporgeva fuori, una punta per tirare e farlo uscire quanto tutto fosse terminato, di quelli che si usano molto adesso, attualmente, fra le donne - bastava che la istruissero ed aiutassero Meche e la Chata - per non ingarbugliarsi e non dover cacciare il figlio da lì di malo modo, una delle trovate più moderne di oggigiorno, glielo potevano dire La Chata o Meche, e aiutarla a metterselo come si deve. Lì moriva tutto, lì veniva sbarrato il passo agli spermatozoi condannati a morte, pazzi furiosi davanti al tampone, colpendo la porta proprio come i secondini, anche loro scimmie come tutti gli altri, una moltitudine infinita di scimmie che colpiscono le porte sbarrate. Polonio scoppiò a ridere e le due donne, Meche e La Chata pure, contente che la vecchia fosse così dura, così macha da aver accettato. Insomma, certo che nessuno pensava che la madre volesse servirsi della faccenda per una cosa diversa da quella che si proponevano di portare a termine, e questa era una semplice spiegazione. La garza doveva contenere, stretti in un nodo ben fatto, venti o trenta grammi di droga che le altre due avrebbero dovuto consegnare alla madre de El Carajo "Con lei le scimmie non si sono mai permesse, no?, perché lei è una donna d'età, rispettata, a noi invece, durante la perquisizione, ci ficcano sempre il dito, quelle disgraziate". Il ricordo e l'idea e l'immagine accecavano di gelosia la mente di Polonio, ma una gelosia strana, totale come un non poter stare nello spazio, non ritrovarsi, non trovare i suoi stessi limiti, ambiguo, deprivato, una gelosia in gola e sul plesso solare, con una sensazione solleticante, floscia ed atroce, dietro il pene, come una specie di eiaculazione previa, non vera, una specie di contatto senza seme, Disegni di Sergio Arou. STORII/REYUELTAS che aleggiava, vibrava in minuscoli circoli microscopici, tangibili, al di là del corpo, fuori da qualsiasi organismo, e La Chata diventava ai suoi occhi gioconda, bestiale, con le cosce le cui linee, invece di unirsi per coincidere nel nido del sesso, quando chiudeva le gambe, lasciavano ancora un piccolo vuoto separato fra le due pareti di pelle solida, tesa, giovane, provocante. Si vedeva attraverso il vestito, controluce - e qui sopraggiungeva una nostalgia concreta, di quando Polonio era libero: le stanze d'albergo con odor di disinfettante, le lenzuola pulite anche se non proprio bianche negli alberghi di quarta classe, La Chata e lui da una parte all'altra del paese o anche fuori, a San Antonio in Texas, in Guatemala, e quella volta a Tampico, al tramonto, sul fiume Pénuco, La Chata appoggiata al balcone, di spalle, il corpo nudo sotto una vestaglia leggera e le gambe leggermente aperte, il monte di Venere come un capitello di peluria sulle due colonne delle cosce - era una cosa irresistibile e Polonio, proprio con la stessa sensazione di chi è posseduto da un trance religioso, si inginocchiava tremando per baciarglielo e per sprofondare le labbra fra le sue labbra. "Ci ficcano il dito"; Scim-mie spor-che fi-glie di put-ta-na, lesbicone cornute. La madre di El Carajo avrebbe portato lì dentro il pacchettino di droga - anche se il piano era stato scombinato improvvisamente da questo guaio dell'isolamento, niente cambiava per quel che riguardava il ruolo che la madre doveva svolgere-, il pacchettino per alimentare il vizio di suo figlio, come prima nel suo ventre, ancora dentro di lei, lo aveva nutrito di vita, dell'orribile vizio di vivere, di trascinarsi, di franare come El Carajo franava, godendo fino all'inverosimile di ogni scheggia di vita che gli cadeva a pezzi. E ora poi gli aveva messo il braccio al collo a Polonio e lo supplicava di lasciarlo guardare dal vano, e di fianco alla nuca, un po' indietro e sotto l'orecchio, Polonio sentiva sulla pelle il bacio umido della piaga purulenta in cui si era trasformata una delle ferite non cicatrizzate di El CaraJo, le labbra di un bacio da ostrica che lo bagnava con qualcosa che assomigliava ad un filino di saliva che gli scorreva dal collo verso la spalla, e tutto per trascuratezza, per l'incuria più infelice e per l'abbandono senza speranza a cui si consegnava. Polonio gli mollò un pugno nello stomaco, con la mano sinistra, un pugno mezzo floscio a causa della posizione scomoda in cui stava, con la testa infilata nel vano, e un calcio sotto, questa volta ben dato, che lo fece rotolare fino alla parete di ferro della cella, con un sordo grido di sorpresa. "Ma che stronzo - si lamentò senza collera e senza offesa -, volevo solamente vedere quando arriva mammà". Parlava come un bambino, mammà, invece di dire quella bocchinara di mia madre. Proprio così. Bisognò improvvisare un piano nuovo di cui fu incaricata Meche, la donna di Albino. Non dovevano venire a trovare loro, ma altri reclusi, dato che ora loro non avevano diritto alla visita, ora stavano in isolamento. Quello che si disperava di più in isolamento era Albino, forse perché era il più forte, addirittura piangeva per la mancanza di droga, però senza arrivare a tagliarsi le vene anche se tutti i tossico lo facevano quando l'astinenza diventava 55
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