IL CONTESTO MULLER/MAGAZZINI Maria Maderna L'Italia ha scoperto definitivamente, a scoppio ritardato, l'autore della Germania Est Heiner Miiller, sempre più noto eppure enigmatico, non più collocabile nella definizione di drammaturgo "oltre il realismo e l'avanguardia". Miiller scrive da trent'anni e ha attraversato vari stadi di scrittura: il sociale, il mitologico, la storia - di solito quella tedesca - di ieri e di oggi. Una storia terribile che lo spinge tuttora a scrivere, spesso scarnendo e reinterpretando testi, per lo più classici (opere votate - lo diciamo scherzosamente - a una sorta di imperialismo culturale, ad annettersi cioè sempre nuove zone della drammaturgia contemporanea). I Magazzini hanno iniziato un complesso lavoro di confronto con le opere di Heiner Miiller, avviato con Hamletmaschine, un breve ma denso testo del 1977. Autore, come Brecht, di magistrali riscritture, Miille~ ha ideato cinque stazioni dell'orrore che più che "rappresentare" l'opera di Shakespeare - che; afferma Miiller, "dopo dio è quello che ha creato più personaggi" - la commemorano. È un montaggio di associazioni e citazioni che non presuppone neppure più il personaggio del titolo: in scena c'è "l'interprete di Amleto" che afferma che il suo dramma "non ha avuto luogo", come "il testo sia andato perso". Eppure la logica assurda di Hamletmaschine è esibita con una classicità formale. Classicità e trasgressione: un binomio rivendicato anche dai Magazzini. Questo gruppo, veterano della sperimentazione, ha sempre usato rigore formale e raffinatezze estetiche per racchiudere "contenuti" incongrui, per niente composti. E ai valori plastici e iconici, alle espressioni gestuali ha aggiunto da qualche anno la ricerca sulla drammaturgia della parola (avviando, nell'83, la cosiddetta "trilogia della (perdita di) memoria"), del verso e di una suggestione neoclassica. I poli magnetici del lavoro di Miiller - Artaud, Genet e anche Beckett - sono presenti anche, in citazione, negli spettacoli dei Magazzini (consumati, nel caso del gruppo fiorentino, alla stregua di personaggi-chiave in cui identificarsi per poi "rappresentarsi"): un'abitudine, quella alla diversità nella ripetizione, che citando continuamente il proprio lavoro nel corso delle varie opere, adempie a una funzione di "memoria interna". Succede che il testo, aperto, squarciato, variato, di Miiller, diventi una "citazione" nel flusso delle immagini 28 Foto di Marcello Norberth. create in palcoscenico. I Magazzini smontano l'opera, le parole che la fanno e la logica che presiede alla sintassi. Amleto ha sempre costruito la propria macchina: "un meccanismo di parole che non gli permette di scegliere tra pensiero e azione" (Federico Tiezzi). Alla constatazione che l'Amleto non è più una macchina da racconto (dato che per Miiller è impossibile scrivere e narrare storie - le menzogne indispensabili di Wenders!), i Magazzini oppongono la presenza, in scena, di differenti macchine: il sistema di veneziane, che scendono a imprigionare attori e oggetti, il corpo dell'attore, e anche una giostra su cui salirà la Morte, falce in spalla. L'intento, nella messinscena di Tiezzi, di dare al testo la maggiore risonanza possibile, fornisce una quantità di indizi trasversali: figurazioni, dettagli visivi, citazioni musicali un po' invadenti, episodi mimici (tra cui suggestivo quello di Ofelia, affidato a un attore onnagata, quelli che nel teatro kabuki interpretano ruoli femminili), cercano di ricreare, non in modo illustrativo ma evocativo, il percorso del testo, il cui delirio è reso con la confusione delle voci. Un testo e una parola talmente "importanti" che il lavoro del regista rischia di passare in secondo piano (viene il sospetto che l'autore faccia apposta: proprio lui che ultimamente si mette in scena sempre più spesso, ripete che "dopo la rivoluzione vieneNapoleone, e dopo il teatro sono venuti i registi"); anche per quanto riguarda un testo come Hamletmaschine complesso e affascinante ma anche un po' datato. La scrittura di Miiller si compiace qui della propria disperazione voluttuaria e si rivela più labile, dal punto di vista della provocazione, di altri suoi drammi. Viene il dubbio che tutto questo sia più sagace che emozionante, più accorto e retoricamente dotato che efficace. Da parte sua il gruppo ha tolto alla Storia ogni alibi, privando lo spettacolo di un adeguato movimento interno e rivelando come sia sempre stato stretto invece, nel suo lavoro, il rapporto tra le scelte private, le CINEMA situazioni che appartengono al proprio vissuto e le fasi della progettazione e realizzazione del lavoro teatrale. Rapporto evidenziato - e reso questo sì convincente - nell'unico momento narrativo di Hamletmaschine: il prologo aggiunto, recitato da Amleto, che ha il significato dell'apparizione dell'Ombra all'inizio della tragedia scespiriana. È il racconto Il padre, di natura autobiografica, che ci riferisce l'impossibile rapporto di Miiller col padre, vittima dei nazisti, e riesce a renderci il senso più segreto del "far teatro" dell'autore. A proposito di un genitore più metaforico, Miiller ha sempre parlato, più o meno scherzosamente, di parricidio nei confronti di Brecht, e ha affermato di non aver abbandonato il didascalismo: questo teatro, piuttosto, dovrebbe insegnare, come fa dopotutto lui stesso, "non a capire la realtà, ma a non capirla", come ha detto Vertone. E per fare questo, l'autore in bilico tra le due Germanie continua a descrivere le speranze dell'Est e le disperazioni dell'Ovest: disperando della rivoluzione, ma sperando nella disperazione. UNASORPRESA CHEVIENEDALFREDDO Maria Schiavo Il cinema canadese ha offerto all'incontro internazionale di "Cinema e Donne" di Firenze interessanti spunti di riflessione. Ci ha ad esempio confermato, nel caso non ce ne ricordassimo più, che raccontare storie non è in un certo senso possibile se non esiste una visibilità minima dei rapporti sociali sui quali queste storie si costruiscono. Questa visibilità non è solo il dato oggettivo, il riconoscimento esterno di ciò che socialmente rappresentiamo ma anche il senso interno che di questo rapporto siamo in grado di ricostruire dentro di noi, nel nostro immaginario, e che eventualmente si trasformerà in invenzione, in storia. Tutto questo per dire che solo da poco tempo è nata nelle donne un'effettiva capacità di rappresentare le più recenti esperienze dell'avventura femminile nel mondo, e cioè di quel particolare momento storico, che è il nostro, che vede un lento ma progressivo rafforzamento dei rapporti, degli scambi di sapere e di affetti fra donne. Da fatto censurato, non rappresentabile senza le antichissime mediazioni maschili, ha trasformato questi rapporti in un evento, rendendoli di per sé
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