ILCONTESTO le bande a parte, i ghetti incomunicabili, l'ignorare o far finta di. Nelle stesse tavole di questa mostra, mi pare di cogliere più paura o preocupata tensione che non entusiasmo, salvo forse nella tavola di Giacon, ideata da una donna, allegra di una contentezza della varietà, del colore, della pluralità, delle differenze. Peraltro, il melting pot è subito visto da quasi tutti e intelligentemente, nell'ottica della pluralità etnica e molto meno in quella della pluralità delle culture e delle mode. A riprova del fatto che già si sa - e lo sanno prima e meglio di tutti, mi pare, certi tipi di artisti più ricettivi degli altri: i teatranti e i "fumettari", per l'appunto, mentre i più '"centrali" dormono il loro monotono sogno ombelicale, anche e soprattutto i più giovani, "la generazione bonsai" - che questo sarà il problema, e che la differenziazione delle culture e delle mode è di mera apparenza, questione di look e non di diversità nel profondo. Uno spettro si aggira per l'Italia, che Matticchio coglie nel coacervo di presenze fantasmatiche che guatano la solitudine della famigliola, più elegante e più vero di altri: "l'uomo nero" minaccioso solo per chi ha cattiva coscienza, per chi fa mostra di sicurezze costruite su molte rimozioni, ed è, in definitiva, solo. La tavola angosciosa di Scàndola la dice lunga, sulla solitudine urbana del nostro tempo; ma direi che quasi tutti insistono su questo tema, o che esso pervade anche le tavole in cui non è centrale, o in cui non si vorrebbe fosse tale. Per esempio la coppia di Scòzzari, così normalmente finto-colorata e cupa, e quello sfondo allucinato di finestre chiuse, anzi sbarrate, dalle quali è perfino assente ciò che sembrava caratterizzare gli incubi urbani di un tempo (anni Trenta, diciamo): il controllo sociale malevolo, lo sguardo che si nasconde ma che perfora. C'è qualcuno, lì dietro? Si intende: qualcuno di vivo? È dubbio. Monadi, forse, come quelle che in altre tavole si aggirano silenziose e ringhiose, pronte a esplodere, mentre elicotteri e poliziotti alla Tuonò Blu ci controllano; e al massimo potranno radunarsi in banda - di difesa e di offesa - che nega all'altro il diritto di essere; e nega in toto la curiosità e l'amicizia. Sono forse questi i due valori più assenti.dai comportamenti vecchi o giovani della società che ci ingloba. Se di curiosità resta traccia, è solo nello spettacolo, ma anche qui Loustal insegna che sul palcoscenico i diversi da noi sono solo "folk" (e jazz o country non cambia), e noi pubblico, membri comuni e privilegiati del party del benessere, preferiamo bensì guar26 Una tavola di Fran~ois Berthoud. dare in macchina ... In questa realtà di monadi, specchio certo fedele, è assente più che mai lo spazio dell'utopia, o la lettura dei fenomeni nuovi nella chiave di una qualche positività. Lo vedo come un risultato: a) dell'eccessodi "neo-rinascimentismo" che da più parti - le parti di clii comanda e di chi è al suo servizio, ma anche quelle di una sciaguratissima "generazione bonsai" della critica e dell'intellighenzia detta (cosiddetta e sedicente) di sinistra, ci ha da anni ammorbato con la sua positività del cavolo, naturalmente un cavolo post-moderno e multi mediale, fashion-televisivo ... b) della spontanea dilatazione a ogni campo del futuro di quella specie di angoscia che normalmente ossessiona i più sensibili, di crescente disumanizzazione, di malattia mortale iniettata nella natura da mani umane "molto umane", di orrore della politika e della parodia di coinvolgimento che essa potrebbe stimolare ... La tavola di Mufioz mi pare la più lucida ed esemplare di un modo di vedere la metropoli "corretto": "lo esiste e gli altri sono tutti palestinesi", "Questo è Occidente, capito?", "Prima eravamo nello sterzo mondo, adesso siamo nel mondo di smerda" ... Ha affinità con la città (ancora Milano, la "melam marciam del Nordum", ma potrebbe esser altro) narrata per immagini e testo dal geniale Altan, primo vero sociologo e narratore dell'Italia dei Settanta e degli Ottanta, in Zorro Bolero. Ma c'è forse un eccesso di timore e di pessimismo in queste visioni - e lo dice uno che si considera proprio apocalittico - e invece un qualcosa di fortemente positivo nello scambio e nella confusione (di colori e lingue, di consuetudini e suoni) che si prepara. E non vorrei che la visione alla Biade Runner della città del futuro prossimo uccidesse quella della città, non armoniosa, non liberata, ma almeno pù varia e con nuovi riti e avventure, e possibili incontri e mediazioni e scoperte, che pure potrebbe prepararcisi se solo rivalutassimo la nostra curiosità, il nostro interesse per i non-noi, la nostra disponibilità a farli parte di noi e a diventar noi parte di loro. Insomma, non tutti i giochi sono stati giocati, e molto c'è da fare perché la città del futuro somigli alla parte viva e non a quella morta del mondo e di noi. È tuttavia significativo - anzi, come si dice, altamente significativo - che questi temi e argomenti trovino spazio e f!ashes in un settore come quello del fumetto pdma che altrove. C'è da insistere, sempre più pervicacemente, su una constatazione poco accetta ai signori e signorini dei media; dai centri (del potere culturale) oggi nasce ben poco di nuovo e intelligente e molto, troppo, di vecchio e di "marcium". Si ride molto, ai centri e ci si crede allegri solo perché si è aggressivi e volgari, e ci si illude di essere belli solo perché si è floridi; ma la produzione dei centri è quello che è, inappetente e stitica, ripetitiva e secondaria. Ai margini c'è spesso anche di peggio, ma s'ha comunque l'impressione che qualcosa di più autentico e vitale lentamente si muova, pur nel disinteresseo nell'ostilità dei centri. Si ha l'impressione di aria non fritta, non chiusa, non inquinata. Tutto ciò lo vediamo proprio nel fumetto, con tutte le sue contraddizioni determinate dalle ottusità del mercato, dalla volgarità dei lettori, dall'inerzia dei critici e dal fatto che gli autori non possono che risentire della situazione ambientale in cui evolvono.Al centro ci sono pur sempre gli orrendi vignettari di successo e di regime, tipo "Satyricon". Ai margini, i qui rappresentati e pochi altri - Altan a parte, più temuto che amato. Non è un caso che, più o meno prontamente e acutamente, siano alcuni dei qui presenti a cogliereprima di altri e meglio ciò che si muove, dentro e non in superficie; e a saperlo rappresentare e additare. Con un piccolo sforzo in più - di comunicazione con altri, di curiosità non solo per le forme - potrebbero dar molti numeri ai fiacchi famosi dellemolte muse, e prima di tutte delle anti-muse che sono il giornalismo, che si autocondanna a essere la televisione, che stanno avviandosi a essere il nostro cinema come la nostra letteratura. Ma per riuscirci hanno anche bisogno di sostegno e attenzione: la meritano e non ce l'hanno, mentre i più non la meritano e ce l'hanno. (dal catalogo della mostra Melting Pot, Milano Suono/Storiestrisce)
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