DISCUSSIONE/CUMINETII "che si svolgono nel mondo" (n. 1). Un rischio presente nella enciclica (e in ogni "dottrina" sociale o d'altro tipo) e ben individuabile là dove l'enciclica - e lo ripete più volte - afferma che il compito della chiesa è quello di collegare il messaggio cristiano (in questo caso la "dottrina sociale") con la realtà del presente. La non distinzione fra "messaggio cristiano" - che è l'annuncio di Cristo Salvatore, annuncio che poi prende forma storica nel tempo, in rapporto alle situazioni - e "dottrina", come se questa fosse un dato immutabile, astorico, sta ·alla base di una concezione quasi meccanicistica del rapporto natura-grazia (storia-salvezza) e nel conseguente collegamento di tipo estrinsecista fra sviluppo e cristianesimo. Il Vangelo (la "Buona notizia") appare esterno al creato e il creato, che è opera di Dio, esterno al Vangelo. Vengono in mente a questo proposito le terribili parole di Simone Weil: "Il sociale sotto l'etichetta del divino: inebriante miscuglio, che racchiude in sé ogni arbitrio". Ma partire, come fa l'enciclica, da una separazione fra dottrina e realtà con la pretesa di ricostruire in seguito una unità, come se le due realtà fossero estranee l'una all'altra, non può che portare al "miscuglio" di cui sopra. Fra l'altro, è bene ricordarlo, essendoci asimmetria fra Dio e uomo, qualsiasi ricomposizione unitaria non può essere che contingente e sempre deficitaria. E vale per la stessa teologia cristiana. Dimenticare ciò e proporre una dottrina, significa ricercare un posto e un aggancio preciso per intervenire nelle questioni politiche contingenti, imporre silenzio a chi entro la chiesa non la pensa nello stesso modo, trattare da pari a pari con gli stati, ecc. Tutta l'attività dell'attuale papa, è conferma di questa conseguenza. Nessuno mette in dubbio il suo impegno sociale, soprattutto nel Terzo Mondo. Ma è un impegno che derivando da una dottrina precisa - non dal puro annuncio del Vangelo - gli dà spazio di discriminare secondo precise visioni ideologiche, di imporre ai cristiani che soffrono per l'ingiustizia aut-aut precisi, di trattare e benedire dittatori, ecc. Tutta l'azione di Giovanni Paolo II è la conferma del miscuglio e dell'arbitrio conseguente di cui parla S. Weil; un "arbitrio" che ha il suo fondamento proprio nella pretesa di dedurre dal Vangelo una dottrina precisa che poi sovrappone alla realtà, dimenticando quanto di storico, contingente e ideologico esiste in qualsiasi tentativo di costruire un sistema dottrinale. La giustapposizione di istanze sociali , e religiose non può che lasciar spazio a un potere sociale e politico della chiesa - potere che l'attuale papa ricerca esplicitamente - potere che poi è portato a cancellare la drammaticità del grido che si innalza da innumerevoli cristiani che sentono sulla propria pelle l'inumanità del tipo di sviluppo attuale. È questa una realtà che molti non avvertono, sia fra i cristiani che fra i laici. In fondo l'aveva avvertita il Vaticano II, cercando di superare la "dottrina sociale" e offrendo una concezione diversa delÌa chiesa. Chiesa che, evidentemente, non può ignorare queste situazioni, di cui è corresponsabile e in cui vivono molti uomini, cristiani e no. Non si tratta di avere una visione astratta della chiesa e del messaggio evan20 gelico; né tanto meno si tratta, in base a una presunta neutralità della chiesa, di dire che essa non deve intervenire. Il problema non è questo. La chiesa deve parlare e lo deve fare da una posizione che non può essere che "di parte", se è vero che il suo Dio si qualifica come il Dio "dell'orfano e delle vedove" e che Cristo inizia il suo ministero annunciando "la liberazione degli oppressi". Ma il modo deve essere diverso: si tratta di sentirsi totalmente.inseriti, nel bene e nel male, nella sorte di questo mondo; di far parlare in piena libertà - accettando di nuovo ciò che c'è di positivo e di negaqvo in ogni situazione storica, che è sempre complessa e "sporca" - gli uomini che soffrono; di cogliere nel loro grido quei "gemiti dello Spirito" che anelano al nuovo (Lettera ai Romani, 8) e operare insieme a tutti per superare queste situazioni. Annunciare cioè la speranza, una speranza che poi prende connotati storici diversi in rapporto alle situazioni, agli uomini, alle ideologie. Nessun silenzio, ma far proprio il grido che s'alza dalla terra e gridare con chi soffre, senza paura di sporcarsi le mani e senza la pretesa di avere la "dottrina" corretta. La fede non è scienza totale e totalizzante, ma interrogazione, invocazione, fiducia, silenzio... che diventano prassi storiche di cui ognuno porta la responsabilità. (Questo testo è apparso in altra stesura nel bollettino de "La Nuova Corsia"). ITALOCALVINO LEZIONI AMERICANE Seiproposte per ilprossimo millennio
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