Linea d'ombra - anno VI - n. 28 - giugno 1988

spetta a politici e moralisti, agitatori e giornalisti e, direi, a rivoluzionari e preti. Perché diavolo dovrebbe spettare a un papa? Riconoscere questo significa anche, a mio avviso, contribuire a formulare un'idea della laicità che non si riduca ad agnosticismo etico o a tecnologia politica. P .S. Tutto ciò non comporta, beninteso, la sospensione o l'attenuazione del giudizio strettamente politico quando il contenzioso è, appunto, strettamente politico. Mi spiego. lo ritengo un'autentica jattura per il nostro paese - e una disgrazia per la gioventù italiana - la diffusione di Comunione e Liberazione e del Movimento Popolare e ritengo necessario non perdere occasione per criticarne ideologia e opzioni (mentre numerosi intellettuali laici e addirittura laicissimi, oltre che "disincantati", ne apprezzano la "generosità" e la "passione"): ma perché il terreno scelto da quei movimenti è dichiaratamente politico! Non mi sogno in alcun modo, invece, di criticare o deridere Roberto Formigoni per la sua scelta di castità (unico tratto rispettabile in un personaggio politicamente deleterio e indecorosamente mondano); e nemmeno penso che si possa impedire a Comunione e Liberazione di tradurre il proprio apostolato militante in attivismo democristiano. Si tratta indubbiamente di integrismo, e della specie peggiore, ma non credo possa essere vietato per legge o messo al bando. Analogamente, mi sentirei in imbarazzo a criticare il papa perché dice la sua in materia di aborto o di insegnamento della religione: o perché lo fa in momenti "inopportuni". Troverei la cosa bizzarra dal punto di vista dei diritti civili e gravemente subalterna dal punto di vista dell'elaborazione di una mentalità che si vorrebbe laica: ovvero libera. DISCUSSIONE/CUMINEffl ANNUNCIARE &ASPERANZA Mario Cuminetti La riproposizione di una dottrina sociale - nel senso di "applicazione della parola di Dio alla vita degli uomini e della società", così come alle realtà terrene che ad esse si connettono, offrendo "principi di riflessione", "criteri di giudizio" e "direttrici di azione" (n. 8) - è lo scopo della recente enciclica di Giovanni Paolo Il. Ed è questa riproposizione, nella formulazione data dall'enciclica (sopra riportata), che deve fare problema non solo per i cattolici ma anche per i laici. Non è infatti un caso che il Concilio Vaticano II cercò di superare questa dottrina (non usò neppure il termine), in quanto ormai estranea al tipo nuovo di ecclesiologia che proponeva. Per la verità il papa è attento a evitare i pericoli propri del tipo di "dottrina sociale" rinnegati dal Concilio, derivanti da una visione giuridico-societaria della chiesa che esigeva, in concorrenza ideologica con gli stati e le forze economiche e politiche dominanti, un progetto ecclesiasticocomplessivo per la società. Afferma chiaramente che il suo intervento non propone una "terza via", non vuol essere ideologico, ma semplicemente teologico. Ma c'è un altro rischio da evitare, più sottile, ma fondamentale per il credente ché vuol continuare ad annunciare il Vangelo di Cristo nelle varie situazioni: il rischio di ipostatizzare la chiesa e la sua dottrina, facendo della chiesa e del suo magistero un soggetto che dall'alto guarda gli avvenimenti 19

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