DISCUSSIONI/LIYI L'ACCENTOSULLA DIASPORA. UN'INJ'ERVISJ'A DEI J 984 Primo Levi Questa intervista con Primo Levi - apparsa su "L'Espresso" del 30-9-1984 - ha avuto una genesi travagliata. Levi era restio a esprimere le proprie opinioni su Israele e i suoi rapporti con la diaspora. "Le poche volte che l'ho fatto, ho ricevuto critiche dalle comunità israelitiche e anche lettere di protesta di cittadini israeliani". Dopo inutili insistenze telefoniche, gli scrissi una lettera cercando di mostrargli l'utilità di una sua presa di posizione. Lui mi richiamò, gentile, cedendo: "Perché no? Proviamoci". Parlammo a lungo, quel martedì 11settembre del 1984, nella sua casa di corso Re Umberto a Torino. Tornai da lui il sabato successivo, 15 settembre, per rivedere insieme il testo scritto. Temevo che volesse stemperarne i toni. Invece non toccò quasi nulla. Ricordo che nella presentazione, là dove l'avevo descritto come "un uomo molto stanco", corressesemplicemente cancellando il "molto". Non glipiaceva mai enfatizzare. Come spesso accade agli intellettuali che sanno guardare allefondamenta dei fenomeni, oggi si può dire che Primo Levi nell'intervista sbagliò qualche previsione contingente sul quadro politico israeliano (in particolare sulle possibilità di durare della coalizione fra laburisti e Likud). Ma più valido che mai appare il suo giudizio sui rapporti fra diaspora e Israele, sul valore dell'ebraismo, sulla crisi dello stato ebraico. (Gad Lerner) Il mondo ebraico è in fermento. Al riparo dell'apparentemente immobile "grande coalizione" fra Likud e Maarach, molto è cambiato. Nel bene o nel male? Mi sono convinto che il ruolo d'Israele come centro unificatore dell'ebraismo adesso - sottolineo l' "adesso" - è in una fase di eclissi. Bisogna quindi che il baricentro dell'ebraismo si rovesci, torni fuori d'Israele, torni fra noi ebrei della Diaspora che abbiamo il compito di ricordare ai nostri amici israeliani il filone ebraico della tolleranza. Perché, dottor Levi? Forse avverte il ritorno de/falco Sharon come una rottura, come una minaccia? Non parlerei di rottura, non credo che ci troviamo di fronte a un'involuzione irreversibile. Del resto la degradazione della vita politica non è un fenomeno soltanto israeliano. L'offuscamento degli ideali lo si registra in tutto il mondo. D'accordo, c'è un peggioramento della qualità di Israele, ma non dimentichiamo che si tratta di un paese dotato di un'agilità anche intellettuale anomala, dove avviene in un anno quel che altrove avviene in dieci. Cosa lapreoccupa, allora?Forse l'ascesa del rabbino Meir Kahane, quello che propugna l'espulsione dell'intera popolazione araba dalla Terrapromessa, quello che s'è fatto propaganda con uno spot televisivo in cui si vedono fiotti di sangue colare su una pietra di marmo? Kahane è solo una scheggia impazzita, ne sono convinto. 16 Se non sopraggiungono nuovi traumi, la sua forza politica è destinata ad estinguersi. Ma si potrebbe obiettare: anche Hitler nel '23 era solo una scheggia impazzita. Rispondo che a nessuno è dato prevedere il futuro, ma non vedo Israele sulla strada del fanatismo di Kahane. Andiamo, non è razzismo affermare che gli ebrei non sono tedeschi! Un paese per diventare razzista deve essere compatto, tendere a farsi blocco massiccio, uniforme, manovrabile. C'è riuscita la Germania di Hitler, ma ad esempio non c'è riuscita l'Italia, per il solo fatto che la differenza fra un piemontese e un calabrese è troppo grande. Figuriamoci se può succedere in una comunità frammentata da una storia di tremila anni, caratterizzata da un mosaico di etnie e di tradizioni, com'è Israele. Detto questo, sono consapevole che un filone razzista nella Torà c'è. Vi si trova tutto e il contrario di tutto. Quando Kahane evoca il divieto di rapporti sessuali fra un ebreo e un "gentile" contenuto nella Torà, dice il vero. Ma altrove si trovano storie, come quella di Ruth e di Sansone, che danno come normale e ammessa l'esogamia. Non è il diffondersi dell'intolleranza anti-araba, dunque, la fonte delle sue preoccupazioni? Potrei risponderle che in tempi recenti Israele vive anche un fenomeno che purtroppo non fa notizia: sta compiendosi nelle università e negli ospedali un'integrazione vasta e profonda. fra arabi ed ebrei israeliani. Fra i settecentomila arabi che vivono in Israele dal '48, molti sono gli integrati. Il discorso è diverso per il milione e mezzo di palestinesi della Cisgiordania occupata. Appunto. Nel suo delirio il rabbino Kahane pone un problema che angustia molti israeliani: secondo gli attuali tassi di natalità, entro il Duemila gli arabi diventeranno maggioranza numerica. La data si sposta di un'altra ventina d'anni se si considerano solo gli arabi cittadini israeliani, ma resta ilfatto che un giorno essipotranno eleggeredemocraticamente la maggioranza dei deputati dello "Stato ebraico". Sicché, dice Kahane, prima di quel giorno Israele dovrà cessare di essere una democrazia per salvaguardare la sua identità ebraica. Queste proiezioni demografiche sono molto discutibili, nessuno può fare profezie sensate al di là di cinque anni. Mi risulta ad esempio che il tasso di natalità degli ebrei israeliani è in aumento mentre decrescequello degli arabi israeliani. Assai diversa è la situazione della Cisgiordania, ciò che dovrebbe indurre i governanti israeliani ad un rapido ritiro dai territori occupati. Penso che se non ci fosse questo pesante rimorchio della Cisgiordania e di Gaza, il problema palestinese in Israele sarebbe già risolto. Cos'è dunque che l'angoscia, dottor Levi? A cosa allude quando parla di degradazione della vita politica israeliana? Anzitutto l'accordo fra Likud e Maarach, come ogni altra grande coalizione, mi pare un rappezzo temporaneo e paralizzante, destinato a durare poco. Ma alludo soprattutto al fatto che prima delle elezioni sono state sposate tesi addirittura ripugnanti al solo scopo di guadagnare voti. Neanche questo accade solo in Israele, ma forse noi siamo male abituati.
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