Linea d'ombra - anno VI - n. 28 - giugno 1988

Da "L'Arche", marzo 1988. Questa "nazionalizzazione" ha un riscontro in quanto denunciato dall'OLP in Italia: "La nota forse più dolente", dice Nemer Hammad su "Rinascita" del 30/1/1988, "viene dal mondo arabo: le televisioni di molti Paesi arabi, ad esempio, hanno in queste settimane dato notizia della sollevazione palestinese senza mosti:are le immagini degli avvenimenti". Questo perché "vi è il timore, da parte araba, che si diffonda nei propri Paesi la convinzione che quella apertasi da tempo in tutto il Medio Oriente è una lotta per la democrazia che rimette in discussione tutti i regimi..." Siamo infatti di fronte ad un movimento che si nazionalizza dal basso. L'OLP dimostra di aver funzione dirigente, se non nell'inizio, però nella continuità di questa sommossa non armata. Dovremo dedurne che alla fin fine la sommossa è caduta nelle mani di una direzione terrorista per definizione, o che viceversa sta prevalendo la "nazionalizzazione" dell'OLP? È questo secondo caso, e Israele dovrà infrangere il dogma, giustificato ma soprattutto sospetto, secondo il quale "con l'OLP non si tratta". 5. Nella sua costitutiva ambiguità l'OLP ha enunciato tre obiettivi: a) quello che è inscritto nella sua sigla e nella sua Carta, ossia "liberare la Palestina", liquidare Israele come Stato; b) costituire un unico Stato bi-nazionale '·'laico e democratico" a maggioranza araba, qual è rilanciato nell'arguta proposta del prof. Sari Nusseibah (Università di Bir Zeit) nei suoi colloqui con un esp0onente del Likud: un obiettivo perseguito questa volta per via paradossale, cioè assecondando il programma della destra israeliana che vuole l'annessione dei territori (ma chi annetterebbe chi?); c) "due nazioni, due Stati", come assetto teoricamente definitivo, oppure come premessa del primo o del secondo obiettivo. Mi sembra che Israele non abbia altra via se non scegliere tra questi obiettivi dell'OLP. Non riesco a vedere come possa sfuggirvi. La destra forse sceglierà il secondo; la sinistra il terzo. Ma tutti temono la "Conferenza internazionale", credo soprattutto per non trovarsi isolati sulla questione di Gerusalemme, una o trina. (Scenario: Israele schierato per l'esclusiva su Gerusalemme; solidarietà degli ebrei; tensione bellicosa; islamici, cristiani, laici e pacifisti di ogni risma schierati contro questa esclusiva, e la tensione che produce; isolamento di Israele; isolamento degli ebrei; incontro tra opinione pubblica ed antisemitismo sul terreno del senso comune.) 6. Qualunque scelta farà Israele, compresa quella di non scegliere come ha fatto sostanzialmente da Camp David in poi, sarà nell'ambito della scommessa, e non nell'ambito degli atti risolutivi. Israele è costituzionalmente in pericolo, e le guerre passate sono la manifestazione di un rapporto strutturale immanente, nient'affatto definitivamente superato. L'attivarsi del fondamentalismo islamico è anzi un nuovo indice di quella precarietà. Quando parliamo delle vie da prenDISCUSSIONE/LEVI DELLA TORRE dere parliamo dunque di scommesse, non di soluzioni definitive. Dal punto di vista di Israele, ed anche della configurazione ebraica nel mondo, non c'è l'ottimo, ma la via di minor pericolo. Per poter scegliere la scommessa migliore Israele ha bisogno di un contesto di critica e di rassicurazione. Sono entrambi elementi necessari, dall'interno e dall'esterno, per favorire una svolta. Occorre che la giusta solidarietà verso i palestinesi non incoraggi, ma anzi condanni la tentazione risorgente a rilanciare ideologie oltranzistiche e irredentistiche contro la terra · e l'esistenza stessa di Israele come nazione; occorre che la giusta condanna delle responsabilità (per altro non esclusive) di Israele non incoraggi, ma anzi escluda la sua ricorrente delegittimazione. Se insieme con la critica non ci sarà la rassicurazione, non saranno aiutate, ma sabotate le componenti di parte israeliana, come di parte palestinese e araba, che puntano al riconoscimento reciproco, al diritto all'autodeterminazione nazionale dei due popoli, alla spartizione territoriale, alla convivenza pacifica, a confini sicuri. Stati Uniti e Unione Sovietica, muovendosi all'inverso del loro solito (i primi prendendo qualche distanza, la seconda ribadendo certe garanzie), si sono mossi nella direzione giusta. Spetta anche a noi, non protagonisti, contribuire a che si formi un clima, un contesto internazionale che favorisca le svolte necessarie, che ostacoli le continuità catastrofiche. 15

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