Foto di Livia Sismondi. seriamente che gli inglesi, prima della loro partenza dalla Palestina nella primavera del 1948, avrebbero informato solo gli ebrei, mentre avrebbero nascosto ai palestinesi che gli ebrei erano armati dagli inglesi stessi ecc. La teoria di Israele come "testa di ponte dell'imperialismo" ha negli ultimi tempi perso qualcosa della sua popolarità e della sua diffusione, viene però sempre portata in campo da interlocutori marxisticamente addestrati. Molto frequentata è anche l'analogia con i crociati, che non poterono fermarsi a lungo in Palestina. Così, dicono molti palestinesi, succederà alla fine anche ai sionisti. La maggioranza dei palestinesi non ha fino a oggi ancora capito perché gli ebrei abbiano lasciato i loro ghetti di lusso in Europa per stabilirsi nel deserto, e considera la presenza ebraica come nazione in Palestina una situazione non definitiva, la cui fine prima o poi sarà inevitabile. E se dovessero aspettare cento o duecento anni, che cosa sono mai in confronto all'eternità: Allah è grande, pensa lui alla giustizia. Da parte ebraica, il punto di vista sui palestinesi è caratterizzato da un sogno simile. Ci si immagina l'avversario come lo si vorrebbe avere, la cosa migliore sarebbe che non esistesse. Negli scritti di Theodor Herzl non si parla neppure dei precedenti abitanti della Palestina; la maggior parte dei teorici sionisti, a parte alcuni socialisti, non considerarono il fatto, o ignorarono di proposito, che la Palestina fosse sì un paese scarsamente popolato, ma non certo spopolato. Si applicava lo slogan: "Un paese senza popolo per un popolo senza paese". E ogni volta che la coscienza nazionale degli arabi di Paiestina si rivelava in modo esplosivo, gli ebrei se ne stupivano enormemente. Così è stato nel 1929, quando la comunità ebraica fu massacrata a Hebron, così nella rivolta dal 1936 al 1939 contro il dominio coloniale britannico e l'emigrazione ebraica, così è stato negli anni dal 1947 al 1949, quando Israele fu fondato, e così è oggi: i palestinesi a Gaza, Hebron e Gerusalemme si ribellano all'occupazione ebraica. "Ma che cosa vogliono", si chiede il tipico ebreo, "non gli è mai andata così bene come oggi. .. ". Sono stati portati nel paese l'acqua corrente, l'istruzione obbligatoria e il telefono, la cultura e la civiltà insomma, e invece di essere riconoscenti i palestinesi fanno casino e pretendono diritti politici. Così pensano molti ebrei che di solito si ritengono liberali e aperti. E se i palestinesi vengono visti come unità nazionale e non in primo luogo come indigeni residenti, ecco che si formulano riflessioni demografiche: quanto deve essere alto il tasso di natalità ebraico per impedire che la minoranza araba diventi maggioranza. Avere figli diventa un dovere nazionale, sotto ogni letto matrimoniale ticchetta una "bomba a orologeria demografica". Se gli esiti di tali calcoli confermano le paure e non le speranze, ne risulta che in tempo prevedibile ci saranno più palestinesi che ebrei nella "Grande Israele"; allora resta soltanto la fuga nella fantasia criminale. Alcuni politici israeliani hanno proposto un "transfer" dei palestinesi nei vicini stati arabi, in tutta serietà e senza preoccuparsi dell'effetto di tali idee sullo spirito dei palestinesi e sulla immagine di Israele. DISCUSSIONE/BRODER Se i palestinesi non riescono a capire perché gli ebrei sono venuti in Palestina, allo stesso modo agli ebrei non entra in testa come mai i palestinesi non si accontentino di contribuire, come minatori, camerieri e carrozzieri, al prodotto nazionale lordo israeliano. Se molti palestinesi vorrebbero rispedire gli ebrei a Leopoli, Praga o Dachau, allo stesso modo molti israeliani pensano che Damasco, Riad e Amman siano bei posti, dove si possa vivere bene. Anche oltre cent'anni dopo l'inizio della guerra arabo-israeliana, né gli ebrei né i palestinesi hanno capito la semplice verità che li unisce: nessuna delle due parti può cacciare in mare o disperdere nel deserto l'altra. Salvo che al prezzo della propria rovina. In questa situazione si potrebbe trovare la "soluzione pacifica totale del conflitto" tanto agognata? Si potrebbe trovare. "Non vi capisco", disse l'europeo, un parlamentare tedesco, "perché non vi sedete a un tavolo con i palestinesi, parlate con loro, ognuna delle due parti cede un po' e alla fine vien fuori il compromesso. Perché non si può?". Buona domanda. Visto dall'Europa, il conflitto mediorientale sembra una rissa da taverna, in cui dei terzi illuminati devono energicamente richiamare all'ordine i contendenti perché la smettano di litigare inutilmente. Se solo gli ebrei e gli arabi non fossero così rigidi e dimostrassero, tutt'e due, un po' di buona volontà ... Ma con buon senso e buona volontà non è mai stato sopito alcun conflitto nazionale, e il Medio Oriente non è la zona adatta per verificare l'efficacia di appelli che già in paesi civilizzati si sono rivelati inutili. Quanto c'è voluto perché i tedeschi e i francesi abbandonassero la tradizionale inimicizia secolare? Perché i cattolici e i protestanti irlandesi a Belfast non riescono ad andare d'accordo? Perché non c'è ancora, in Europa, a più di quarant'anni dalla guerra, nessun trattato di pace? Il confine tra la RFT e i Paesi Bassi, per esempio, è solo una frontiera sulla carta. Chi va da Aquisgrana a Maastricht attraversa soltanto una "linea di armistizio"; dal pun-
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