Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

A sinistra: foto Camera PresslGrazia Neri . A destra: foto di Gisèle FreundlGrazla Neri. facilità - per confinare i territori occupati in un piano secondario dell'attenzione internazionale. È vero che la questione israelo-palestinese è molto più complessa di quanto faccia apparire una faciloneria diffusa in Italia e che molte critiche a Israele si basano su una conoscenza superficiale della vicenda (oltre che a una sommaria, errata, nozione sul popolo ebraico come una entità di pura indole religiosa). È anche vero, come rilevano i filoisraeliani, che due terzi della terra già contesa vennero strappati dalla potenza britannica per concederli alla famiglia hascemita al fine di creare la Giordania. Vero, pure, che furono i regimi arabi a non accettare i territori oggi rivendicati per l'autodeterminazione palestinese allorquando l'ONU li assegnò a questo stesso scopo con la spartizione del '48; altrettanto vero che ai giordani, occupanti di quei territori, non si chiese mai quanto reclamato poi ai loro sostituti israeliani. E ancora: occupare una scuola elementare a Kyriat Shmona e uccidere i piccoli ostaggi non è la stessa cosa che l'agguato a qualche pattuglia militare. Buona parte della sinistra internazionale - anche questo è vero - aderì nel passato recente a un terzomondismo manicheo e semplicistico che giustificava Amin quando faceva sequestrare un aereo perché trasportava passeggeri ebrei e che trovava lecita una proposta di espellere Israele dall'Unesco mentre vi sedevano il Paraguay di Stroessner e l'Haiti di Duvalier. Nella sinistra europea è penetrata molta merce di contrabbando tra le pieghe del '68, compresi molti adepti del cattocomunismo che scoprirono nuovi stereotipi per un antisemitismo da cattolicesimo tradizionale. Questi fatti - comprensibili, alcuni, se collocati nel corrispondente contesto storico - sono veri quanto quelli sintomatici dei cambiamenti avvenuti in Israele. D'altronde è chiaro che nessuna colpa viene legittimata dall'esistenza di colpe altrui. Israele, 40 anni dopo, non è lo stesso. Non più tutti i generali sono archeologi o agricoltori costretti loro malgrado a impugnare le armi. "Sharòn ha perduto la capacità di distinguere tra il suo interesse personale e l'interesse dello Stato", ha avvertito Weizman. Spesso, proposte politiche e strategiche poggiano su tentazioni di dirigenti avventurieri che hanno poco a che vedere con bisogni reali. La rivolta palestinese segna, forse, l'ora della verità. Impone agli israeliani scelte precise. I governi laburisti hanno seguito in passato la linea del né-guerra-né- pace e la destra ha sempre voluto' rendere irreversibile l'occupazione. Si trovano gli interlocutori, quando prevale la volontà di negoziare. "Kenyatta era stato un terrorista, prima di diventare uno dei migliori presidenti che l'Africa abbia conosciuto", va ripetendo Arie Eliav, che si è incontrato diverse volte con il leader palestinese Yasser Arafat ed è da poco rientrato nelle file laburiste, dopo avere lasciato anni fa il posto di segretario e interrotto una sicura carriera ai vertici dello Stato perché in contrasto con le posizioni maggioritarie nel Partito sul futuro dei territori occupati. Le spinte della destra e degli irresponsabili di vario tipo DISCUSSIONE/BEfflN minacciano di provocare esplosioni sempre più violente, a catena. Di generare un secondo Sudafrica, in riva al Mediterraneo, su un fazzoletto di terra. Di alterare profondamente la democrazia e il carattere civile di Israele. I NOSTRIDEBITI COLMONDO Gianfranco Bettin Fine dei viaggi Non è mai stato così piccolo, il mondo, e così affollato, così esposto alla nostra curiosità e al nostro consumo. Il dif- . fuso benessere del Nord del pianeta e la concorrenza fra le agenzie turistiche e fra le compagnie aeree, abbattendo i prezzi dei viaggi, portano ognuno di noi, volente, ovunque, mentre l'invadenza del medium televisivo introduce nelle nostre case qualsiasi luogo del mondo, a ogni ora del giorno (grazie alla concorrenza tra i network). Per completare il quadro, oltre alle serate tra amici a base di diapositive e film video, un'incredibile quantità di riviste di viaggi (combinate a una fiorente industria porno-ecologista, che fruga ogni recesso delle più svariate specie animali e vegetali e le esibisce su carta patinata), trasporta il nostro sguardo a spasso nel villaggio globale. Come spesso accade in questi casi, la massificazione lungi dal produrre un reale aumento della conoscenza e della consapevolezza dei limiti, della fragilità e della varietà del mondo, sembra invece la fonte di un appiattimento ulteriore dell'esperienza, che si trascina oltre tutte le frontiere possibili con la stessa immutata miseria che la distingue al paese. Nel frattempo, però, si accresce la spocchia del turista-viaggiatore, con l'effetto di estendere al mondo intero il riferimento geografico della battuta di Totò: "Sono un uomo di mondo: tre anni di militare a Cuneo!". Non è un fenomeno nuovissimo, anche se negli ultimi tempi si è accentuato. Lo notava già, più di trent'anni fa, Claude Lévi-Strauss, viaggiatore, esploratore e studioso infaticabile, ma nauseato dai "professori" e dai "turisti con fotocamera", al punto da intitolare "Fine dei viaggi" il capitolo iniziale di un libro di viaggi straordinario, e mai abbastanza riletto e ripensato, Tristi tropici. Ciò che di nuovo è accaduto, di recente, è che ci si sta accorgendo di avere esagerato. Non solo esagerato con i viaggi (di questo, anzi, non si ha molta voglia di accorgersi), ma con gli effetti, diciamo così, laterali del sistema di produzione e di consumo che fornisce la base strutturale ai grands tours di massa (effetti che ormai stanno non solo di lato, ma sopra, sotto e finanche dentro di noi). Lo stato delle cose Durante ogni anno scompaiono alcune migliaia di specie animali e vegetali; circa 11 milioni di ettari di foreste tro7

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==