Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

DISCUSSIONE/SOKOLOWICZ Nouvel Observateur". La malattia, beninteso, non riguarda un'intera nazione. Sono i sistematici sostenitori della "diversità" di Israele a insistere sulla tesi della malattia che investirebbe tutta la sua società. Non produrebbe anticorpi un organismo a tal punto compromesso: sono israeliani i tormentati partecipanti che divide, i crescenti settori e correnti che reclamano negoziati per mettere fine alla rivolta, i fautori del riconoscimento del diritto palestinese all'autodeterminazione. Settori minoritari e tuttavia sempre più numerosi. Quanto al paese "diverso", è davvero difficile riscontrare qualcuno che non lo sia per specifici motivi. Israele ha sempre fatto tutto per essere uno Stato come tutti gli altri e, del resto, le circostanze internazionali l'hanno costretto a comportarsi in questo senso. L'uccisione di 6 milioni di ebrei ad opera del nazismo ha certamente rappresentato la tragica spinta che affrettò i tempi della realizzazione del focolare nazionale invocato dal sionismo, un movimento che, però, era già da decenni in azione. Secondo Furio Colombo, le resistenze a considerare Israele una nazione "normale" sono determinate dal fatto che "la cultura europea si ostina a vedere quel Paese come una discutibile opzione". Dentro Israele, ogni messa in discussione della legittimità di questo Stato favorisce naturalmente le chiusure e l'intransigenza. Gli stessi israeliani ammettono che "è più facile far uscire dal ghetto l'ebreo che non dall'ebreo il ghetto". La tesi della diversità è un'arma ricattatoria dei nemici di 6 Israele e, all'opposto, è usata come alibi dai fascisti israeliani. Paese come altri, al suo interno ci sono destra e sinistra, pacifisti e guerrafondai. Shamir si dichiara lieto di avere "allontanato il pericolo del piano Shultz", mentre l'influente laburista Eban sollecita i suoi connazionali a ''prendere atto che nell'OLP c'è stato un cambiamento" rispetto al passato rifiuto di riconoscere come una realtà l'esistenza della loro nazione. Vi sono i sostenitori dell'inutilità di un altro Stato arabo oltre alla ventina già esistente (come dire che l'Uruguay o l'Honduras non hanno ragion d'essere fra tanti paesi ugualmente ispanoparlanti), anche perché già la Giordania ha una popolazione in maggioranza palestinese, e vi è l'ex generale Peled che contesta come "fuori dalla realtà l'identificazione di giordani e palestinesi come un unico popolo". Certo, slogan patriottici e retorica nazionalistica hanno aperto brecce nella società israeliana. In un pericoloso fenomeno,· hanno acceso entusiasmi contagiosi tra i giovani. Gruppi oltranzisti si richiamano alla religione e vengono finanziati da associazioni degli Stati Uniti con cui sono imparentati. La pattuglia di esaltati della razzista Cahanne medita attentati come quelli che in passato mutilarono alcuni sindaci palestinesi, nella speranza di cacciare tutti gli arabi dal paese. I conservator-nazionalisti di Shamir, mentre nel governo trovano qualche alleato laburista per applicare con rigore il pugno di ferro contro la rivolta, sembrerebbero cercare diversivi - il cruento intreccio libanese ne offre pretesti con

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