Su tutt'altra strada, non so se per coscienza o per temperamento, si è posto Sandro Veronesi (nato nel 1959), con Per dove parte questo treno allegro (Theoria, pp. 186, L. 18.000). Piccolo romanzo di formazione di un giovane protagonista che non sembra avere molta intenzione di lasciarsi formare, il libro di Veronesi nasce da un'idea ricca di possibili sviluppi narrativi. È la storia infatti dell'incontro, dopo qualche anno di separazione, fra un padre moralmente riprovevole, ex-ricco in bancarotta, e interessato al figlio soprattutto (almeno in un primo momento) perché strumento di un irregolare recupero dell'ultima fetta di torta di capitale nascosta in Svizzera, e un figlio abulico, inetto, ma più consapevole del padre, e combattuto fra il desiderio di seguirlo per farsi insegnare "come si vive", il bisogno infantile o adolescenziale di una figura d'autorità e d'affetto, e l'intenzione (non troppo convinta) di perseguire coerentemente la propria condizione di marginalità, che è anche la più idonea a legittimare l'atteggiamento critico verso la società dei "grandi" e del denaro. Il racconto del viaggio che i due in qualche modo intraprendono insieme è tutto sommato piacevole, ma si esaurisce in un'affabulazione tanto accattivante quanto povera di spessori fin dalle prime righe, e che ci aspettavamo di veder tenuti con un piglio ben più aggressivo. DISCUSSIONE/TURCNEff A Alla fine, come il protagonista e narratore, che esce un pocolino dalla sua inattività e semi-apatia, ma non si sa se sia cresciuto davvero o sia ancora vicino al punto di partenza, così anche l'autore ci lascia con un sentimento di simpatia per il suo primo gesto di scrittura, ma insieme con qualche dubbio sulla maturità della sua vocazione. Gli elementi d'interesse non mancherebbero: lo aspettiamo alla prossima prova per sapere con più esattezza che cosa può darci. Una cosa però, più in generale, mi preoccupa (pur senza voler indulgere a pessimismi troppo radicali, sempre fuori luogo in un campo come la letteratura, dove le cose più importanti si preparano nell'ombra, e avvengono spesso inaspettatamente), ed è la debolezza delle ambizioni estetiche e conoscitive della nostra narrativa degli ultimi anni, inutilmente surrogate qua e là da poche astratte proposizioni supposte di valore universale. È una letteratura che in genere mira molto basso, che si accontenta di fettine minime di realtà, e appunto di poche e vacue affermazioni generali, quando non crede addirittura che non avere idee generali sul mondo sia un pregio; e che così fa raccontini e romanzetti, dichiarando, nei casi migliori, che non ha nulla da dirci, o molto poco. So che qualcuno si offenderà: peggio per lui. Di mancanza d'autocritica, e più, d'autoironia, è facile morire: farne vera letteratura, invece, è molto più difficile. «Ovest» letteratura americana Una nuova collana delle Edizioni e/o «Un esercizio di stile», ha scritto Beniamino Placido. «Sull'universo maschile della boxe la Oates ha da dire - da donna - cose molto belle e sottili; mai frettolose». La nota narratrice americana non ha scritto solo una brillante introduzione al mondo della boxe ma anche una stimolante riflessione sull'aggressività umana. Mistero, ironia, gioco letterario, poesia della scienza e della tecnologia nei racconti, tradotti per la prima volta in italiano, di quello che molti considerano il più importante scrittore americano d'oggi. Uno sguardo nuovo e penetrante sulla realtà americana. edizioni e/o, Vi? Camozzi 1 - 0019S Roma - Te/. 0613S2829
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