Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

DISCUSSIONEnURCHEnA genza di trovare volti nuovi, per quanto messa in atto un po' troppo spasmodicamente, appare largamente giustificata anche dallo stato di stallo appunto dei cosiddetti "giovani narratori", avviati dopo buone vendite e risultati artistici non di rado buoni, a precoci parabole declinanti, o quanto meno in fase involutiva. E non è facile capire in quale percentuale le responsabilità vadano attribuite alla micidiale coazione a pubblicare indotta dall'industria culturale. Fatto sta che, con regolarità sconfortante, a esordi promettenti sono seguite seconde e ulteriori prove nel migliore dei casi senza progressi. Pensiamo, per esempio, ai nipotini di Calvino: De Carlo e Del Giudice. Andrea De Carlo (che con Tondelli ha dato il "la" all'etichetta "giovani narratori") ora tace, ma forse è meglio che abbia qualche pensiero, visto che le sue quattro prove disegnano un diagramma tutto in discesa. Daniele Del Giudice, che possiede maggiore spessore culturale, è anche più attento ad evitare di lascirsi macinare dal "tritacarne" dell'industria culturale: ma il suo Atlante occidentale, secondo libro, se aveva confermato limpide doti di stilista, aveva anche messo in mostra ambizioni e presunzioni filosofiche per ora decisamente infondate. 74 Marco Veronesi (foto Studio (./Carmine). In basso: Ermanno Cava:n:oni (foto di Mauro Valinotti, da "Panorama"). Su tutt'altra lunghezza d'onda sta Aldo Busi, isolato picaro di non dubbio talento linguistico, e anche capace di far presa sul reale, dote che, al giorno d'oggi, pare più vicina all'estinzione della foca monaca. Del tritacarne Busi non ha paura, anzi, ci va a nozze, con una spudoratezza che a tratti confina col candore. Di questo però c'interessa fino a un certo punto; più dispiace vedere che le speranze suscitate da Seminario sulla gioventù (al quale ha certo giovato l'editing più severo dell' Adelphi rispetto alle successive uscite mondadoriane) aspettano ancora di ricevere piena soddisfazione, anche perché sembra un po' difficile riuscire a conciliare un ritmo di pubblicazione che è di un libro all'anno con la distillazione dell'opera decisiva. Il rischio, di questo passo, è che ,Ja definizione critica di Busi finisca per coincidere col titolo dell'autobiografia di Vittorio Gassman: "un grande avvenire dietro le spalle". Quanto a Pier Vittorio Tondelli, approdato non senza goffaggini sulle spiagge di Rimini, dopo altri, un poco più promettenti libertinaggi letterari, se dobbiamo prestar fede ai segni che ci vengono dalle sue attività editoriali, c'è poco da stare allegri. Il suo velleitario antologismo Under 25, giunto alla seconda puntata, rischierebbe la palma per il peggior concentrato di equivoco giovanilismo letterario, se non fosse larghissimamente superato dalla nuova collana mondadoriana per esordienti, "Mouse to Mouse", decollata (ma potrebbe atterrare presto) con clamore con l'autobiografia di Elisabetta Valentini, Fotomodella. In altri tempi un testo del genere sarebbe stato senz'altro consegnato ai bassifondi, commerciali ma senza spocchia, della "Varia", laddove oggi la qualifica di esordio giovane e, soprattutto, il fatto di venire dalla penna di una "top-model", bastano a farlo assurgere a dignità di letteratura. La collana peraltro, ha proposto già un secondo volume, Hotel Oasis di Gianni De Martino, narrazione para-avventurosa esotizzante, di sicura sciatteria. Del resto mi pare editorialmente temeraria la scelta di fare collane integralmente di esordienti: si rischia di essere obbligati a far uscire i testi scadenti più di quanto non accada nella normale attività di pubblicazione, o di far procedere le collane a singhiozzo, il che non è producente. E, a conferma, stanno le serie difficoltà di "Primo tempo", la collana per esordienti di Marsilio, che con Floppy disk, del trentatreenne Gaetano Cappelli (pp. 189, L. 18.000) non smentisce la mediocrità delle prime due uscite. Cappelli aveva una prima idea non disprezzabile, quella di costruire una "spystory" imperniata su un protagonista inetto casualmente coinvolto in losche vicende di traffici di droga e di armi. Ma, a parte la mescolanza incongrua di cascami eroici gialli e rosa che maldestramente correggono l'incapacità del protagonista, Cappelli non sa come organizzare la trama, e procede a casaccio. A questo si aggiungono la scrittura assai approssimativa e le innumerevoli tracce di yuppismo e di consumismo assatanato (per cui, fra le altre cose, l'autore sente il bisogno di griffare buona parte degli oggetti che cita, atribuendo loro una marca, anzi un marchio nobilitante): insomma, tutto da rifare. Ma tornando ancora per un momento ai narratori "gio-

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