DIICUSSION■nURCHIITTA È una letteratura che in genere mira molto basso, che si accontenta di fettine minime di realtà, e di poche e vacue affermazioni generali, e che così fa raccontini e romanzetti, dichiarando, nei casi migliori, che non ha nulla da dirci, o molto poco. verso i nuovi autori. Non si tratta, se non in percentuale minima e come effetto ultimo di altre dinamiche più sostanziali, di una tarda resipiscenza o espiazione dei critici stessi, finalmente resisi conto di una svista prolungata epperò innocente. E neppure conviene ipotizzare qualcosa come un brusco innalzamento della qualità media delle nuove proposte, tale da determinare un improbabile ritorno del rimosso collettivo. Di esordienti si parla, innanzitutto, perché da un po' di tempo (direi due o tre anni al massimo) gli editori ne pubblicano con notevole continuità. Ma anche, ed è solo in parte una conseguenza ovvia, perché hanno deciso di sottolineare e gonfiare l'iniziativa produttiva con una vistosa enfatizzazione pubblicitaria e promozionale della categoria dell'"esordio", e di quella del "giovane". In tutto questo c'è, sicuramente, una componente di adeguamento ai metodi di altri settori dell'industria culturale, come il cinema o la musica leggera, caratterizzati da un consumo più rapido e da una più ampia e pronta commercializzazione, e perciò fatalmente bisognosi di un ricambio costante, di personaggi, ma anche di opere e stili nuovi o almeno sedicenti tali. Senza contare l'importanza "fisica", estetica e visiva, di mostrare prevalentemente facce giovani (secondo l'equazione: gioventù = bellezza): esigenza in sé secondaria nell'universo letterario, certo non bisognoso di mostrare le facce degli autori, e anzi caratterizzato da una sorta di rarefazione percettiva, ma riproposta in modo sempre più pressante dal coinvolgimento crescente degli scrittori nei vari livelli dell'orchestrazione promozionale. C'è anche, certo, nell'industria editoriale, per quanto riguarda la narrativa, una fisiologica esigenza di svecchiamento e di apertura di nuovi fronti di mercato: da un lato non dedicandosi più esclusivamente ai profitti tranquilli ma difficilmente ampliabili della esigua schiera dei narratori italiani commerciali pseudo-alti già affermati, agli zombies (certo non-vivi, epperò non-morti!) del tipo Bevilacqua, Castellaneta, Saviane, Soldati et similia. Da un altro lato, provando a pescare qualche carta dal vivaio nostrano troppo improvvisamente trascurato, credo anche per alleggerire un pochettino la dipendenza (non solo per la produzione più commerciale) dalla narrativa estera. Anche se converrà non scordare che il pathos dell'esordiente avvolge egualitariamente italiani e stranieri, soprattutto americani (minimalisti), e anzi per certi aspetti è esso stesso un prodotto d'importazione. Prima che sull"'esordiente" però l'accento era stato posto sul "giovane", con l'invenzione (dalle parti del 1984, ma preparata già nell'ultimo scorcio degli anni Settanta) dell'etichetta, improbabile sul piano critico ma sostenuta con impegno vigoroso e tutto sommato vincente sul piano pubblicitario, "Giovani narratori", sorta di contenitore verbale, nel quale si sono fatti rientrare autori e libri molto diversi, e in molti casi tutt'altro che giovanissimi e tanto meno esordienti. Tornerò fra poco sui risultati estetici della cosiddetta "giovane narrativa", che ha certo avuto non pochi meriti, sia sul piano estetico che su quello delle politiche editoriali. Credo infatti ch'essa abbia segnato una fase di dinamismo e di ridefinizione di alcune zone dei cataloghi a favore di una letteratura medio-alta capace di coniugare il binomio leggibilità-vendibilità con elevati contenuti e moduli formali ben consapevoli della lezione sperimentalistica e avanguardistica. Non è un caso però che, fra le molte etichette disponibili, la scelta sia caduta proprio su una (mistificata)"giovinezza": una scelta, io credo, ideologica (e, come tale, per molti aspetti non consapevole). Il "giovane" piace, e vende: crocicchio simbolico di valori positivi sin dagli albori della modernità borghese, poi sempre più (ipocritamente) osannato nella società tardo-industriale, magari per esorcizzare con le concessioni del giovanilismo consumistico le tensioni davvero inquietanti delle contestazioni, oggi la figura del giovane è investita di rinnovate tensioni valorizzanti dal trionfo delle apparenze e dal mito (di chiare radici mass-mediologiche) del successo precoce, con tutta la sua fenomenologia e teratologia di "young professionals", rampanti, neo-asceti antiAIDS, pubblicitari, apolitici, agnostici, top-models, nonfumatori, pentiti, craxiani. Con il che, naturalmente, non si vuol dire che nella voga degli esordienti non ci sia anche altro, e in specie quel tanto di attenzione, finalmente attivata, per gl'immani continenti sommersi dell'inedito. Ma mi pare difficilmente contestabile che, appoggiati sullo zoccolo ex-duro dei "giovani narratori", gli "esordienti" abbiano conquistato, non so per quanto, un posto a sé grazie a spinte molto più efficaci delle buone intenzioni. Fra queste, "last but not least", credo ci sia, negli editori, la consapevolezza di un obiettivo di mercato: si può puntare sui giovani perché, nonostante e anzi persino con l'aiuto della televisione, i giovani sono una fetta importantissima del mercato della lettura. Sono infatti forse ignoranti in assoluto ma mediamente certo più acculturati dei loro maggiori; sono dotati di molto tempo libero, e certo amano ritrovare scrittori coetanei o quasi: ci si può perfino immaginare al loro posto. E qui scatta un'ulteriore motivazione, stavolta di acquisto più che di produzione: una buona fetta di lettori di esordienti è composta, credo, da aspiranti esordienti, in cerca un po' di soddisfazioni per interposta persona, ma un po' anche di confronti più o meno frustranti o incoraggianti, suscitatori di invidie rancorose ("perdio, ma così lo so fare anch'io!") o languenti ("oddio, non sarò mai capace!"). Il fatto è che può darsi che per molti scrittori esordienti l'aggancio del pubblico degli aspiranti scrittori rischia di essere meno un ampliamento di mercato che la segnalazione quasi esaustiva dei confini di questo stesso loro mercato: i lettori, insomma, potrebbero essere gli scriventi, o poco più; un po' come, su proporzioni ovviamente più limitate, è avvenuto per la "nuova poesia". A che punto è il profilo? Bisognerà p~rò anche riconoscere agli editori che l'esi73
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