Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

e disposto a farne uso balena qualche cosa della responsabilità concreta che viene soffocata non appena gli etici professionali stabiliscono dei cataloghi di criteri per definirla. Nell'instaurazione di un'etica della scienza deve necessariamente manifestarsi l'interesse dello Stato a far giurare agli uomini l'immodificabilità del progresso tecnico-scientifico esistente e a renderlo loro appetibile attraverso norme e significati "elevati". Questo è evidentissimo. Il guaio è soltanto che così facendo la filosofia è al contempo solleticata sul suo punto d'onore: quello di dire qualche cosa di attinente alla cosa (sachhaltig). Poiché non è che le bombe atomiche o i bambini in provetta non l'interessino per nulla; non è che essa possa passarci sopra per mettere all'ordine del giorno l'ennesima interpretazione di qualche filosofo da Platone a Nietzsche. Una filosofia che non è altro che l'esegeta della propria storia, che non fa altro che filosofare sulla filosofia, trasforma i propri concetti in vuote frasi. Il pensiero filosofico vivente non è autarchico, si accende su qualcosa che non è filosofico, sui problemi che s'impongono a tutti i contemporanei pensanti. La sua indipendenza è relativa, è legata alla realtà di cui si nutre. E questo nel nostro caso significa che può prescindere dai problemi posti dalle scienze naturali e dalla tecnica solo a prezzo di sacrificare la propria attinenza alla cosa [Sachhaltigkeit]. Essa deve per forza prendere le mosse da essi, però per andare per la propria strada. E può essere che questa conduca là dove non vuole l'interesse dello Stato: verso questioni apparentemente remote che peraltro si accostano ai problemi reali più di quanto si desideri in alto luogo. Che si deve pensare del nominalismo, cioè di quella tendenza filosofica che nel Trecento poté figurare come la coscienza critica più progredita perché non interpretava più al modo del Medioevo i concetti presenti nelle teste umane come espressione spirituale dell'intima essenza delle cose, predisposta da Dio, bensì sobriamente e modernamente come puri nomi in cui i soggetti sistemano come in classificatori un mondo in sé privo di strutture? Non è profondamente nominalistico concepire il mondo come una massa in sé senza Dio e senza forma, res extensa, che riceve ogni forma e senso solo dai soggetti che la ordinano? Ma non sta proprio qui la radice del moderno concetto di oggetto come cosa in sé priva di essenza, indifferente, intercambiabile, che non è altro che quello che se ne fa? E la quintessenza di quest'oggetto non è forse la merce? Non è il carattere di merce potenzialmente inerente a tutte le cose il segreto presupposto del fatto che la natura andò sistematicamente a finire sul tavolo anatomico? E non è la posizione nominalistica del pensiero verso l'oggettività che ha trasformato il processo sociaie'nella circolazione universale delle merci, cui è concesso di sussistere solo in quanto si allarga continuamente e lascia prosperare il progresso scientifico solo nel quadro della propria costrizione ad espandersi? E che inversamente attraverso questo corso delle cose si è talmente fissata nelle teste da sembrare natura, facendo perciò apparire naturale che si misuri l'utilità dei risultati scientifici dal loro potenziale successo come merci? E che considera moralmente neutrali sia il progresso scientifico nella forma esistente che la mercificazione della forza lavoro e vede apparire il bene e il male NARRAR■ LA SCIINZA/TURCKI solo quando si tratta della loro applicazione? Questa è solo una piccola scelta delle domande che non vengono nemmeno poste dall'etica della scienza. Esse sono escluse dalla discussione tanto sistematicamente quanto certi autori. Quel "filosofo della tecnica" che merita questo nome più di ogni altro perché già verso la metà del secolo scorso espose molto precisamente in che modo, in che condizioni e con quali costi morali ha avuto luogo lo scatenamento del macchinismo e della grande industria che fino ad oggi sono il fondamento di un rapido progresso, quel filosofo - voglio dire Karl Marx - viene citato al massimo quando si mette in guardia contro false utopie, istanze morali eccessive e malanni del blocco orientale. E colui che a metà di questo secolo, quando nessuno ancora parlava di etica della scienza, denunciò apertamente i presupposti e le conseguenze della bomba atomica - voglio dire Giinther Anders - è trattato con molta parsimonia. Il perché è chiaro. La filosofia non deve riflettere sulle condizioni materiali e spirituali che hanno reso possibile il progresso verso la bomba atomica e la manipolazione genetica, bensì dire come se ne può venire a capo adesso. Deve accettare questo progresso come costrizione di fatto e dargli una risposta attinente alla cosa [sachhaltig]. E proprio questi suggerimenti il pensiero filosofico non li ammette. Nello sforzo di diventare concreto hic et nunc, esso si sgonfia in luoghi comuni sulle responsabilità di ieri e di oggi o in decreti ministeriali in potenza, dando a divedere che il diventare attinente alla cosa su comando altrui non è proprio affar suo. Che cosa debba invece fare l'ha formulato benissimo Lessing: "Non è vero che la via più breve sia sempre quella retta". Questa frase era stata propriamente coniata per la storia, che già allora non aveva l'aria di portare in linea retta alla moralità e alla felicità dell'umanità. Pure per Lessing non è affatto detto che la storia non faccia proprio questo, a modo suo, poiché ragione e morale non si sviluppano secondo leggi geometriche e linee di forza. La speranza di Lessing si rivolge alla forza della riflessione e all'irreducibilità del suo modo di procedere; all'ipotesi che le sue giravolte si possano un giorno rivelare il cammino del suo costante perfezionamento. Una speranza estremamente malridotta al giorno d'oggi, eppure non del tutto estirpabile. Il pensiero filosofico non può vivere senza di essa. Esso non la esprime delineando un roseo futuro ma attraverso l'incapacità di rassegnarsi a qualsiasi costrizione fattuale: non a quella apparente per cui cospirano la scienza, la tecnica e la politica nella società moderna produttrice di merci, ma nemmeno a quella veramente immutabile rappresentata dalla caducità e dalla morte. Nella sua peculiarità di essere concreto solo là dove può fare giravolte non comandate e non deve dare informazioni a base di sì e di no, esso stesso rappresenta in miniatura quella libertà in senso enfatico la cui piena realizzazione sarebbe l'unico modo di dargli quiete. "La filosofia seria volge alla fine", diceva Max Horkheimer. "Le scienze,dello spirito hanno grandi chances", dice il segretario di Stato Borner. I due non si contraddicono. La scienza dello spirito che ha di mira l'uno fiorirà senza impedimenti allorché la filosofia di cui parlava l'altro non sarà più. 69

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