Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

NARRARI LA SCIINZA/TURCKI poste dalle conquiste della medicina e della biologia genetica, dalle sperimentazioni scientifiche con uomini e animali, dall'energia atomica e dalla politica del terrore. "Libero sarebbe solo chi non dovesse piegarsi alle alternative, e nell'esistente c'è una traccia di libertà nel rifiutarsi ad esse", dice Adorno. Il rifiuto che aveva in mente è il rifiuto del pensiero di abbandonarsi alla corrente dei sì e dei no, dei pro e dei contro, che le costrizioni oggettive ingenerano in permanenza nei soggetti. Solo dove c'è questo rifiuto è eventualmente ancora possibile un pensiero non tenuto al guinzaglio. Eliminare questa possibilità è uno dei compiti assegnati alla nuova etica della scienza. Bisogna dare delle risposte e quando non le si ha pronte bisogna almeno cominciare a metterle in cantiere. E già si naviga nel bel mezzo delle alternative. C'è per esempio la biologia genetica, che provoca inevitabilmente le domande: si può, in generale, intervenire sul patrimonio ereditario? E se sì, solo su quello di piante e animali o anche su quello di esseri umani? E il filosofo dovrebbe dare una risposta etica. Respingerà indiscriminatamente l'intera biologia solo perché può sperimentare con embrioni umani in provetta o produrre batteri letali? No, insisterà sul fatto che essa produce anche l'insulina e che forse presto combatterà malattie ereditarie, arrivando così a un giudizio equilibrato: la scienza di per sé è al di là del bene e del male, solo la sua applicazione non lo è. Quindi egli inviterà all'uso responsabile della scienza: non tutto quel che è fattibile deve essere fatto. Inoltre ammetterà che l'esatto confine tra lecito e illecito in un primo tempo è discutibile, né può essere diversamente in una società pluralistica con diverse norme e valori, e che non si può nemmeno sapere bene come si farà a andare avanti su questa via senza mettere in questione il pluralismo stesso, ma che proprio per questo il dialogo con gli scienziati è irrinunciabile. Se l'impostazione è questa, può forse uscirne qualche cosa d'altro? Hans Jonas afferma: l'uomo può "vivere certamente senza il sommo bene, ma non con il sommo male'', dal che consegue "che il fine attuale consiste nella riduzione dei fini", ciò che "dovrebbe già influenzare il processo di creazione dei ritrovati tecnici". In altre parole: non si deve fare tutto quello che si può fare. Hans Lenk afferma: "Nella ricerca di punta succede come negli sport di punta: in entrambi questi sistemi di concorrenza ... c'è la tentazione della slealtà", ragion per cui occorre "la disciplina della vigilanza morale". Otfried Hoffe afferma: "In primo luogo l'uomo non è libero di agire in modo arbitrario: non gli è lecito fare tutto quello che può fare. In secondo luogo l'uomo è tenuto a evitare ogni azione secondo natura che sia dettata solo dall'interesse personale, dal potere del più forte e dalle convenzioni sociali: è tenuto invece a considerare gli interessi dei colpiti", ciò che applicato agli esperimenti sugli animali significa che bisogna ridurli al minimo. Odo Marquard afferma: "Censurare la ricerca in nome della buona causa", come ha fatto la teologia per secoli, lede la neutralità della scienza, il suo diritto a essere "curiosa senza riserve" e a "sbagliare senza conseguenze", sicché il principio etico "non fare tutto quello che si può fare" è da applicare alla stessa etica della scienza: non ogni limitazione di cui si sarebbe capaci 68 va anche bene per la scienza. Elisabeth Stroker afferma: è vero che si dedica già "la massima attenzione filosofica ... al potenziale di problemi di un'etica della scienza", "senza peraltro che lo strumentario etico generale sia stato sviluppato già in modo da poter decidere abbastanza chiaramente se ci si sta avviando verso un'etica della scienza davvero fondata filosoficamente e da elaborare sistematicamente con principi e criteri precisi, etica che poi potrebbe essere considerata una 'nuova etica'; oppure se questa etica sarà un nuovo settore dell'etica filosofica tradizionale". Quindi dobbiamo aspettarci profonde discussioni per sapere quanto nuova è la nuova etica, quanto normativo deve essere il suo principio per cui ''non è lecito fare tutto quello che si può fare" e come dovrebbe presentarsi lo "strumentario etico" con il cui aiuto si giunge, a partire da "premesse che sembrano vere a tutti, ai più o agli uomini saggi" (Hoffe), a plausibili indicazioni di condotta per la vita quotidiana dello scienziato. Alcune speranzose proposte sono già arrivate sul tavolo: "perché non ci dovrebbero essere una specie di incaricati federali per la protezione degli interessi delle generazioni avvenire?" (Lenk) oppure "delle commissioni etiche con competenza decisionale legale, che dovrebbero essere installate dal parlamento e formate da membri competenti in morale o nelle singole specialità corrispondentemente al pluralismo etico delle società"? (Werner Becker, voi. 4). Queste sono tutte citazioni difilosofi. Esse mostrano dove va a finire il pensiero filosofico eteronomo, vincolato fin da principio a un compito determinato: va a finire nel luogo comune finché resta teorico, nella disposizione ufficiale non appena diventa pratico. Non conduce a nulla che le autorità non potrebbero mettere in opera anche senza di esso, ma è la prova che ci si fa delle idee, e delle idee etiche. Il processo tecnico-scientifico preme per così dire da solo verso l'elaborazione di uno "strumentario etico" ad esso adeguato. L'imperativo categorico che gli sta dentro suona: regolati in modo che io possa essere 1.1naleggeper tutti. Questa è la massima fondamentale dell'etica della scienza, che già nel suo linguaggio fa capire che non è diversa dalla pianificazione della scienza, cui contemporaneamente attesta di essere già quasi un'etica. Questo alone la pianificazione della scienza non se lo può conferire da sé: ecco perché ha un'opinione così elevata dell'etica della scienza. Se la filosofia difende la causa dell'amministrazione, chi difenderà allora la causa della filosofia? Nei convegni della fondazione Werner Reimer chi la difende meglio sono forse gli scienziati della natura. Là dove dei medici o dei biologi genetici fanno emergere dalle loro specialità i problemi filosofico-morali in esse impliciti (p.es. Friedrich Cramer nel terzo voi., Hermann Hepp nel quarto), le conferenze diventano subito interessanti, inoltre additano una svolta. Lo scienziato che resiste alla pressione cui è sottoposto affinché faccia il piacere di occuparsi soltanto del suo progetto di ricerca e delle leggi naturali che gli stanno dietro; che trova l'energia spirituale di riflettere su queste leggi e di accorgersi delle loro implicazioni politiche e morali; questo non-filosofo diventerà il depositario di una consapevolezza filosofica affinché li "approfondisca". Nello scienziato capace di autoriflessione

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