DISCUHIONI/SOKOLOWICZ L'attuale rivolta contro l'occupazione israeliana nella striscia di Gaza e in Cisgiordania configura in sé l'identità di un popolo. Considerarla mera alterazione di ordine pubblico significa negare la sua legittimità politica, oppure è frutto di miopia. li dominio su una popolazione deforma i dominatori. posizione fra nazionalisti-conservatori e laburisti), fu un oppositore strenuo del trattato di pace con l'Egitto perché contrario alla restituzione a questo paese della penisola del Sinai. Sharòn, l'ex generale autore dell'avventura libanese, che si era arrampicato ai vertici della destra dopo avere tentato invano di farsi una carriera a sinistra, mise in evidenza tutta la sua pericolosità nel discorso di congedo ai collaboratori del Ministero della Difesa allorché fu costretto da Begin a lasciarne la guida in seguito alle conclusioni dell'inchiesta sulla strage di palestinesi nei campi di Sabra e Chatila, nel Libano: sostenne in quell'occasione che si doveva consolidare il dominio sul territorio libanese, che bisognava recuperare il Sinai, essere preparati per una guerra a suo dire probabile con la Giordania, tenersi pronti per respingere prevedibili attacchi dei restanti regimi arabi del versante orientale ... David Levi è un altro aspirante ben piazzato: originario del Marocco, ricorre senza pudori a mezzi anche grossolani della demagogia di facile presa sull'elettorato la cui sensibilità e i cui gusti conosce bene. Alcuni commentatori della stampa israeliana chiamano "peronisti" Sharòn e Levi, per il populismo sul quale entrambi fanno leva. Loro due, nell'area del potere, sono interlocutori assidui dei coloni degli insediamenti nei territori occupati e degli oltranzisti di destra raggruppati nel partito "Tehyìa" (Rinascita), che ha fra i suoi dirigenti l'ex generale Eytan, già capo di stato maggiore dell'impresa libanese. Anche Shamir, certo, è un attento ascoltatore dei reclàmi e pretese della stessa provenienza. Non vuole perdere colpi nella gara con gli avversari di partito, mentre ha ormai vanificato tutti i risultati positivi raggiunti dal predecessore alla guida del governo, il laburista Peres, durante i primi due anni della stessa coalizione. Soprattutto, si è di nuovo radicalizzato il dibattito nella società israeliana. Contrasti e scontri si riflettono all'interno dell'esercito, così com'era già avvenuto durante l'occupazione del Libano. "Ogni volta che erano stati chiamati in guerra, nel passato, i nostri uomini sapevano di avere ricevuto l'ordine perché non c'era altra scelta possibile, perché tutte le altre alternative erano state tentate". Non è più, oggi, come ai tempi così ricordati da Ezer Weizman. Una volta, l'istituzione militare era un fattore e un simbolo dell'unità nazionale. Weizman è nato in questa terra; suo zio è stato il primo presidente di Israele. Di idee liberali in economia, sulla scena politica fu a lungo un "f ateo" senza esitazioni. Comandante dell'Aeronautica fino a pochi mesi prima della "guerra dei sei giorni", decisa praticamente in poche ore di quel giugno '67proprio dall'aviazione, popolare per la brillante carriera sotto le armi, Weizman accettò le sollecitazioni di Begin perché entrasse nel partito nazionalista "Herut", del cui primo governo divenne ministro della Difesa. Segnato profondamente dalla visita di Sadat a Gerusalemme - una sorta di rivelazione-, contribuì al raggiungimento dell'accordo con il presidente egiziano. Poi, in contrasto con il primo ministro circa la politica verso il mondo arabo, lasciò il governo. Dopo alcuni anni di silenzio, pubblicò un libro: La battaglia per la pace (edito in Italia da Sperling e Kupfer). Sulle possibilità di arrivareallapace con gli arabi - vi si legge - "non avevamo mai riflettuto a fondo". E anche: "Molti dei miei compatrioti vanno in tilt ogni volta che si parla dei palestinesi come eventuali negoziatori (... ) Per anni si è trattato di 'noi o loro'. Ritornato alla politica con un piccolo raggruppamento di centro ultimamente confluito nel Partito laburista, l'ex generaled'aviazione è oggi ministro senza portafoglio e un sostenitore appassionato del bisogno di trattative israelopalestinesi per un compromesso tra quelle che nel libro definisce "due giuste cause". L'attuale rivolta contro l'occupazione israeliana nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania configura, in sé, l'identità di un popolo. Considerarla mera alterazione di ordine pubblico significa negare la sua legittimità politica oppure è frutto di miopia. In ogni caso, aberrante è il ricorso alle punizioni fisiche, minacciano il sistema democratico della nazione occupante i provvedimenti repressivi nei confronti di intere popolazioni, feriscono gravemente la comunità civile israeliana gli spari delle armi scaricate dai fanatici coloni degli "insediamenti". La miopia risale al momento dell'occupazione stessa di quei territori, ottenuta con la vittoria della guerra del '67. Una riduzione di raggio ottico provocata da cause profonde, favorita da fattori incidentali e incentivata da irrigidimenti dovuti a sviluppi internazionali avversi. Dopo un ventennio di rifiuti arabi, di armistizi violati dalla controparte, di attacchi terroristici, il trionfo sull'offensiva concentrica che appariva decisiva per la sopravvivenza del piccolo Stato rappresentò un evento liberatorio. Un fatto incidentale fu la morte del primo ministro Eshkol poco dopo la guerra: Golda Meir, ereditata la carica senza essere all'altezza del compito in quel frangente, non seppe o non volle frenare l'euforia divenuta ebbrezza nazionale. All'esterno, infine, il "raìss" egiziano Nasser trasse dalla sconfitta rinnovata forza per imprimere in campo arabo e nel movimento dei paesi nonallineati una sterzata ulteriormente antiisraeliana. Il dominio su una popolazione - si sa - deforma i dominatori. C'è una concatenazione naturale tra "l'ondata di nazionalismo che sommerse l'intero paese" con cui "il misticismo nazional-religioso divenne una carta politica" (Weizman) e le botte meticolose a scopo di frattura per prevenire dimostrazioni, o l'arresto di intellettuali, passando per la confisca di terre e le provocatorie installazioni dei coloni israeliani nel cuore di antichi centri arabi. Ormai vengono espulsi abitanti dei territori anche se non terroristi e fatte saltare case con la dinamite non perché rivelatesi covi per azioni armate ma come vendetta contro gente inerme. L'assenza di lungimiranza sotto l'incalzare condizionante di moti espansionistici è considerata una "malattia" da Jean Daniel, ebreo, direttore del settimanale francese "Le s
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==