UNSOGNO DeniseLevertov Mi è stata raccontata una storia. Una storia di mare e del tempo sospeso. Di quando i mari oscillano lenti e poi di uno squarcio che improvviso si apre nel tempo. E del tempo, che presto si trasforma in tempesta di mare e rovescia lenti i suoi ingranaggi in una notte di afa. Ma la storia non apparteneva al tempo bensì al mare; il tempo e gli uomini che abitavano quella storia erano di mare, il mare li conteneva ed era a sua volta contenuto dall'oscurità. L'uomo che mi raccontò la storia era giovane quando la storia ebbe inizio - era ufficiale su quella nave di cui non mi disse il nome. Dell'equipaggio - costituito per la gran parte da marinai che avevano viaggiato insieme prima che il giovane ufficiale si unisse a loro - facevano parte due uomini, Antonio e Sabrinus, che il resto dell'equipaggio teneva in amorevole, rispettosa considerazione. I due erano amici; ma più che amici l'armonia delle loro risposte, quel loro stare sempre insieme, in silenzio, vicini, li faceva apparire come fratelli gemelli. La loro amicizia, finché li racchiuse nel suo anello, non sollevava gelosia o disprezzo; piuttosto emanava una lucegentile e serena e veniva considerata come qualcosa di bello, di intoccabile. Il Capitano stesso della nave (che raramente compariva sul ponte), concesse loro uno speciale privilegio: con abilità impareggiabile Antonio aveva costruito in un periodo di disoccupazione una minuscola imbarcazione tutta sua che con Sabrinus, quando fu terminata, dipinse di un rosso vermiglio, non scarlatto ma carminio luminoso. Ad Antonio fu concesso di tenerla, serrata ad organi speciali - lieve ed elegante come un pezzo di modellismo ma perfettamente adatta a tenere il mare - e quando la nave ormeggiava in una rada o in un porto, oppure sostava nella bonaccia a metà del viaggio, lui e Sabrinus andavano a pesca, con quella piccola imbarcazione - a vela, se c'era vento abbastanza oppure a remi quando la bonaccia faceva della superficie del mare una distesa di olio. E neppure questo sollevava risentimento tra i membri del1'equipaggio. Quanto al fatto che pensassero gli stessi pensieri e parlassero le stesse parole - erano in pochi quelli dell'equipaggio che ne capivano la lingua: poteva essere portoghese oppure catalano oppure un qualche dialetto di una qualche isola - e che il battellino o la barca portasse solo due persone - anche questo era tacitamente accettato. Inoltre una gentilezza illimitata, una disposizione costante alla cortesia compensava la loro riservatezza. Quanto alle incombenze quotidiane, la vita della nave, Antonio e Sabrinus erano svelti, avveduti e scrupolosi. Fu così che il giovane ufficiale si rese di lì a poco conto che tra gli uomini era nata e si era diffusa la credenza che Antonio e Sabrinus portassero fortuna e che finché essi fossero a bordo nessun male avrebbe toccato né gli uomini né la nave. Per questo, quando una notte (o forse tutto iniziò un gior64 no buio) una tempesta si abbatté sulla nave e, col passar delle ore la tempesta prese ad infuriare sempre più violenta, a tutti essa apparve, sulle prime, "semplicemente" una tempesta. Il vento si fece materia solida, consistente, insistente, l'unica qualità che gli mancava era quella di essere letteralmente visto - e tuttavia i membri dell'equipaggio continuarono a pensare che si trattasse solo di vento; quanto alle ondate che frustavano alte la nave per quanto si sollevassero al di sopra della sua cima, per quanto sembrassero sul punto di divorare tutto ciò che riuscivano a raggiungere, ebbene nonostante tutto questo, ancora esse non parevano altro che onde; sicuri inoltre che la nave e il viaggio fossero protetti da una provvidenza speciale che prendeva corpo nell'incandescente fraterna presenza dei sacri amici, i membri dell'equipaggio barcollavano afferrandosi qui e là, spostandosi comepotevano tra violenti scossoni da una parte all'altra del ponte. Ma anche a questa fase di coraggiosa attività fu posta una fine, perché mentre la vita scivolava via e, lontana e violenta, la tempesta raggiungeva il suo orgasmo, sugli uomini s'abbatté duro e silenzioso il gelo della paura alla vista di Antonio e Sabrinus che apparivano sotto nuova luce, i volti marchiati dall'odio mentre le parole dell'uno s'infrangevano violente contro le parole dell'altro. All'origine del litigio, la barca cremisi.Poiché credeva che la nave stesse per affondare, Antonio aveva deciso di sciogliere gli argani e varare il suo manufatto. Confidava che l'amico fosse disposto a cercare di salvarsicon lui su quella barca, per quanto fragile essa fosse jn tale mare. Tuttavia, più che salvarsi la vita, sembrava desiderasselasciare in libertà la barca così che, dovesse essa andar distrutta, ciò avvenisse sul campo di battaglia, ad armi pari con il grande oceano e non come una prigioniera incatenata al corpo della nave. Sabrinus invece si rifiutava. Per quanto la più parte di coloro che li stavano ad ascoltare serrati tutto intorno da tre parti (e dalla quarta era il mare stesso) non riuscissero a capirne la lingua, e a coloro che la capivano, l'infuriare della tempesta permettesse dicoglieresolo qualche parola, tutti intendevano cosa Sabrinus diceva,No, mai e poi mai avrebbero dovuto lasciare la nave cui avevano legato la loro vita e fosse stato possibile avrebbero dovuto aiutare i compagni a salvarla - come fossero esserimortali sarebbe loro toccato un destino comune a tutti gli altri. Nessuno dei due cedeva all'altro e in breve lontani e dimentichi di chi stava loro intorno, nell'odio così come lo erano stati in amore, si scagliarono l'uno contro l'altro in una lotta sanguinosa. E il giovane ufficiale interpretò l'odio che provavano come il frutto segreto e lungamente custodito del loro amore, il raccolto insospettato e pauroso dell'eterna bonaccia dei loro viaggi, di una reciproca, benevola disposizione e di una comprensione totale, esclusiva. Nessunodi tutti quelli che andavano afferrandosi a puntali o ringhiere, a qualsiasi cosa capitasse loro sotto mano sul ponte fortemente inclinato, di fronte a un tale abominevole spettacolo, riusci a restare indifferente. Ma non ci fu
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