Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

DELTEMPOEDELLA SCELTAIDEALE Wal/ace Stevens Dato che di trenta mattini c'è bisogno per fare un giorno del quale si può dire: è questo il giorno che tanto volevamo, di ruote vuote e blu, che avvolgono i quattro angoli del cielo azzurro, smaltato, tutto smeraldino nello spazio che riempie, silente movitore lassù di chiaro, rotante cristallino; dato che di trenta estati c'è bisogno per fare un anno, e che trenta anni, nella galassia del nascere, sono un tempo giusto per contare e ricordare e riempire la terra di giovani vecchi di secoli e di vecchi che hanno scelto, freddi perché ciò che hanno scelto ormai non è più la loro scelta, né hanno voglia di distinguere l'oro mattutino dall'oro d'Espero, il punto, pallido polo delle somiglianze, sperimentato, ma appena intravisto; di quante scelte quella finale è fatta, e chi sarà a dirla, bambino o vagabondo, o donna che piange in una stanza o uomo, l'ultimo uomo dato per compendio, sulle cui labbra la dissertazione risuonerà, e in che luogo, che estremità esultante, e in che campo dell'anno come del giorno; e che eroica natura di che testo sarà in parole la celebrazione di quell'orazione, il senso più felice che un mondo approva, il compromesso del pensiero, risolto infine, centro di rassomiglianza, scoperto sotto le ossa dei filosofi del tempo? L'oratore dirà che ci troviamo al centro di un tempo ideale, l'inumano che sceglie un io umano. (1947; traduzione di Gino Catasta) da L'angelo necessario, a cura di Massimo Bacigalupo, di prossima pubblicazione presso le edizioni Coliseum. POUIA/STIVENS/STOCKENSTROM DUEPOESIE Wilma Stockenstrom Diffido delle parole Diffido delle parole, dell'araldica poesia che ricama orrori imprese eroiche in inquartati blasoni vantando fastosa. Di parole si adorna la casa del tradimento. Di parole si compone la sentenza di morte. E soprattutto dubito dell'ostentata Parola attorta in dorate esplosioni di altari barocchi e drappi rapaci, la Parola che impartisce benedizioni al cinismo. Le parole mi serrano in una gabbia, e io mi aggrappo alle sbarre a testa in giù, come un pappagallo, protestando in rumore e colore, profana, impotente. Le parole sono disastri, disastri, disastri! Mostrami una parola, una sola, che non sia imbroglio. Dimmi una parola che non getti subito un'eco nello spazio fra me e gli altri, sommersa dalle spire di filo spinato delle parole. All'inizio era la fuga, e così è ancora. Benvenuto, straniero ... Benvenuto, straniero oblìo. Non temere, spargi su di me il tuo vuoto oscuro, ingrandimento delle tenebre dietro le mie palpebre. La vita, che ressi come uno specchio per registrare una verità invertita, meticolosa in rapporto alla grandezza dell'inquadratura, si è infranta è esplosa in frammenti che mi lacerano gli angoli della bocca. Sii la benvenuta, dolce morte; il tuo nome, l'ultima mia parola insanguinata, e il tuo anonimato, un compimento. (traduzione di Itala Vivan) 63

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