Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

DISCUSSIONI/SOKOLOWICZ ACCADEINIIRAELE Joaqu{n Sokolowicz "Dopotutto, è vostra la colpa dell'avanzata della destra in Israele". Rivolta a ospiti stranieri, sembra una battuta di spirito questa frase che Jeoshùa fa scivolare nella conversazione nel suo piccolo appartamento di Gerusalemme. I vecchi amici, ebrei argentini in visita, sono preoccupati per quanto sta accadendo da queste parti. Jeoshùa sorride, come faceva da giovane a Buenos Aires anche per addolcire le parole più dure. Queste di adesso, in ogni caso, non sono un rimprovero ai compagni di un tempo nella lotta per il comune ideale sionista-socialista perché rimasti dov'erano allora. Pura riflessione, come tante altre che si accumulano nella testa con gli anni che passano. Militante del Movimento "Mapam" - la corrente marxista all'interno del sionismo -, in Israele fin dall'inizio degli anni '50, un titolo di avvocato rimasto oltreoceano, vent'anni in un "kibbutz" con la moglie a occuparsi di polli e di aranceti, il trasferimento in città dietro l'impulso di un 'antica vocazione artistica poi di nuovo accantonata, l'attuale impiego pubblico che gli ha consentito di restare nella magia di Gerusalemme. Oggi, legge i classici, si tiene informato sulle tendenze pittoriche nel mondo, partecipa alle manifestazioni di "Shalom Ahshav" (Pace subito). Conosceva il giovane pacifista Grunzweig, ucciso da una pallottola sparata dal gruppo di destra che manifestava anch'esso davanti alla presidenza del Consiglio. Gli israeliani giunti in questa terra per scelta o perché sopravvissuti al genocidio europeo non sono più la maggioranza. Generazioni nuove e mutamenti nel flusso immigratorio hanno modificato il quadro demografico. La "riunione delle diaspore", con il passare degli anni, è andata avanti da una parte sola. Ebrei acculturati, senza professione né mestiere, religiosi, animati da forti rancori verso il mondo arabo dal quale per lo più provengono, hanno assunto un peso crescente. Nelle urne, undici anni fa, sconfissero l'establishment in sella fin dall'indipendenza, costituito dai ceti medi, colti e laici. Gruppi della destra oltranzista e fanatici che strumentalizzano la carta religiosa (sono laici molti militanti del "Gush ' Emunim", il Blocco della fede) calamitano questo settore dell'elettorato, a cui si appellano anche nazionalisti aspiranti alla guida del paese. La democrazia israeliana, tradizionalmente esemplare, è esposta ai pericoli rappresentati - ovunque - dal fanatismo per i sistemi civili. Seduti nel salotto del villino in cui vivono dal '48, allorquando fu loro affidato appena arrivati dall'Europa, Hana e A vraham appaiono invecchiati. Indifferenti alla bellezza delle colline che s'intravvedono dalla finestra, sulle quali è 4 posata la cittadina di Kyriath Tivòn, aNord di Haifa, leiparla lentamente dei suoi dolori alla schiena e del nipotino appena nato. A vraham non interviene. Saranno le malattie, forse, ad avere così cambiato il carattere di questo uomo che ancora un anno fa rispondeva con una valanga di parole entusiaste a qualsiasi sollecitazione di discorso. Il suo entusiasmo per ogni cosa che lo riguardava - diceva lui stesso - era vivo da quando, poche ore dopo avere messo piede nel porto di Haifa, gli diedero un fucile e lo mandarono al fronte "come un vero soldato". A vraham non si faceva pregare se gli chiedevano di raccontare qualche episodio della sua passata epopea in Polonia. Lanciatosi dal treno merci che dal ghetto di Bialystok portava alle camere a gas di Treblinka - dopo che aveva colpito con una chiave inglese tenuta in tasca il militare tedesco sorvegliante del vagone e convinto un paio di uomini a seguirlo -, comandò un gruppo di partigiani per parecchi mesi. Conobbe Hana, poco più che un 'adolescente, in mezzo a un bosco dove si era nascosta, appena sfuggita al massacro dellafamiglia nel villaggio Jashinovka. Dopo la guerra, l'internamento in un campo rifugiati dell'Italia settentrionale, la nave verso la "terra promessa" e la ricacciata indietro per il rifiuto inglesedi autorizzare lo sbarco, mille disagi in un campo per rifugiati a Cipro e, finalmente, l'arrivo in Israele. Hana e A vraham erano stati simpatizzanti del/' "Ahduth A vodà", il partito socialista che finì per confluire tra il laburisti come corrente, ma negli anni scorsi parlavano con ammirazione del primo ministro dell'epoca, Begin: sarà stata l'influenza dei due figli divenuti sostenitori del capo nazionalista. Adesso, seduti nel salotto, lui tace e lei, con un tono grave mai usato quando ripeteva le informazioni asc.oltate alla televisione solo per mostrarsi aggiornata, dice: "Chissà se il governo sa quello che deve fare. Speriamo". I laburisti pagarono nelle urne, nel '77, il costo delle rivalità intestine e la carenza di proposte politiche da parte di quelli che erano gli eredi dei padri fondatori. In Israele è sempre stato particolarmente sentito il bisogno di leaders. Anche la destra, in questi ultimi anni, è stata investita dalla crisi di dirigenti. Menahem Begin vinse le elezioni della seconda metà degli anni '70, tra l'altro, perché era un superstite della prima generazione; inoltre, al di là dell'oratoria trascinante e densa di richiami ad antiche glorie conquistate dagli èbrei, aveva dimostrato il senso dello Stato: avversario duro dello storico leader laburista David Ben Gurion e da questi attaccato spesso in termini sprezzanti, non esitò in un momento di emergenza nazionale a proporre il ritorno di quel1'ormai anziano artefice dell'indipendenza alla testa del governo. Ritirato Begin dalla vita pubblica, verosimilmente perché sentitosi ingannato dai suoi strateghi militari sui veri scopi e sui risultati dell'invasione del Libano, la successione è tuttora oggetto di ambizioni contrastanti. Shamir, l'attuale primo ministro della coalizione detta '' di unità nazionale" (anche se spaccata in pratica dalla contrap-

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