Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

LATROTASPEZZAIL GHIACCIO Michail A. Kuzmin Leningrado, inverno 1928: nella notte rischiarata dalla neve Michail Alekseevic Kuzmin (Jaroslavl 1872 - Leningrado 1936; di lui le edizioni E/O hanno pubblicato nel 1981 il romanzo Vanja, del 1906) si stringe tremando in un soprabito leggero - si riconosce male il dandy dalle 365 camicie, l'Oscar Wilde di Pietroburgo, che gli amici chiamavano a volte Antinoo. Gli è accanto Jurij Jurkun, che ilpoeta chiama Dorian per lo stupore di una giovinezza che appare eterna. Una delle ultime slitte a cavallo che il tram non ha ancora soppiantate li accompagna a/l'Istituto Letterario dove Kuzmin si appresta a leggere i suoi versi. Vincendo i timori del direttore - solo due anni prima il poeta era stato attaccato per il suo interesse verso il jazz e le ultime correnti dell'arte occidentale - gli studenti hanno invitato questo ultimo rappresentante di una generazione letteraria a una lettura pubblica dei suoi versi, che già circolavano con successo notevole fra gli amici. Lettura pubblica solo in parte, comunque, dato che per evitare l'afflusso di una folla di 'indesiderabili', ovvero di rappresentanti della vecchia intelligencija e della Pietroburgo omosessuale, il direttore non volle pubblicizzare l'evento: l'accesso restò limitato agli studenti e a pochi invitati. Gli studenti quasi a scusarsi di questa prudenza offensiva avevano pensato di rimediare con la premura della slitta. Dalla vesti lucide e consunte gli enormi occhi del poeta spiccano ancora di più ("Occhi, soltanto occhi" lo ricordava Marina Cvetaeva) e si spalancano sulla sala gremita, la gente in piedi, la folla degli ammiratori che fanno ressa per entrare. Nella confusione diventa impossibile controllare i biglietti di invito. Circondato da un entusiasmo crescente Kuzmin declama i suoi versi con gli occhiali fuori moda che regge a mo' di monocolo. li pubblico applaude rapito e partecipe, Kuzmin che si temeva ormai dimenticato è raggiante, accetta i fiori offerti dagli ammiratori che gli si stringono intorno (]). Nel marzo del 1929lepoesie furono pubblicate in soli 2000esemplari per i tipi della Casa Editrice degli Scrittori di Leningrado: il volumetto conteneva sei cicli di poesie composte fra il 1925e il 1928. Non è più stata pubblicata da allora in Unione Sovietica alcuna raccolta degli scritti di Kuzmin che faccia giustizia a/l'interesse per la sua opera. Un recensore sovietico, Valerij Druzin, condannò il volumetto come monumento reazionario a una cultura morente (2). Accusa trita ma anche strampalata, dato che non si può negare una certa parentela fra il Mausoleo ove Lenin riposa imbalsamato nel cuore di Mosca e il Gabinetto del dottor Caligari ricordato nella poesia di Kuzmin. li materialismo che veniva imponendosi allora nel paese de/l'Ottobre non era infatti privo di elementi visionari, utopici, quando non addiritturagrotteschi. Era stato infatti il bolscevicoLeonid Krasin a volere l'imbalsamazione di Lenin, ispirato dalla scoperta alcuni mesi prima della tomba di Tutankhamen a Luxor e dalle idee allora in voga del mistico Nikolaj Fedorov, il quale sosteneva che la tecnologia moderna avrebbe potuto operare miracoli, perfino il miracolo supremo, la resurrezione dei morti. Krasin, che era ingegnere, ebbe curadell'aspetto scientifico dell'operazione, con l'intento di riuscire a conservare le preziose spoglie fino al giorno in cui la tecnologia avanzata del paese dei Soviet avrebbe permesso di richiamare in vita Lenin insieme agli antichifaraoni (3). Al confronto sembra assai dimesso il tono di Kuzmin, che si limitava a immaginare la resurrezione di quanto lui aveva amato, che dava espressione a un sentimento privato che non poteva certo millantare risonanza sociale. In Aleksandr Blok la tematica della resurrezione aveva respiro storico: nel suo ciclo di poesie l Dodici, per esempio, l'immagine è del ritorno dell'anticaRussia negata e distrutta da Pietro il Grande. ·Nella poetica di Kuzmin non c'era posto invece per fantasie e suggestioni di natura storico-politica. In questo egli occupa forse un posto unico fra i poeti della sua generazione. li 1905 lo lasciò freddo: l'esteta che l'amico e compagno di ginnasio Georgij Vasilevic Cicerin, futuro Commissario degli Esteri sovietico, avevapresentato al gruppo radunato intorno alla rivista "li Mondo dell'Arte" (Pietroburgo, 1899-1904)a Diaghilev, Benois, Bakst e Somov, per nominare soltanto alcuni, provava un interesse più genuino per la grande mostra pietroburghese del ritratto russo del Settecento. Kuzmin, che proveniva da una famiglia di Vecchi Credenti di Jaroslavl sulla Volga, dal cuore quindi della Russia, che conosceva e amava prof ondamente il folklore e le tradizioni religiose del suo popolo, al punto di trascorrerefra il 1899e il 1903 un lungo periodo di ritiro nel Monastero dei Vecchi Credenti, sulle rive del Mare del Nord, non riusciva a capire l'anonimo amore per il popolo di stampo populista e dichiarava: "Non mi interessa il generale". li poeta, che non si era mai trovato a disagio fra la gente comune, e che nel '17, pur mantenendo il solito riserbo politico, aveva partecipato con umana simpatia alla "speranza dei semplici, cari, giovani visi dei soldati e degli operai" non riusciva ad interessarsi ai progetti di ricostruzione sociale escogitati dalle menti dei politici. li suo orizzonte era più semplice, forse per questo più immediato: "So che ci sarà il grande giorno del Giudizio di Dio, so che per l'Eternità è importante salvare l'anima e per la vita - una vita calma, buona, operosa - il resto non conta". Walter Nouvel, l'amico di Diaghilev che con lui amministrava il Balletto Russo, commentava sul periodo del 1905: "li sociale, come un cattivo odore, penetra dappertutto". Era comprensibile che le misure del governo contro la rivoluzione incontrassero l'approvazione del poeta: quanti ritratti russi del Settecento erano andati distrutti nel corso dei disordini! A Kuzmin stava a cuore il passato. Con una sensibilità affine a quella di Zweig pensò difar rivivere questo passato a lui caro con una serie di romanzi storici, Il Nuovo Plutarco, di cui uscì soltanto il primo, La vita straordinaria di Giuseppe Balsamo Conte di Cagliostro del 1916.Per il gruppo del "Mondo dell'Arte" il Settecento era il secolo amato con struggimento più intenso: Al Settecento spazzato via dallaRivoluzione Franceseparagonava Kuzmin l'epoca sua. Come ebbe a scrivere in un saggio: "Alla soglia del XIX secolo, alla vigilia di un completo mutamento di vita, costume, sensibilità e rapporti sociali si diffuse in tutta Europa una aspirazione febbrile tenera e spasmodica afissare per arrestarla questa vita che volava via, i minuti dettagli di un modo di vivere destinato a scomparire, l'incanto e le cose da nulla della vita di società, dei piccoli drammi domestici, degli idilli piccolo-borghesi, di sentimenti epensieri quasi già superati. Come se gli uomini avessero voluto fermare la ruota del tempo" (4). Non c'è da stupirsi, quindi, se in Letteratura e Rivoluzione Trockij giudicava sia Kuzmin sia il poeta F.K. Sologub (Pietroburgo 1863-1927)altrettanto superflui quanto perline di vetro per un soldato. Eppure non si può fare a meno di notare affinità forma/i fra ilpathos di autoperfezionamento del/' "undicesimo colpo" di questo ciclo e le famose righe conclusive del capitolo Arte della rivoluzione e arte socialista dell'opera di Trockij in cui viene immaginato l'uomo rinnovato della nuova grande era (5). La poetica di Kuzmin non attraversò immutata la rivoluzione e la guerra. L'autore dei Canti Alessandrini (1908), l'ammiratore di Goethe che nel 1910, sulle pagine della rivista "Apollon" (Pietroburgo 1909-1917)aveva inneggiato alla "Bellissima chiarezza" e a/l'apollineo nell'arte, aveva già allora ricordato che a momenti di formulazione chiara dei principf e delle convenzioni artistichesuc53

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==