Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

FINE DELMONDO Dezso Kosztol<inyi Dezs6 Kosztoldnyi è stato uno dei maggiori scrittori ungheresi degli anni '30. Nel periodo tra le due guerre, sulla scia della moda per la letteraturamagiara, vennero tradotti in italiano i suoi romanzi Anna Edes e Nerone l'imperatore sanguinario e alcune sue novelle, ma oggi Kosztolanyi è praticamente sconosciuto nel nostro paese, o comunque spesso confuso ne/l'impreciso e sfumato orizzonte della letteratura "leggera" alla K6rmendi o alla Zilahy. Nacque a Szabadka, un piccolo paese di provincia, nel 1885, e morì a Budapest nel 1936. La sua vita attraversa dunque in pieno il periodo di crisi dell'Ungheria, che appena uscita dalla celebrazionè del proprio regno millenario (nel 1896, con una grande esposizione), è passata attraverso una guerra mondiale, laperdita di un ruolo egemone nelle zone centroeuropee, un trattato di pace fondamentalmente ingiusto, un esperimento fallito di repubblica bolscevica, un consolidamento fascista e xenofobo, e una preparazione a/l'avventura bellica a fianco della Germania. Autore eclettico e composito, Kosztoldnyi è stato giornalista, scrittore, poeta, traduttore entusiasta e infedele, elzevirista raffinato, ma soprattutto attento osservatore della società magiara degli anni '20 e '30, tesa verso la modernità ma zavorrata da/l'attaccamento a un idillio passato e a sogni mai realizzati. In una lunga poesia del 1907, Budai !diii (Idillio a Buda) Kostolanyi offrì un grande omaggio al Biedermeier della capitale, e proprio nel Biedermeier ha forgiato il suo stile. Animato da un 'instancabile vocazione alla ricerca linguistica e al conio di nuove parole, contaminato poi da influenze parnassiane, e infine da una certa attenzione a/- l'indagine del profondo, e alla psicanalisi di Freud che conosceva tramite Sandor Ferenczi, discepolo del maestro di Vienna. Per qualche tempo aderì alla Repubblica dei consigli; alcuni lo accusarono anche di essere stato amico di Pogany, commissario del popolo, in compagnia del quale sarebbe stato più volte fotografato. Kosztoldnyi in realtà non provò mai grandi vocazioni sinistrorse, pur non lasciandosi affascinare dalle tendenze reazionarie dell'Ungheria nazionalista. La sua verafede politica fu sempre una lucida professione di apoliticità. E sottolineando la necessitàdel disimpegno per uno scrittore, Kosztoldnyi si allontanò semprepiù dalla prosa ufficiale del tempo impegnata ad esaltare un modello di magiarismo mai esistito, descrivendo con amarezza il mondo dell'idillio provincia/e in due romanzi di fallimenti, come Allodola e L'aquilone d'oro, e scagliandosi contro gli intellettuali impegnati in due pamphlet molto caustici, come La penna piatta e Il tradimento degli analfabeti. Negli anni '30 Kosztolanyi si dedicò soprattutto alla produzione novellistica e pubblicistica, prendendo congedo in maniera ancor più esplicita e ironica dalla società del suo tempo. Sulle colonne del "Pesti Hir/ap", elzeviro dopo elzeviro, iniziò a dar vita ad un suo alter ego, che si comportava molto irrispettosamente nei confronti delle mode della capitale e dei maestri pensatori budapestini. Si chiamava Esti Kornél, e il pubblico iniziò a seguirlo con grande interesse. Era un poeta bohémien, indipendente da tutti, mendicante, cleptomane, traduttore, acerrimo nemico dell'ipocrisia, relativista fino al midollo, alfiere di pensieri proibiti, scettico di fronte alle grandi idee. Kosztoldnyi raccolse nel 1933le gesta di questo suo portavoce immaginario in un volume dal titolo Esti Kornél, che ebbe molto successo. E poi continuò a pubblicare regolarmente le avventure del poeta ribelle fino alla morte. Fine del mondo apparve nel 1935, ed è uno degli ultimi scritti che Kosztoldnyi pubblicò prima di morire di cancro. Qui lo scrittore gioca col suo doppio, trasformando/o in un Cecco Angiolieri danubiano, che sardonicamente distrugge la grande Budapest, sempre 50 più borghese e sempre più vacua. Kosztolanyi incenerisce con metodo tutto quel mondo abitato da cittadini imbecilli, pennivendoli senza talento, editori mungipolitici, amanti noiose, debiti di vite dissolute, in altreparole distruggendo lefacce di quel miraggio del benessere magiaro che ormai viveva solo nei prodotti dell'arte da esportazione. Anche se questa distruzione Kosztolanyi la compì solo in sogno, da letteratofermamente convinto dellapropria apoliticità. (Bruno Ventavoli) - Hai già sognato la fine del mondo? - mi chiese Kornél Esti. - Dunque, capita anche a te. lo, almeno cinque o sei volte all'anno, nei miei sogni la faccio finita col mondo, distruggo il globo terrestre, proprio come quelle palle di sabbia e quei mucchi di rena bagnata che da bambino impastavo in riva al mare, e poi distruggevo spietatamente con un regolo. Evidentemente ne abbiamo bisogno. In queste occasioni compiamo le nostre distruzioni fantastiche, felici. Improvvisamente, scompaiono tutti e tutto, e noi insieme a loro, e non solo noi due, bensì abbracciati a mezzo miliardo di persone, vecchi e poppanti, leoni e pulci, gru, termometri, cannoni, reticelle per i baffi. Credimi, in tutto ciò c'è qualcosa di confortante. La morte è meno dolorosa se nessuno e nulla di ciò che la gente potrebbe invidiarci ci sopravvivono, se anche la posterità che ci potrebbe ricordare crolla insieme a noi, e se scompare persino l'amico giornalista che potrebbe scrivere il nostro necrologio e dare un'amichevole pacca sulla spalla al nostro povero cadavere, con un briciolo di malignità. ~icordo di aver sognato parecchie fini del mondo molto simili. Erano buie, con quell'oscurità tipica dell'inferno. Erano luminose, con tutta la luce dei cieli, con i lampi che saettavano e rose di luce che brillavano. Erano serie e solenni come nella Bibbia. Erano teatrali e suggestive, come il finale di un'opera wagneriana, in cui i corni mugghiano e le trombe strepitano. Era tutto così rapido e spaventoso: il mondo si polverizzava in pochi istanti nella vampata di una cometa, come in una sorta di cortocircuito interstellare, e io mi tuffavo nello spazio a testa in giù, con le chiome in fiamme, stendendo voluttuosamente le gambe intorpidite, e volavo, volavo verso l'alto per lunghissimi anni-luce senza mai arrivare al luogo della mia destinazione. Ma l'ultima fine del mondo che ho sognato era diversa dalle altre, perché era lenta, durava molto, era ricca di particolari e verosimile come una buona opera letteraria che colloca l'incredibile e l'ultraterreno nella sfera della vita di tutti i giorni, in mezzo ai fatti e alle cifre, rendendoli plausibili e davvero impressionanti. Mi stai ascoltando? Dunque, amico mio, è andata così. Durante un pomeriggio estivo, all'incirca verso le sei e mezza, passeggiavo sul viale Erzsébet. Stavo per fermarmi in un caffè per buttar giù un articolo di teatro, quando mi accorsi che sul marciapiede si stavano formando gruppi di passanti di varie dimensioni, e che la gente stava guardando un punto nel cielo, verso oriente; era spaventata, allungava il collo, lo indicava con le dita, sussurava anche qualcosa, ma molto piano, e io non riuscii a capire. Conosco bene questi assembramenti tipicamente budapestini. Un ragazzino s'era lasciato scappare di mano un palloncino, che ora scivolava via, sopra i tetti delle case, o c'era qualche strano aeroplano straniero, o un sacchetto di carta rigonfio d'aria, che il vento faceva danzare un po' qua e un po' là, o forse erano tutti impazziti. Non mi curai di loro. Ma dopo aver fatto qualche passo, intravvidi anch'io quella cosa, e allora le dita mi si rattrappirono per lo spavento, e i piedi si incollarono al suolo. Cos'era quell'oggett<;>che stavano guardando a bocca aperta?

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