Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

SAGGI/KOff regolarità dal "Mensile". A quei tempi, una differenza di età di tre anni era considerevoleI.o avevo appena cominciato a pubblicare le mie primepoesiee saggi ne "La fucina dei giovani", che aveva i suoi ufficinelCastelloReale vicino alle camere del Presidente: il patrono della rivistaera il colonnello Adam Skwarczinski, excombattente, vecchioamico e compagno d'armi di Pilsudski di cui era considerato l'eminenzagrigia. Le copie vecchiee consunte del "Mensile" mi furono portate per la prima volta forsenell'inverno del '34 o nella primavera del '35. In quel periodovivevocon i miei nonni in via Senatorska. Facevo parte delloZPMD(Associazione della Gioventù democratica polacca) ma avevogià cominciato a diventare comunista. Janusz Kowalewski, unodeimei due "tutori" del Partito mi aveva portato "Il mensile". L'altromio tutore era Witold Trylski: era assistente al Politecnico e unodei capi dell'organizzazione comunista clandestina "Vita" (Zycie). Alto, con le spalle larghe, molto bruno, sembrava ebreo ma non lo era. Si presentava sempre vestito con un giaccone pesantechenon voleva mai togliere. Nel 1940 Janusz, un "profugo", fu deportato da Lvov nella stessa notte di Broniewski e Wat e mandato in un lager.6ovieticovicino al Circolo Polare. Uscì dall'Unione Sovieticacon l'esercito polacco di Anders attraverso il Vicino Oriente e l'Italia. Dopo la guerra rimase in Occidente e fu uno dei più intransigentioppositori del regime di Varsavia. Trylski morì impiccatoall'albail 16ottobre 1942 insieme ad altri nove, sulla stessa forca vicinoai binari della ferrovia a Wola, un quartiere di Varsavia: fu la primaesecuzionedi massa nella capitale. Quella mattina diciannove uomini - comunisti e non - vennero impiccati in luoghi diversi nellaperiferia di Varsavia. Janusz e Witold: quanto diverso il destino dei miei garanti nel Partito. Il cappio è più forte del carattere: se Janusz fosse rimasto nella Varsavia occupata, le loro sorti si sarebbero invertite. Kowalewski e Trylski mi suggerirono di installare una "cassetta postale" a casa dei miei nonni. Il mio compito era di ricevere e smistare messaggie pacchialla parola d'ordine prestabilita. Il posto era ben scelto: mio nonno era ginecologo e la maggior parte delle sue pazienti era composta da ebree povere; c'era sempre qualcuno alla porta nell'orario delle visite. Ciònonostante, mia nonna ebbe presto dei sospetti suoi miei "ospiti". "Chi sono questi strani individui che cercano di te? Di che razza di studenti si tratta?". Non facevo parte del Partito Comunista e neppure della cellula universitaria "Vita". Secondo loro, ero ancora troppo debole. "Impegnati con il MOPR (l'Organizzazione internazionale per l'aiuto ai prigionieri politici), sii un onesto lavoratore: è meglio per te e per noi". Nessun membro del comitato redazionale de "La fucina" era stato iscritto al Partito prima della guerra. Eravamo tutti novellini oppure eravamo stati nel Partito dei lavoratori polacchi (PPR) durante l'occupazione. Adesso penso che questa scelta fosse intenzionale. Il Partito, "pieno di infiltrati", era stato sciolto dal Comintern nel 1938. I comunisti che si ribellarono furono accusati di essere agenti dell'imperialismo e bollati come trotskisti. Forse il Partito voleva che "La fucina" ricominciasse da zero senza essere schiacciata e forse questo era il motivo del nostro entusiasmo e della nostra arroganza in quei primi anni del dopoguerra: "La fucina" era innamorata di se stessa. Ci pareva di essere divenuti marxisti per nostra scelta e con la nostra autorità. In realtà, eravamo diventati "marxisti" con il permesso e la benedizione ufficiale di Berman e della sezione cultura del Comitato Centrale. Penso che probabilmente Stawar nutrisse un notevole disprezzo per il nostro genere di marxismo, e non era il solo. 34 Foto di Peter Marlow/ Sygma/Grazia Neri. "La fucina" fu proclamata "una grande tribuna dell'intellighenzia progressista e di sinistra". Nonostante questo, Zolkiewski e i più acuti fra noi si accorsero molto in fretta che la leggenda di "La leva" e de "Il mensile letterario" era ancora viva. Di nuovo: "La leva" e "Il mensile" erano soprattutto Stawar. "Dobbiamo fare qualcosa per Stawar". Decidemmo di portare la faccenda davanti a Berman. Il compagno Berman era il numero due del Politburo del Partito. Berman controllava la cultura e l'ordine pubblico, uno strano binomio solo per i profani; il controllo della cultura e dell'ordine pubblico è la spina dorsale del sistema. In quel periodo, Berman lavorava al Presidio del Consiglio sulla Krakowskie Przedmescie. Era stato avvertito della nostra visita. La polizia militare ci scortò da un distaccamento all'altro, facendoci passare attraverso cinque o sei stanze vuote. Le porte rivestite di ovatta si chiudevano dietro di noi senza rumore. Nell'ultima stanza, quasi completamente vuota, Berman stava dietro a un'enorme scrivania sotto un ritratto.di Stalin. "Sedete, compagni". Lo chiamavano Giacobbe dalla Voce d'Oro. Berman ipnotizzava la gente con la sua voce e lo sapeva. I suoi toni vellutati rivaleggiavano con le arie di un grande tenore, ma quella volta vidi un Berman diverso. Si alzò, divenne rosso come un pomodoro e sbatté il pugno sul tavolo. Urlò fino a farsi rauco: "Che si rimangi prima le menzogne che ha messo in giro sul nostro conto!". Stawar non fu "perdonato" fino al 1955. Allora "La fucina" non esisteva più da cinque anni, sciolta per la sua mancanza di vigilanza. Nel 1949 Gomulka fu espulso e poco dopo imprigionato. Attese per tre anni un processo che avrebbe potuto concludersi solo con un'esecuzione, come era accaduto ai dirigenti del Partito in Cecoslovacchia, Ungheria e Romania. Il giro di vite continuava implacabile. Stalin morì nel marzo 1953 e, lentamente, cominciò un cambiamento. Prigionieri torturati venivano rilasciati; le riviste letterarie cambiavano ed avevano nuovi comitati di redazione. Iwaskiewicz prese il posto di Wazyk come direttore di "Creazione" (Tworczosc) e i suoi redattori chiesero contributi a Stawar. Solo recentemente ho saputo quello che accadde a quella riunione di "Creazione". Roman Karst, mio collega a Stony Brook, mi raccontò durante una delle nostre passeggiate serali che Iwaskiewicz si rivolse a lui e disse: "Roman, tu sei ancora nel Partito. Vai dal signor Berman e digli che vogliamo pubblicare Stawar". "In quel periodo", continuò Roman, "Berman era piuttosto stranito; della sua forza antica non era rimasto nulla. Parlò a vanvera per un po', poi si sedette rannicchiandosi dietro la scrivania sotto un enorme ritratto di Lenin. 'Pubblicatelo, se volete, ma fatelo scrivere su solokov, e il suo primo articolo deve cominciare con ·un'autocritica'." Pochi mesi dopo apparve un lungo saggio di Stawar su Solokov ma senza una parola di autocritica. Nel 1957 Stawar pubblicò la sua raccolta di saggi e, in seguito, i suoi studi su Boy-Zelenski, Galczynski e Sienkiewicz. Furono anni buoni per Stawar ma era sempre più malato; passava parecchi mesi in un ricovero per artisti sui monti a Zakopane. Sul finire degli anni Cinquanta gli fu permesso di viaggiare in Occidente. Si diceva a Varsavia che fosse andato a vivere a Maisons Laffitte, la sede alla periferia di Parigi del mensile dei rifugiati politici "Kultura", e che stesse scrivendo un nuovo libro per quella pubblicazione. Stawar morì nella prima settimana dell'agosto 1961. Fu forse il giorno dopo che un aereo della LOT (le linee aree polacche) portò la sua urna in Polonia dopo una breve cerimonia al crematorio. Putrament, segretario dell'Unione scrittori, un'organizzazione del Partito, mise in piedi in gran fretta lo spettacolo. Tre giovani scrittori

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