LATOMBADI FAMIGLIA Christoph Hein Z io Eugen lavorava come attore nel teatro sulla Kommandantenstrasse. Spesso si esibiva in commedie musicali e così la famÌglia, con ammirazione e un po' benevolmente, lo aveva soprannominato il Buffo. Si racconta che avesse una voce morbida ma ferma. Le poche foto che ci sono arrivate lo ritraggono nei suoi ruoli teatrali: petto in fuori, occhi sgranati, barbetta o barba piena, sorriso sicuro di sé. Era sposato con zia Rosa, che lavorava come sarta, e aveva tre bambini che, secondo i parenti, erano dotati di notevolissimo talento artistico e assai promettenti. Il IOnovembre 1938, mio zio venne arrestato insieme ad altri tre attori del teatro ebraico, trascinato in camera di sicurezza e da qui, quattro giorni più tardi, tradotto nel campo di concentramento di Ettersberg. Due settimane dopo l'arresto ricomparve tra la sua famiglia a Berlino. Spaventato dalle voci che circolavano nel campo di concentramento sui piani antiebraici, non si attendeva un così rapido ritorno in famiglia; gli venne spiegato che si era trattato solo di un fermo preventivo e che, venuta meno l'indignazione dei suoi concittadini tedeschi per l'assassinio del camerata von Rath per mano di Herschel Grynszpan, e con il divieto assoluto di ogni violenza nei confronti degli ebrei, avrebbe potuto nuovamente svolgere indisturbato la sua attività. Egli stesso non era in grado di spiegare il suo rilascio tanto più che altri carcerati, conoscenti, arrestati e trasferiti con lui, non avevano fatto ritorno a Berlino. Il suo timore di non poter più recitare si rivelò infondato. Il teatro sulla Kommandantenstrasse rimase aperto; si rappresentavano soprattutto commedie leggere e operette anche se dinnanzi a un pubblico assai ridotto. Nella primavera del 1939, mio zio presentò domanda di espatrio. Già alcuni anni prima aveva preso in considerazione l'idea dell'emigrazione, ma, temendo di non avere occasioni di lavoro all'estero come attore di lingua tedesca, accantonò quel progetto. Determinante fu anche il parere di alcuni amici dell'associazione imperiale dei soldati ebrei al fronte, che gli avevano assolutamente vietato di abbandonare la Germania perché così facendo avrebbe dato sostegno alla montante isteria di alcuni correligionari. Nel maggio del 1941, mio padre, in viaggio di lavoro a Berlino, andò a trovarlo. Raccontò che la famiglia dello zio viveva appartata e così poveramente da spingerlo a offrir loro un aiuto finanziario, che da un povero diavolo slesiano come lui non venne però accettato. Zio Eugen gli raccontò che ormai le richieste di espatrio degli ebrei venivano respinte sempre più spesso oppure, come nel suo caso, non ottenevano risposta. Parlò pure di recenti pogrom, nei quali due amici, anch'essi attori, erano stati malmenati. Confessò a mio padre di avere anche lui paura. Mio padre raccontò inoltre di essere rimasto malinconicamente turbato dalla serenità e dal coraggio dello zio, che, malgrado le notizie così inquietanti, prese a esibirsi in giochi di prestigio davanti a lui e ai bambini e, bevuto il caffè, si mise addirittura al piano cantando una canzonetta audace. 28 Mio padre fu l'ultimo parente slesiano che parlò con Eugen e Rosa Kreindler e i loro figli. Undici settimane dopo questa visita, la famiglia era scomparsa. I timori iniziali di una loro cattura da parte della Gestapo vennero presto dissolti da un'indagine approfondita della polizia; i parenti speravano che alla famiglia Kreindler fosse riuscita in qualche modo la fuga all'estero. Trentadue giorni dopo la loro scomparsa, zio Eugen, zia Rosa e i loro bambini Valeska, Richard e Betty, vennero trovati morti nella tomba di famiglia Loewenfeld, nel cimitero ebraico di Weissensèe. Le indagini sui loro ultimi giorni rimasero incomplete. In base alle dichiarazioni di conoscenti, vicini e membri.della comunità è da ritenersi che a giugno mio zio avessedeciso di rinchiudersi con la famiglia nella cripta camuffata, per sfuggire così alle ripetute minacce di deportazione. Non è chiaro se zio Eugen avesse trovato un secondo rifugio, nel quale la famiglia avrebbe potuto superare l'inverno. In una cella della cripta vennero trovati, dopo la loro morte, coperte, gioie, candele, giocattoli, generi alimentari, libri e inoltre i testi completi delle sue interpretazioni teatrali. Molto probabilmente poterono contare sull'aiuto di amici che portarono al camposanto i viveri necessari. La terza settimana del loro ricovero nella cripta, la famiglia venne sorpresa da una pattuglia di polizia. Come risulta dall'ultima lettera di mio zio, ritrovata tra le coperte, la famiglia fu evidentemente denunciata da un frequentatore del cimitero. Nella notte dell'otto luglio, cinque poliziotti ubriachi fecero irruzione nella cripta barricata in modo sommario e intimarono all'inorridita famiglia di festeggiare con loro il sabato ebraico. Gli ubriachi promisero a mio zio di non consegnare né lui né la sua famiglia qualora si fosse impegnato a non abbandonare la cripta. Il sabato seguente i poliziotti ritornarono. Portarono bottiglie di grappa e dolciumi e nuovamente Eugen e Rosa Kreindler furono costretti a bere e a festeggiare con loro. Costrinsero inoltre lo zio a ballare e a cantare pezzi di operette; come risulta dalla lettera, tennero con la famiglia un comportamento indegno godendo delle loro sofferenze. La lettera fu scritta dallo zio il 21 luglio, giorno che precedeva la preannunciata terza visita dei poliziotti. Quel giorno egli si avvelenò insieme a sua moglie e ai suoi tre figli. I corpi vennero rinvenuti dalla Gestapo. Un membro della comunità israelitica ricevette l'incarico di provvedere a una rapida sepoltura e di informare quindi i famigliari dei defunti. Rimane senza risposta il motivo per cui mio zio abbia obbedito alle richieste dei poliziotti ubriachi e non abbia abbandonato quel sepolcro, cercando per sé e per la famiglia un altro nascondiglio. Egualmente inspiegabili per la mia famiglia le ragioni che hanno spinto zio Eugen a portare nella cripta quei testi licenziosi. Si trattava perlopiù di partiture banali, allusive, concepite solo per il divertimento e come tali poco adatte e forse persino inopportune per il soggiorno nella cripta. Per un certo periodo ci fu ancora, nella mia famiglia, un
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