Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

era del tutto adatta a loro, dicevano le madri dei nostri padri. A questo quadro si aggiungeva quello che sentivamo a scuola e alla radio, ciò che sui nostri padri leggevamo nei libri e nei giornali. Come orribili leggende. Inconcepibili. Ma non ci credevamo. Ci credevamo in generale. Ma non in riferimento a nostro padre. Mio padre non era così, pensava ognuno di nòi. Il mio papà miope, con la cicatrice sul viso? No, pensavo .. Strano che in tutta la mia vita non mi sia capitato una sola volta di parlare con un nazista. Per quanto potevo vedere, erano come spariti dalla faccia della terra. Ch~ fossero davvero tutti in prigione o in occidente? Sul giornale la notizia di uno che, qui da noi, era sparito sotto falso nome e con un falso questionario, riconosciuto dalle vittime, era stato ·condannato. Se non sapessimo con assoluta certezza che nostro padre è morto, non potrebbe trattarsi di lui? Il nostro strano senso di colpa. Sempre quello sbagliato. Ci vergognavamo sempre per cose diverse da quelle per le , quali avremmo dovuto. Ci vergognavamo di essere tedeschi. In punta di piedi ci recavamo nelle città un tempo tedesche, o nei paesi occupati dai tedeschi, nelle loro città. Speriamo che non ci riconoscano come tedeschi. A Varsavia - ci mettevano in guardia l'un l'altro - ci sono quartieri dove, se parli tedesco ad alta voce, ti sputano addosso. Eravamo orgogliosi se qualcuno ci diceva, non pensavo che tu fossi tedesco. Credevo che tu fossi svedese, polacco o francese. Non dovevamo provare alcun senso di colpa collettiva. Dovevamo ricordarci delle tradizioni rivoluzionarie in Germania, impararle a memoria, andarne fieri, portarle avanti. Il fatto che Hitler avesse ottenuto potere e ammirazione dipendeva, beninteso, non dall'indole del popolo 'tedesco, come ci insegnavano, ma da un determinato stadio del capitalismo. Dicevano che con questo noi non avevamo niente a che fare. E ciò nonostante ci facemmo coinvolgere in una difesa assurda. Per tranquillizzarci ripetiamo meccanicamente il nostro rosario: non siamo poi così cattivi, noi tedeschi. Solo qualche volta siamo segretamente fieri di appartenere a questo popolo che si divide e si riunisce e combatte e odia, arrogante e pignolo e sentimentale, casalingo e lontano dal mondo. Per quanto noi ammiriamo le altre lingue squillanti e per quanto ci disprezziamo, in segreto siamo poi d'accordo con la nostra origine. Ma questo non lo ammetteremmo mai. Mai. Ma lo sai che esprimi delle idee pericolose? Pericolose perché possono essere fraintese. Pensa a quell'insegnante polacca, indignata e piena di paura. Mai, diceva, un tedesco doSTORII/SCHUBIRT vrebbe dubitare della sua colpa, mai, anche se alÌora non era ancora nato. I nostri figli e i nostri nipoti devono creJcere con questo senso di colpa. · Descrivi più esattamente, dunque, quello che intendi. Con gli occhi bendati, rivolti all'indietro, siamo rimasti f~rmi, inchiodati dalla colpa dei predecessori, ci volevamo proteggere dalla voce rauca e dai volti esaltati, ripresi dal basso. Schiacciati da questo passato, ciechi rispetto ai secoli a venire, abbiamo dimenticato l'oggi. Così, potremmo andare avanti, forse ancora giusto in tempo per riconoscere questa colpa, la nostra colpa. Altrimenti, per noi, tutto sarebbe accaduto invano. (1984; traduzione di Palma Seven) REN7JJROSSO LEDONNEDIVINE Unastoriaintensa,.pervasadi crudeltàedolcezza. Un'epifaniadell'amoreai margi,nidelmondoedel tempo. 27

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==