Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

STORII/SCHUBERT Anche noi avremmo voluto passarcela così bene. Tutto quello che per voi adesso è così naturale, noi abbiamo dovuto conquistarcerlo con fatica. Ma non siate così passivi, non fatevi dire tutto. Volete farvi ancora spronare? Noi passavamo attraverso le porte aperte, sempre più velocemente, correvamo. E dietro di noi le porte si chiudevano, nessuna uscita né a destra né a sinistra, solo davanti una porta aperta. Fuga in avanti. Non so, siete tutti così nervosi. Come se qualcuno vi corresse dietro. Ma godetevi un po' il presente. Pensa un po' come ce la passavamo male noi, il nazismo, la guerra, gli uomini rimasti in guerra. E voi? Potete studiare. Guadagnate molto. Ma cosa avete da ridire su tutto. Le porte aperte erano un rimprovero. Non erano le nostre porte aperte. Per noi sono stati sbarramenti aperti tra la gabbia dei leoni e l'arena. Prima ci hanno dato da mangiare ben bene. La porta della gabbia si è aperta, con i forconi siamo stati spinti nella strettoia verso l'arena illuminata del circo, chiusa dalle inferriate. Qui abbiamo saltato attraverso il cerchio di fuoco, all'occorrenza abbiamo sbuffato, con la testa del domatore tra i denti. Uno di noi era il suo preferito. A lui era consentito anche star solo con lui, arruffare il pelo, allungare la zampa per colpirlo. Tutto ciò faceva parte del·quadro. Fa parte del quadro. Anche il nostro desiderio di quiete, non di un intervallo programmato, ma di una quiete autonomamente trovata, la nostra quiete. Insistere, senza batticuore, senza il sudore della paura davanti alla prossima prova. E talvolta questa sensazione liberatoria: ciò che è ben strutturato non è affatto ben strutturato. Ci sono inimmaginabili trasgressioni. La normalità è trasgressione. La trasgressione è normale. Sono sempre stata affascinata dai trasgressori. Quelli che non erano esaltati. Quelli che si sono uccisi o che sono diventati pazzi. I rinnegati. Gli ingiustificati. Quelli che si celano. Quelli del cortile interno. Ai cortili interni si arriva da fuori, da fuori verso l'inter- · no. Dall'esterno non si immagina alcun cortile interno, il muro della casa è grigio scuro, davanti non c'è giardino, il marciapiede lastricato di pietre sino al muro della casa, le finestre chiuse, le tende tirate al pian terreno, solo un portone, più largo delle dimensioni di un uomo, ma troppo stretto per un'auto, forse riesce a passarvi un carretto a mano. Si apre il portone, ma niente ci invita dentro, un'occhiata verso un corridoio in penombra, in fondo al quale c'è una altra porta, socchiusa, una lama di luce solare penetra dentro. Nessuno ci impedisce di entrare, attraversiamo il corridoio oscuro, apriamo la seconda porta e siamo nel cortile interno. Una terra fertile, fiori, ogni piano file ininterrotte di balconi su cui si aprono le porte degli appartamenti. All'altezza di due metri buoni è teso un cordino sul quale si ar26 Qui e nella pagina precedente foto di Sven Slmon Bonn/Grazia Neri. ' rampicano i tralci di una vite, fa ombra, ma non tanta da far fresco. Un cortile interno al quale si può giungere, dove c'è quiete ma non abbandono. La porta verso l'esterno è dietro di noi e non davanti a noi. È chiusa ma non a chiave. Forse qui potremmo vivere al sicuro e tranquilli e in amicizia, scherzare senza sensi di colpa, amare senza amarezza, essere felici senza cattivi presentimenti, persino godere. Sì, avremmo fiducia uno nell'altro. E tuttavia viviamo ancora aspettando e cercando, nell'incertezza. Senza padre. La mia generazione ha nonne e madri, sorelle e fratelli, figli, ma non ha padri. Senza padre e sempre alla ricerca di lui. I nostri padri morti. Le nostre madri in nero, i due anelli d'oro all'anulare. Il secondo sfilato dalla sua mano morta, rispedito dal fronte, fatto restringere. Adesso tu devi sostituire tuo padre, dicevano le madri ai loro figli di sette anni. Tuo padre adesso mi sarebbe stato vicino. Ma anche tu ormai sei grande, con te adesso posso consigliarmi su tutto. Sei così assennato, sei il mio figlio grande, la mia figlia grande. Dal vestito e dal cappotto di tuo padre faremo fare qualcosa per te e per me. Cominciammo a domandare dei nostri padri. Erano affettuosi, di buon cuore, fedeli, parsimoniosi, non sapevano far male a una mosca e amavano le loro mogli più delle loro madri, dicevano le nostre madri. Erano bene educati, intelligenti, ma tuttavia non pigri, sportivi, avevano fortuna con le donne, non soltanto con la propria, e sarebbero diventati buoni padri di famiglia, anche se questa donna proprio non

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