Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

IL CONTUTO sole, è la loro "attualità", la capacità di essere un evento che coinvolge lo spettatore e la sua esperienza, unita a una sostanziale frustrazione. Nello stesso tempo, fanno centro e irritano. Come se raccontassero una realtà deformata, truccata, eppure che si riferisce a un paesaggio riconoscibile, che è il nostro, sì che da noi hanno generato un curioso fenomeno, da un lato stroncati dai critici, dall'altro oggetto sugli stessi giornali di dibattiti in prima pagina, protagonisti dei salotti culturali-televisivi. Basati su un ritrovato gusto del racconto forte che lavora sul ricalco e il ricorso, insomma sul "desiderio dello stereotipo" (non quello ''ragionevole'', di decoro piccolo-borghese, in uso nel cinema europeo e che non interessa nessuno) che ne determina l'efficacia commerciale, abbinano l'astuzia di allargare la propria "struttura testuale" alle trasformazioni in corso nella società - non a caso, quasi tutti ispirati a casi reali, a esperienze vissute. Di più: vi sono incluse come parte integrante le reazioni della gente, il suo senso di appartenenza, il mondo in cui vuole abitare. Dunque, il peggio viene ancora dai virtuosi della pubblicità, da persuasori non troppo occulti come Adrian Lyne il cui Attrazione fatale ha il dono di "rendere idiota e aggressiva ogni persona ragionevolmente intelligente". Capace di rispecchfare e agire a fondo sull'inconscio collettivo, di provocare una terribile identificazione. Glenn Close e Michael Douglas, più che vivere, sono davvero l'incubo degli anni '80. Il quadro che ne viene fuori è quello del più crudo struggle for !ife, senza più nessuna nobilitazione filosofica, unito a un impressionante moralismo puritano. Il libero amore come patologia, come possesso paranoico. "È il film fascista yuppie integrale; la famiglia che uccide insieme, resta insieme", è stato l'incisivo commento di uno spettatore americano riportato da "Libération". Ciò che conta non è certo il ritorno al thriller eroticopsicologico, né lo stile che è quello solito di Lyne, flash-gam, leccato, con un suo lato morboso, equivoco, con un certo gusto di impressionismo ambientale, personaggi inesistenti, però funzionali a una macchina a effetto finale. Di horror e orrore. Ma la sua morale retrograda, isterica, appartiene allo stesso conformismo di quella apparentemente liberata di Nove settimane e mezzo. Ancora in vena di tenerezza sembra James Brooks in Dentro la notizia, anche se non meno disilluso è nel fondo il quadro di questa sua commedia sentimentale nell'ambiente dei media, dei netwoork. Qui si im16 In alto: Christian Baie e John Malkovlch In L'Impero del sole. Al centro: Charlle Sheen e Mlchael Douglas In Wa/1 Street. In basso: Wllllam Hurt In Dentro la notizia. para meno. Un po' di dietro le quinte, tra redazione e sala di montaggio; un po' di problemi economici, tra divi superpagati, queste stars di fine secolo (tra esse, un Jack Nicholson strafottente), e tagli degli organici. Ma sono informazioni tecniche, organizzative; raramente ne emergono le logiche. Il diavolo sono gli "anchormen". Vermi intellettualmente sottodotati, senza cultura e senza interessi, ma con un loro fascino mediatico. Ma nulla che abbia a che fare con il vigore critico di Un volto nellafolla in cui Kazan ritraeva gli esordi negli anni Cinquanta di questa razza dannata, o la virulenza di Quinto potere in cui Chayefsky consumava le sue vendette di sconfitto nel suo sogno di televisione democratica. Il segreto di questo cinema hollywoodiano è, invece, quello di agganciare personaggi scontati a un ambiente preciso, modi di parlare e di vestire, atteggiamenti e manie, crudeltà e vanagloria, che fanno parte del nostro paesaggio contemporaneo. Non è molto, ma è qualcosa. Stone è il più incisivo, a suo modo il più autore. La sua forza sta, come sempre, nell'intuizione e nella definizione di un conflitto centrale forte, una "zona di guerra", la Borsa come il Salvador o il Vietnam dei suoi precedenti film, attraversata con un racconto d'esperienza vissuta (un vero scandalo dell' 85, le memorie del padre agente di borsa). Protagonista di Wall Street è il denaro come entità astratta, valore invisibile ma motore: "l'illusione che diventa realtà, il capitalismo al suo meglio", dice il finanziere d'assalto Gekko, e un film sulla velocità dei mutamenti e delle fortune. Ritmi febbrili, serrati, coinvolgenti, uno stile isterico ma lucido, movimenti di macchina che saltano dall'uno all'altro "trader" e computer, continui rapidi attacchi di montaggio, personaggi-funzioni, una storia di cui pochi capiscono i concreti sviluppi ma che si traduce in azione pura come una serie di hold-up. Stone vi mostra le sue doti documentarie, perlustrazioni d'ambienti, uffici ultramoderni, loft stile "Demolished Look", locali esclusivi, ecc., verità lapidarie ("non crederai che viviamo in una democrazia: è il libero mercato"). Lo schema narrativo è ancora quello di un itinerario iniziatico, un giovane Rastignac diviso tra due padri, il "raider" spietato (è la seduzione del male che fa di Michael Douglas la vera vedette del film che ruba la scena al protagonista Charlie Sheen) e il padre reale, sindacalista umano, contrapposti sul grande tema dell'avidità come carattere peculiare del sistema (se non dell'anima) americano. È il tema essenziale di una narrativa

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