IL CONTUTO tanti, sono anche i personaggi femminili, oltre che maschili, di Lady Oracolo, pubblicato da Giunti nella collana "Astrea" (pp.367, L. 15.000), qualche tempo fa. La protagonista, che si fa credere morta per sfuggire a un marito difficile, aveva già tentato di "sparire" in gioventù sotto uno spesso strato di grasso per sottrarsi alle angherie di una madre frustrata, sadica, conformista e possessiva. La figura di questa madre, come peraltro quella della madre dell'ancella Difred, è rappresentata con connotati al limite del ridicolo. Da una parte, in Lady Oracolo, la donna tradizionale, dall'altra, ne Il racconto dell'ancella, la femminista a oltranza che ha vissuto gli anni dell'anarchia (così vengono chiamati nel romanzo quelli che precedono l'avvento dello stato totalitario di Galaad): entrambe figure materne sconnesse, eccessive, caricaturali, impotenti, in definitiva. Di tratti misogini ce ne sono tanti, nella scrittura della Atwood, e c'è da sperare che l'autrice abbia voluto, come Patricia Highsmith in Piccoli racconti di misoginia, infierire di proposito contro la donna che si .assoggetta alla logica della società maschile e anche contro quella che si ribella ma in modo confuso, che si agita senza un progetto preciso. Le due madri della Atwood, come le protagoniste dei Piccoli racconti della Highsmith, sono al limite dello stereotipo, e accanto a loro si schiera una serie di personaggi femminili sempre eccessivamente caratterizzati, a formare un quadro tutto sommato sconsolante. Il difetto di entrambi i romanzi consiste nel tentativo della Atwood di narrare a livello ideologico, didascalico, senza sapere bene cosa prospettare come soluzione anche ipotetica, e soprattutto cosa insegnare. Direi che si tratta di due esempi di letteratura femminile un po' inutile, anche se sostenuta da un volonteroso lavoro di ricerca. In uno dei racconti della sua nuovissima raccolta, Tales of Natural and Unnatural Catastrophes, Patricia Highsmith fornisce a sua volta una soluzione poco problematica e altamente ottimistica al dilemma morale sulla liceità della pratica volgarmente chiamata "utero in affitto". Che il problema del controllo della riproduzione abbia un carattere politico lo vanno dicendo le femministe da anni, vedendo nella campagna "morale" delle organizzazioni religiose quello che è, il tentativo della società maschile di continuare a controllare la capacità della donna di riprodurre la specie. Highsmith sostiene con argomenti di ineffabile logica e placidità che allo stato attuale delle cose le donne giovani e sane hanno tutti i diritti 14 CORRISPONDENZE di affittare il proprio utero al prezzo e alle condizioni che ritengono individualmente più convenienti. Le grida allo scandalo delle organizzazioni religiose, soprattutto fondamentaliste, non sono che un riflesso e un sostegno della politica reazionaria dell'amministrazione Reagan, contro la quale la Highsmith si scaglia da tempo, considerandola foriera di ogni genere di catastrofi. C'è un altro racconto di questa raccolta, in cui la moglie ubriacona del presidente provoca, per stupidità e distrazione, lo scatenarsi della guerra nucleare. E c'è un romanzo del 1983, non ancora pubblicato in Italia, People Who Knock on the Door, dove si illustrano gli innumerevoli guasti provocati in una tranquilla cittadina del Middle West dall'avvento di un'organizzazione religiosa stile Comunione e Liberazione. Si direbbe che col passare degli anni la prosa della Highsmith si faccia sempre più sciatta dal punto di vista formale ma più attenta ai problemi di fondo, oscillando tra un'ironica, sfrenata difesa del progresso a tutti i costi e una visione catastrofica delle possibili conseguenze del medesimo. Con un'evidente parzialità per le tesi più azzardate: Utero in affitto libero!, quindi, e attenzione invece al nucleare in mano a maschi dissennati. TRAAVENUECEAVENUED Mario Maffi Mettiamo il caso che a qualcuno sia venuto a noia il mondo chiuso e un po' stucchevole di minimalisti, post-minimalisti, post-romantici, post-hemingwayani (a quando l'abolizione del prefisso "post"?). Mettiamo il caso che questo qualcuno non ne possa più di drammi di coppia, triangolo e quadrilatero, di vita con il padre e con la madre, o contro uno dei due o tutt'e due, di piscine hollywoodiane, videoclips, modelli Armani, sniffate da quartieri alti, di autoesplorazioni umbilicali sotto forma di scrittura fredda e distaccata o di volonterosi compitini nati sui banchi dei corsi di creative writing; e che invece abbia voglia di leggere storie diverse, forse più sostanziose, o forse solo più vitali e graffianti. Che cosa può fare? Intanto, per fortuna, l'invasione s'è un po' attenuata. E comunque, se questo qualcuno vuol restare in America, le possibilità non gli mancano, anche a prescindere da certi nomi grossi (come, tanto per farne due, Doctorow e Bellow). Da un lato, infatti, può rivolgersi a coloro che - troppo frettolosamente, e con loro giusta indignazione - sono stati etichettati come "i maestri dei minimalisti": Raymond Carver e Grace Paley, i quali con il minimalismo hanno in comune forse solo la brevità, e dispongono invece di ben altre frecce (e la diversità - piaccia o no ai cantori del disimpegno prétà-porter - sta in un diverso retroterra sociale e ideologico). Dall'altro, può rivolgersi a quel nucleo di scrittori emerso intorno ai primi anni'70 e piuttosto trascurato, almeno da noi: Robert Coover, Thomas Pynchon, Stanley Elkin, John Barth, William Gass, iconoclasti e sperimentali, aggressivi e surreali, portati alla metafora, all'eccesso, allo sberleffo, e non indifferenti alla storia che tutt'intorno scorre e ci contiene. A questo punto, sorge inevitabile l'obiezione: è possibile che, a prescindere da questi autori (che hanno una certa età anagrafica e artistica), la scena letteraria contemporanea offra solo "giovani minimalisti"? La situazione non è così disperata. Innanzitutto, gli autori nominati prima sono vivi e vegeti e continuano a dare un contributo di prim'ordine a quella scena. Poi, esistono altri scrittori, giovani e promettenti, isolati e (fortunatamente?) non ancora etichettati, che possono offrire piacevolissime sorprese: mi limito a fare i nomi di Richard Ford e T. Coraghessan Boyle, nella speranza che vengano finalmente scoperti anche qui da noi. E c'è dell'altro. Nella collana "Contemporary American Fiction" della Penguin, è appena uscita un'importante antologia curata da Joel Rose e Catherine Texier. S'intitola Between C & D e ospita venticinque autori i cui testi sono apparsi, negli anni passati, sulle pagine della rivista che presta il titolo all'antologia. Diretta dagli stessi Rose e Texier, "Between C & D" (l'indirizzo è: 225 East 7th Street, New York, NY 10009; il che vuol dire tra Avenue Ce Avenue D: per l'appunto, between C & D) è infatti una vivace rivista letteraria nata nel cuore del Lower East Side. Si presenta scritta a computer, con le pagine ancora ripiegate a fisarmonica come escono dalla stampante e con disegni di copertina spesso effettuati a mano su ogni copia (la tiratura è di 600 copie regolarmente esaurite), e viene distribuita in buste di plastica con chiusura a pressione. Insieme a "The Portable Lower East Side", "Bomb", e "Top Stories", "Between C & D" è in un certo senso l'erede della grande stagione della stampa alternativa e insieme l'eloquente testimonianza della vitalità d'una scena artistica e letteraria che non si esaurisce con
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