Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

DISCUSSIONE/FLORES sità e a compiere la sua opera nello stesso tempo che chiude la sua prigione; possibilità, vitale per la vita, che consiste( ... ) nell'afferrare l'essenza di quello che (la nostra specie) fu e continua a essere, al di qua del pensiero e al di là della società; nella contemplazione di un minerale più bello di tutte le nostre opere; nel profumo, più sapiente dei nostri libri, respirato nel cavo di un giglio; o nella strizzatina d'occhio, carica di pazienza, di serenità e di perdono reciproco che un'intesa volontaria permette a volte di scambiare con un gatto". Ma perfino questo, che è moltissimo, ci sembra a volte ancora poco, oggi, nel triste tropico del mondo. NOI EOORBACIOV Marcello Flores Il sistema politico-ideologico dell'occidente sembra fare una grande fatica ad accettare come un dato di fatto di questi anni la realtà storica del tramonto dello stalinismo. Più che un mondo da conoscere, l'Unione Sovietica ha costituito per l'occidente un mito (negativo o positivo che fosse) talmente incardinato nel proprio orizzonte politico-simbolico, da rendere assai arduo riconoscerle una esistenza propria, problemi e prospettive autonome e forse indifferenti alla sua esperienza. Due modelli di interpretazione si sono sovrapposti tra loro in questo dopoguerra, ed entrambi hanno funzionato, assieme, come guida all'analisi di quel che accadeva negli ultimi vent'anni nel cuore dell'impero orientale. I due modelli sono quello nato negli anni della guerra fredda e quello della coesistenza pacifica. Il primo pone al centro il tema della libertà e identificando l'Urss come l'incarnazione più completa di stato totalitario avvalora, per contrapposizione, il mondo occidentale come quello dell'unica democrazia possibile (e per converso l'Urss come unico socialismo possibile). Il secondo modello, apparentemente più tollerante e bendisposto, riconosce una parziale riformabilità al sistema sovietico e un suo ruolo non necessariamente aggressivo ed espansionista. Questi due modelli, che si sono succeduti nell'immediato dopoguerra, hanno teso a intrecciarsi sempre più, a integrarsi in un'unica interpretazione bifronte pronta per l'uso a seconda della fenomenologia politica prevalente nell'Urss. Oggi, così, di fronte all'era aperta da Gorbaciov, vi è ancora chi si mostra incredulo e chi più possibilista sulle reali possibilità autoriformatrici del sistema sovietico, sugli spazi di democratizzazione e di pluralismo controllato che possono essere concessi alle forze operanti nella società. Tutti, però, sembrano far risalire la tendenza alla pace e al compromesso ripetutamente caldeggiata da Gorbaciov, più che alle idealità dell'attuale leader del Cremlino al ridimensionamento dell'aggressività sovietica di cui sarebbe stato artefice Reagan con l'aiuto del Dipartimento di Stato e del Pentagono. 10 Due interpretazioni che sembravano, in passato, appartenere a periodi diversi e ad ambienti differenti (la guerra fredda e la coesistenza, l'anticomunismo viscerale e il revisionismo democratico), sono così riuscite a saldarsi in una sintesi che pretende effettivamente di aver superato, ma non espunto o rifiutato, né la tesi né l'antitesi. Una simile ottica, proprio perché riafferma e anzi rivaluta le passate analisi e i passati giudizi sull'Urss, si mostra quanto mai incapace di cogliere i fermenti storici e le questioni epocali che stanno dietro i tentativi riformatori di Gorbaciov. Il modello concettuale continua a essere di un semplicismo avvilente: le riforme economiche segnano il fallimento decennale della pianificazione sovietica e la necessità di introdurre elementi "capitalistici" per rivitalizzare l'economia, ma queste riforme a metà creeranno nuovi conflitti e contraddizioni che potranno essere superati solo dal pieno ingresso dell'economia russa nel gioco del mercato; non si potrà parlare di effettiva democratizzazione finché questa non porterà al pluralismo politico e al parlamentarismo di tipo occidentale. Ancora una volta, come dopo ma anche prima della rivoluzione, parlare dell'Urss è un modo per rassicurarsi, per convincersi vieppiù che in occidente è meglio. Come sempre, infatti, l'ottica di chi osserva è condizionata dagli obiettivi, palesi o inconsci, che si vogliono raggiungere. Superare quest'ottica sarebbe possibile solo se si abbandonasse l'intero universo concettuale che ha accompagnato tanto la guerra fredda che la coesistenza, con la sua falsa dicotomia di comunismo/anticomunismo, totalitarismo/democrazia, dittatura/libertà. In termini sempre più strumentali e spesso in malafede, prevale l'idea che i valori (in questo caso i valori della libertà) possano e debbano costituire gli indicatori e la guida concettuale per analizzare e comprendere i fenomeni politici e sociali che ci accadono attorno. È il ricatto morale insito nei termini di riferimento utilizzati (chi può mai sostenere che la libertà vada conculcata e soffocata?) che impedisce alle argomentazioni e alle analisi di percorrere una strada razionale che possa essere sottoposta al dubbio, alla critica, alla verifica. E che, parallelamente, permetterebbe ai giudizi di assumere maggior forza proprio perché non già previsti e\nteriorizzati dentro l'analisi. Per capire l'Urss c'è bisogno innanzitutto di due operazioni preliminari: accettare una visione storica di quel che è · accaduto in quel paese, che intrecci i processi interni e quelli internazionali e che sappia separare il giudizio e la comprensione storica dal rifiuto o dall'adesione politico-morale o addirittura sentimentale; mettere in discussione profonda i criteri di valutazione accettati come "naturali" e che altro non sono, quasi sempre, che l'alibi per considerare il nostro come il migliore dei mondi possibili e per difendere conseguentemente lo status quo individuale e collettivo. Una ridefinizione delle priorità anche sul terreno dei valori e dell'etica è quindi necessaria per abbandonare il quadro di riferimento falso e obsoleto utilizzato meccanicamente

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