Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

sviluppo. Ragioni di giustizia e ragioni di tutela ambientale, non più eludibili (come anche il Rapporto citato conferma), impongono di rompere il cerchio della dipendenza economica di questi paesi, spinti a distruggere le proprie risorse a ritmi accelerati. "L'intreccio debito-ambiente", recita uno dei documenti del convegno, "rappresenta un nodo essenziale dei rapporti Nord-Sud. La Campagna ha coscientemente scelto come suo oggetto una problematica complessa che lascia certo scoperte questioni ancora non comprese o valutate sufficientemente. I problemi affrontati, d'altra parte, sono tutti urgenti e ad alto rischio e la sola presa di coscienza di tali situazioni costituisce già di per sé un obiettivo politico importante e non dilazionabile. La Campagna, tuttavia, si pone anche degli altri obiettivi: da un lato proporre e sostenere soluzioni realistiche al problema del debito, dall'altro realizzare interventi di riequilibrio ambientale. È infatti possibile concepire l'attuale livello di indebitamento dei paesi sottosviluppati come una misura dello sfruttamento economico e ambientale finora imposto a due terzi dell'umanità( ... ) La spirale del debito evidenzia e riassume molti dei sistemi di subordinazione e di drenaggio delle risorse". Questa Campagna, insomma, se saprà tener fede ai suoi presupposti potrebbe contribuire a quella radicale svolta nel modo di guardare il mondo che sempre più appare necessaria. Lo stesso Papa, nell'enciclica più recente, la Sollicitudo rei socialis, assume il nesso tra ecologia e condizione del terzo mondo come cruciale, sia pure rimanendo infine in un'ottica eurocentrica. Come spesso le succede, la Chiesa ufficiale arriva in ritardo rispetto a una consapevolezza già diffusa. Certo, però, che la strada da percorrere appare ancora lunDISCUSSIONE/BEfflN Foto di Mario Cresci. ga - e il tempo a disposizione, invece, breve - se misuriamo la portata del mutamento di mentalità e di organizzazione economica e sociale necessario. Cambiare strada, cioè: sospendere il cammino Malgrado le recenti acquisizioni (che ritroviamo sintetizzate, ad esempio, nell'Atlante di Gaia, Un pianeta da salvare, a cura di Norman Myers, Zanichelli), le principali correnti politiche, culturali, scientifiche del nostro tempo - e le ideologie prevalenti - sono ancora impregnate dello spirito di conquista verso la terra e della sicumera industrialista e scientista che tutto travolgono, i limiti (e il senso del limite), i popoli, gli scrupoli. Soltanto gli choc provocati dai cosiddetti "incidenti di percorso" - Seveso, Bhopal, Cernobyl... - hanno posto dei freni a questa corsa irresponsabile, e imposto dei parziali (minimi) ripensamenti. Ma nella Chiesa, ad esempio, la concreta, fisica comunione alla terra e alle sue risorse e creature, di un San Francesco non è stata mai altro che un'immaginetta agiografica, o poco più. E nel marxismo, la faccia pensosa e dubitante dell'ultimo, vecchio Marx, compilatore di fitti quaderni etnologici, catturato dall'idea della "lunga strada" dei tempi e ritmi naturali, impallidisce, e cede il passo a quella, accesa e agitata, che ammira ed evoca la potenza spaventosa dell'industria e delle forze produttive scatenate. Quanto alla sola, vera e unica ideologica trionfante sotto ogni latitudine ormai: il capitalismo, l' "arricchitevi!" - la vera tendenza fondamentale del nostro tempo, che non è ovviamente quella di cui si preoccupa Severino - quanto a essa, non basterebbero cento Rapporti sullo stato del pianeta commissionati ai suoi studiosi più illuminati per cancellare anche solo una minima parte degli scempi quotidianamente compiuti sulla pelle della terra e dei terrestri più deboli. Il compito di cambiare strada appare dunque, tuttora, impari, e non c'è molto da stare allegri, neppure di fronte a certi clamorosi segnali di "ravvedimento". La civiltà fabbrica entropia, scriveva ancora Lévi-Strauss, proprio sul finire di Tristi tropici e aggiungeva: "Piuttosto che antropologia, bisognerebbe chiamare 'entropologia' questa disciplina che studia questo processo di disintegrazione nelle sue manifestazioni più alte" (la cultura, la civilizzazione, ndr). Il libro si chiude con attualissimi accenti pessimistici, a questo proposito ("Il mondo è cominciato senza l'uomo e finirà senza di lui"), ma non cede a generiche disperazioni o a vacui richiami alla comune sorte (ai "siamo tutti sulla stessa barca"). Indica invece precise responsabilità: "Per noi Europei e terrestri l'avventura nel Nuovo Mondo significa anzitutto che esso non era il nostro e che noi siamo responsabili della sua distruzione". E neppure si sottrae a un'indicazione di prospettiva, radicale: "La via inversa a quella della nostra schiavitù, la cui contemplazione, non potendola percorrere, procura all'uomo l'unico bene che sappia meritare: sospendere il cammino; trattenere l'impulso che lo costringe a chiudere una dopo l'altra le fessure aperte nel muro della neces9

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