DISCUSSIONE/GIACCHÈ Nella pagina precedente, Carmelo Bene In ffomme/ette for Hamlet (foto di Tommaso Le Pera). to. Sembrava quasi che il termine polemica, contro l'abituale ridefinizione politica è televisiva di "garbato dissenso" o di " pretestuoso movimento", stesse recuperando la sua etimologia guerriera. Contro ogni aspettativa e ogni previsione, la contraddizione c'era davvero, e il litigio non s'è potuto ridurre a de.corosa schermaglia. Sono volati, frammezzo alle sciocchezze, aperti insulti e nascosti ricatti. Ma perché, si saranno chiesti in molti, tanta animosità, addirittura nel parlare di teatro? Cosi eccessiva da.realizzare per davvero quel match aggressivo che doveva restare nelle promesse ~ell'imbonitore, cosi straripante da smentire il destino piatto delle trasmissioni registrate, che dunque possono anch'esse talvolta competere con "il bello della diretta"? Il primo perché è in un certo senso storico, e la trasmissione lo dava forse per scontato. Carmelo Bene ha tuttà una storia di rapporti tesi con i Critici; una storia significativa, nonostante la si sia sempre voluta ridurre a intemperanze narcisistiche a scopi pubblicitari. Dagli scalpori e dissapori dei. suoi primi e secondi inizi, del "genialaccio" un po' immatu- 1 ro e un po' cialtrone da sopportare come un'indisciplinata sorpresa, alle ovazioni non troppo convinte, dovute alla progressiva necessità di molti Critici di accodarsi all'imprevedibile successo di massa e di piazza delle sue "lecturae Dantis", dalla lite con De Monticelli all'espulsione di Lucchesini, i Critici - per parte loro - hanno sempre prov~to, con le buone e con le cattive, un improbabile dialogo e un)impossibile controllo. Carmelo Bene, da parte sua, ha sempre manifestato una coerente e profonda insofferenza verso la critica dei "gazzettieri", cioè la recensioJ\e. Una··recensiQl}e,qualunque ecomunque, è sempre un intervento indebito e riduttivo, un parere spropositato cui corrisponde un potere sproporzionato. Anche la lode, salvo quando è esagerata e dunque incondizionata, è segretamente inaccettata: vale come complimento, ma non come complemento del teatro. La recensione, più che fastidiosa, risulta "esterna": Carmelo si ostina a non riconoscere cittadinanza teatrale al Critico. Almeno nel suo teatro lo prega di non venire; del suo teatro ·glichiede di non scrivere. Ed è questo un primo irritante casus belli, che anche un solo attore - ma potrebbe essere un rovinoso inizio - protesti non tanto per quello che i Critici scrivono, ma per il fatto stesso che scrivono. Chi scrive, di teatro e nel teatro, è semmai lui stesso: nella "scrittura scenica" è la critica, quella vera, parte e motore del suo processo creativo. E il rifiuto del ruolo diventa sottrazione di questo stesso ambito che il Critico, approfittandosi di un gioco di omonimia, crede di poter occupare e, peggio, rappresentare. Al limite si può concedere che le "critiche" siano due, e che quella del recensore è tanto straniera quanto soggettiva e parziale. Ma sentirsi rinfacciare il limite della soggettività è cosa diversa dal riconoscere e rivendicare, orgogliosi e compiaciuti, la propria soggettività. Diventa evidente una distanza di valutazione e di stima: soggettivi va bene, ma che soggetti sono i Critici? Qual è il loro livello di sensibilità, intelligenza e, perché no, di competenza? Allora 6 ci si accorge che se l'intenzione del Critico è quella naturalmente di affermarsi come un soggetto cosi raffinato e straordinario da avere il diritto-dovere di sfornare una stampata e dunque oggettiva opinione, la valutazione di Carmelo può essere molto diversa. E la pioggia dei paragoni con i Baudelaire di un altro tempo e i Deleuze di un altro luogo, può suonare ingiuria. Ma sarà poi questa l'offesa che più temono i Critici? Sarà stato questo il motivo che non ha consentito lo svolgimento sereno e il recitativo andante con brio, che una normale trasmissione televisiva, sia pure della serie hard, doveva avere? O piuttosto il recente sgarbo improprio e imprevisto di Carmelo Bene, questo si minaccioso e imperdonabile, di occupare, fresco fresco, una "poltrona comoda", di quelle che i Critici sono abituati a considerare proprio appannaggio o comunque a tenere sotto il proprio controlloZ Non sarà che la storia spicciola del quotidiano disturba più della filosofia del teatro? Per essere ancora più espliciti, e scendere allo stesso livello della trasmissione, non sarà che la nomina di Bene alla Biennale costituisce la più preoccupante e indigesta delle minacce? Non alla corporeità del proprio ruolo e mestiere, ma al proprio corporativismo offeso? "Mixer Cultura" non poteva davvero diffondersi in tali problemi: anche alle basse malignità c'è un limite, ed è come sempre quello delle beghe di potere. Inoltre le esigenze del linguaggio televisivo e i doveri di un servizio pubblico sping9110verso la velocità e l'apertura. Ed è cosi che, rubando tempo a Carmelo e ai Critici, si è preferito dare un po' di spazio all'opinione della gente comune. Va ricordato allora, dulcis in fundo, un collegamento con un casuale teleutente, un certo Bonino da Vico, alla periferia - credo - di Torino. Spigliato e per nulla emozionato dalle telecamere, si è prima diffuso sulle piaghe culturali che affliggono la sua città, prendendosela con i francesi e i meridionali, poi ha rozzamente espresso la sua ammirazione per l'attore ospite. "Divertirci ancora, fai l'antipatico", lo incalzava. Ma anche un "grandissimo attore" come Carmelo Bene ha dei limiti. Talvolta la tecnica non basta e nemmeno il genio. Certe caratterizzazioni riescono meglio a chi, dentro il personaggio dell'antipatico, ci vive tutto il giorno. Nel faccia a faccia che ne è seguito è apparso chiaro che, alle volte, un ragioniere di Torino può risultare più efficace e rivelare un talento naturale, sia pure d'amateur, soprattutto quando alle spalle c'è una forte tradizione locale: appartiene al folklore di lassù quel Franti, l'infame, che rise.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==