Linea d'ombra - anno VI - n. 26 - aprile 1988

NARRARE LA SCIENZ:A/OLSSON grafico di forma e processo. Perché quanto si poteva vedere in Svezia negli anni '60, nel contesto di una riforma dell'assistenza sociale, era per esempio che esisteva uno schema di localizzazione degli ospedali e dei dottori, poniamo, che era molto efficiente solo dal punto di vista del sistema medico, ma dal punto di vista individuale, umano, era spesso disumano. Vi erano persone che morivano nelle ambulanze e altri che morivano inutilmente soli perché erano stati portati lontano, di modo che familiari e amici non potevano assisterli. È questo tipo di esempi che permea in qualche modo le mie domande, ma le intuizioni, il nocciolo delle intuizioni deriva principalmente da questo problema del rapporto tra forma e processo. Lei si occupava di pianificazione ma ora cita non solo William Blake, ma Joyce e Mallarmé e lapoesia: dall'analisi spaziale alla pratica della poesia, del testo! Come mai? Per molte ragioni. Ancora una volta, perché è più difficile e anche perché il lavoro dei geografi e dei pianificatori era così serio e così monotono ed era molto difficile vedere un programma o una geografia piena di humor. Come fare a creare una città che vi rida in faccia? E che non crei tensioni ma anzi, creandole le risolva, cosicché voi ridiate in faccia al mondo invece di piangere per il mondo? Noi sappiamo benissimo che quello che il potere teme di più è il riso, ha più paura del riso che non delle lacrime e il riso è uno strumento di cambiamento più efficace di quanto non lo siano le lacrime. Forse siamo giunti a una nuova definizione possibile: la geografia umanistica come geografia che ha il problema del rapporto tra geografia e humor, è possibile? Sì, questo potrebbe essere uno degli ingredienti perché ovviamente, quando cerchiamo di fare il nostro lavoro, noi vogliamo che rappresenti la realtà come è adesso, ma vogliamo anche comprendervi, come nel caso del concetto di ambiguità, la possibilità di cambiamento e di liberazione, se vuole. Mi ha sempre dato fastidio quello che, almeno quando ero studente e durante i seri anni '60 e '70, veniva considerato un buon seminario. Si giudicava buono o cattivo il seminario a seconda del grado di tristezza di chi vi aveva assistito, all'uscita dell'aula. Secondo me quella era repressione e mi piacerebbe moltissimo vedere una teoria sociologica, chiamiamola geografia o quello che vogliamo, che non sia una teoria dello humor, ma che possegga dello humor in se stessa. Il tipo di teoria che quando ci voltiamo inizia a farsi beffe di noi, mostra le spalle, fa gesti di derisione e che non si può prendere sul serio. In questo modo si aiuta anche a costruire un tipo di saggezza diverso. Questo fa emergere altri punti riguardanti l'azione dell'uomo, perché spesso noi pensiamo al suo operato come a qualcosa di molto pratico. Si va e si costruisce una casa, si diventa politici e si istituiscono ·delle norme e così via. Io sono convinto che col nostro insegnamento noi agiai:no su un livello molto più profondo rispetto alle altre persone e se riusciamo a permeare il nostro in76 segnamento, i nostri scritti con questo tipo di humor e di distanza, vicinanza e distanza allo stesso tempo, penso che forse attraverso il nostro esempio noi aiutiamo anche gli altri a non essere depressi e repr~ssi come spesso sono. Se ho capito bene, lo humor è anche uno strumento più preciso per capire il mondo, ma io penso che ora per la geografia il problema principale sia che si può vedere un mondo, ma il mondo che si può vedere non è quello reale, perché la realtà sta dietro a quello che vediamo. Sì, e spesso noi interpretiamo quella realtà come una realtà molto triste, naturalmente, dove vi è sofferenza eccetera. Ma allora io mi chiedo come possono queste persone che studiamo e vediamo soffrire - e vediamo come sia brutto il mondo - come possono sopravvivere se si muovono senza avere un modo di combattere questo fatto all'interno della propria personalità, come possono vivere in questo orribile mondo che vedono, in cui effettivamente vivono, se lo prendono sul serio? Abbiamo naturalmente delle tecniche - abbiamo l'assurdo e Rabelais eccetera - in particolare nel linguaggio stesso, di attaccare il mondo. Abbiamo questa abilità di far emergere le tensioni e improvvisamente risolviamo la situazione con una battuta, con un gesto, con gli occhi, ma non risolviamo la questione piangendoci sopra. Combattiamo il mondo con l'arte e questa è una tecnica estremamente comune, tradizionale, di sopravvivere, per coloro che sono repressi. David Russell, uno dei suoi allievi americani, ha scritto che ora, in geografia, il problema è la dematerializzazione degli oggetti geografici. Come è possibile attraverso lo humor? Penso che questo sia un argomento fondamentale, e con la dematerializzazione dell'oggetto mi sembra di capire che si comprenda il problema che abbiamo, che non possiamo essere abbastanza astratti. Cosicché, per esempio, fa parte della retorica il comunicare con esempi fisici, concreti. Perché usiamo es~mpi concreti? Li usiamo perché siamo tanto muti da non poter comunicare direttamente. Ma a volte comunichiamo direttamente senza oggetti materiali. Quando ci guardiamo negli occhi a vicenda, non c'è niente, ma c'è la comunicazione. Questo è molto importante anche se si vuole comprendere il concetto di potere, perché per me il potere è un gioco, o quello che io definisco una trasformazione ontologica, cioè il gioco di un mago in cui si trasforma quello che si vede, le cose che si possono toccare, in significati invisibili, che non si possono toccare, e poi naturalmente si cerca di esprimere questi sentimenti, queste idee, in oggetti concreti e chi ha potere sa come giocare a questo gioco. Quindi il mago è un ottimo simbolo dell'attore. Il punto è perciò come scrivere su questo argomento e come lo si fa, e io penso che lo si faccia usando effettivamente gran parte delle tee~ niche del,sux:realismo. Ricorderà qual era lo scopo dal surrealismo: trasformare il mondo. La tecnica per trasfor-

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