Linea d'ombra - anno VI - n. 26 - aprile 1988

PERCHÉTRACCIAREUNA MAPPA? INCONTROCONGUNNAROLSSON a .cura di Franco Farinelli Finché lafigura del geografo coincise con quella del cartografo - dunque a/l'ingrosso fino alla rivoluzione francese - carte e globi accompagnavano sempre il suo ritratto, come una specie di cifra che lo rendeva immediatamente riconoscibile. Al tempo della Erdkunde invece (della geografia critica borghese dellq prima metà dell'Ottocento) più nessuno geografo veniva disegnato o dipinto nell'atto di consultare o costruire rappresentazioni cartografiche, o semplicemente accanto ad esse: tutti, al contrario, venivano raffigurati mentre osservavano la natura, oppure mentre scrivevano. Non più nel chiuso delle loro stanze, come prima :invariabilmente avveniva, ma all'aria aperta, e senza nessu- . na carta geografica intorno: alla mutazione strutturale della geògrafia e della sua funzione corrisponde puntualmente la sostituzione del relativo codice iconografico. Ma nessun geografo è stato raffigurato, finora, come Gunnar Olsson andrebbe: con il braccio sollevato a mezz'aria nell'atto di scrivere, ma senza che la punta della penna già tocchi lapagina bianca, oppure riposi inerte accanto ad essa a segno di una momentanea pausa nella scrittura stessa. Ma colto invece proprio nell'attimo prima che la scrittura inizi. L'opera di Olsson (di cui è appena uscito in Italia il brano più importante: la raccolta intitolata Uccelli nell'uovo/Uova nell'uccello, Theo,:ia, Roma I987) è soltanto un momento della storia infinita di tale attimo: quello in cui non soltanto l'azione nasce dal pensiero ma il mentale si trasforma in fisico, l'inconscio in conscio, l'individuale nel sociale, il segreto in pubblico, la libertà in .autorità. · Gunnar Olsson, nato in Svezia nel 1935, è il più importante tra i geografi contemporanei. Gunnar Olsson e la geografia. Il punto di partenza ideale, penso sia Gunnar Olsson e l'immagine del futuro, la situazione della geografia internazionale e la geografia umanistica. Penso che Gunnar Olsson sia coinvolto in questo argomento con la sua vita e il suo lavoro, perché la vita e l'opera di Gunnar Olsson sono la stessa cosa. Cos'è la geografia umanistica per lei? In un certo senso io penso che lei abbia già risposto a questo, perché per me la geografia umanistica è molto diversa da altri tipi di geografia in quanto per essa è necessario in qualche modo cercare di collegare i fenomeni di cui si parla, cioè il mondo da un lato e i linguaggi - o rappresentazione e presentazione, ovvero il modo di convincere - in cui si sta parlando. Quindi, se si fa riferimento, per esempio, a una cosa come la geografia dell'insediamento, si dice che quel tipo di geografia si occupa di insediamenti, di città, di paesi e così via. Ma come scrivere una geografia che allo stesso tempo è una città? Nella geografia umanistica invece, io penso che sia quantomeno concepibile poter scrivere su un mondo umanistico e, allo stesso tempo, sulle categorie umanistiche e sul linguaggio umanistico. Questo è un aspetto che deriva dalla definizione stessa, perché io non ho mai pensato che sia tanto importante quello di cui si parla, quanto invece il modo in cui si affronta quello di cui si parla. E può essere un argomento più o meno importante, ma si deve sempre tentare, qualsiasi cosa si dica, si studi o si scriva, di mettervi tutto quanto si sa. Questa è una sfida eccezionale. William Blake, a questo proposito, disse che l'arte consiste nel vedere un mondo intero in un granello di sabbia. E potrebbe trattarsi proprio di questo. Il paragone che lei ha tracciato tra geografia tradizionale, cioè geografia dell'insediamento, e geografia umanistica è molto interessante. Una geografia del pensiero e una geografia del pensare alle cose. La questione del linguaggio, per lei e dopo di lei, è ora fondamentale per la geografia internazionale e nel suo lavoro lei hafatto del linguaggio il punto fondamentale di riflessione. Ora una domanda un po' più complessa, se la geografia umanistica è una riflessione sul linguaggio, qual è secondo lei il rapporto tra linguaggio e spazio. Penso che anche questo sia da far risalire a quanto abbiamo detto sulla geografia umanistica, perché anche in questo caso si potrebbe cercare di parlare dello spazio tentando in qualche modo di tradurre questa concezione, questa realtà che è lo spazio, in un modo completamente diverso di comunicare, cioè con le parole, siano esse pronunciate o scritte o riportate su una carta geografica. Ma qui il linguaggio per me diventa forse un po' più interessante, perché mi sembra che non si possa avere un linguaggio senza lo spazio e che quindi, forse, non vi sia solo un linguaggio della geografia, ma bensì una geografia del linguaggio. E penso che questa geografia del linguaggio stia principalmente non nella logica e nella spiegazione, ma negli elementi retorici del discorso e del linguaggio. Penso quindi che anche in un tipo di comunicazione come questo, tra me· e lei, lo spazio è tra di noi, perfino lo spazio fisico è assolutamente importante e noi ci convinciamo a vicenda entrando in qualche modo in quello spazio. Per me la retorica di tipo spaziale contiene moltissimo, quanto gli elementi retorici di cose come il ritmo eccetera, perché quando noi comunichiamo e convinciamo un'altra persona, noi riusciamo in qualche modo a parlare o a scrivere in modo da riprodurre con tale ritmo una specie di parallelo tra il ritmo del discorso e il ritmo del pensiero. In questo modo, quando io finisco una frase, la sua capacità di associazione, la sua immaginazione, in qualche modo si muove con essa e quando io mi fermo lei non fa lo stesso ma in qualche modo continua nelle sue associazioni. Cosicché, in tutti i linguaggi e in tutti i tipi di comunicazione c'è un tipo di coreografia, una coreografia del significato e dell'espressione e si direbbe che sia qui che si possono trovare forse gli elementi spaziali più importanti. Quando si pensa a Gunnar Olsson, i geografi in particolare, ma anche gli altri, pensano alla crisi della geografia 73

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