Linea d'ombra - anno VI - n. 26 - aprile 1988

DISCUSSIONI/ISHAGHPOUR Mashdi Ramezan Ali scosse la cenere dalla pipa e prese la parola: - Che Dio voglia assolvere tuo padre, ma per cosa credi che noi ci troviamo qui? Tre anni fa guidavo la carrozza postale sulla strada di Khorassan. Un giorno, stavo portando dei ricchi viaggiatori, la carrozza si ruppe e uno dei passeggeri morì. L'altro l'ho strangolato con le mie stesse mani e gli ho preso dalle tasche millecinquecento toman. Quest'anno, cominciando evidentemente a sentirmi vecchio, mi sono detto che quel denaro non era legittimo e ho preso la strada di Kerbela per purificarlo. Sappi dunque che l'ho appena offerto a un dignitario religioso che se l'è immediatamentè intascato: mi ha reso solo mille toman, assicurandoini che quelli, adesso, sono perfettamente legittimi. Per far questo c'è voluto meno di due ore, e adesso questo denaro è più puro del latte ai mia madre. Galina Khanum aveva preso il narghilè dalle mani di Aziz Agha. Aspirò del fumo, e dopo un breve silenzio parlò a sua volta: · - Quella signora Shabadji che ci accompagnava, credete che forse non sapessi che le scosse della strada le sarebbero state fatali? Mi ero preoccupata di consultare i presagi prima di iniziare il viaggio, sapevo che non erano favorevoli. Ciò nondimeno l'ho portata con me. Come sapete, era una mia sorellastra. Il marito si era innamorato di me e mi aveva presa come seconda sposa. E io sapevo terrorizzarla e picchiarla così tanto e così bene che finì per venirgli una paralisi. Una volta in cammino ammazzarla fu un gioco: e adesso non potrà più pretendere alla sua parte dell'eredità di mio padre ... Aziz Agha piangeva e rideva allo stesso tempo, di gioia. E disse infine queste parole: - Allora ... anche voi? Galina Khanum, continuando ad aspirare dal narghilè, rispose semplicemente: - Non hai forse sentito i preti dal pulpito? Non appena ha fatto il voto e si è messo per strada, anche se i suoi peccati sono numerosi come le foglie di un albero, il pellegrino torna a essere puro e perfetto. (1932; trad. di S. Esposito dalla trad. di Edgar Fary) HEDAYAr, 1111SEP0,10 v1vo11 Youssef Ishaghpour "C'è n'è che danno inizio alla loro agonia a vent'anni", dice Hedàyat. Il più grande scrittore dell'Iran moderno. Per l'appunto di quest'agonia. Per non vederla, si è cercato di esorcizzare il suo caso riducendolo a una questione individuale. Disgusto dell'esistenza, difficoltà di essere, follia, devianza, decadenza di un gruppo sociale. Come se un'opera fosse altro dalla risonanza del più imper168 sonale nel più individuale, nel più segreto. Questo "sepolto vivo" non era un qualunque privato cittadino. Il pessimismo incurabile che lo ha portato al suicidio, a Parigi nel 1951,dopo una vita dura e dolorosa iniziata a Teheran nel 1903, era qualcosa di più che pessimismo. Hedàyat descriveva se stesso come "un bastone dorato ai due estremi", che dunque è impossibile tenere in mano - e naturalmente l'oro va inteso nella locuzione popolare che, come nei sogni, lo considera immagine della merda. "Né di qui né di altrove, scacciato di qua e non arrivato là". Come la sua esistenza, come l'Iran moderno, il "bastone" era sospeso sopra una linea di frontiera, tra l'Oriente e l'Occidente. Hedàyat era lo scrittore dell'Iran moderno, di una modernità inevitabile. Quando i "tempi moderni" iniziarono in Europa nel XVII secolo, con la scienza, la tecnica, il capitalismo, l'individuo, le grandi civiltà orientali davaho l'ultima mano alla loro cattedi:ale: poi non crearono più nulla, conobbero la ripetizione, la deformazione, lo sgretolamento (v. Daryush Shayegan, La déchirure, in "Le Débat" del novembre 1986). L'Occidente iniziò un'era nuova ed estese ben presto il suo dominio su tutta la terra. Ma se l'Iran non fu mai colonizzato, ricevette tuttavia ugualmente, alla rinfusa, i sottoprodotti dell'Occidente: armi, manufatti, e l'eco deformata delle sue tecniche, del suo sapere, del suo pensiero, delle sue opere'. L'integrazione nel mercato mondiale avvenne lentamente, inevitabilmente. E un giorno si poté osservare che "la gloriosa civiltà" apparteneva al passato. In ogni caso aveva smesso di essere l'unico orizzonte che si conoscesse, con l'esclusione di ogni altro. L'aria che si respirava si riempiva di elementi perturbatori, altri oggetti si mostravano agli sguardi, altri suoni si introducevano nelle orecchie. L'Occidente aveva rotto col mondo visionario (v. ancora Shayegan), non conosceva più Immagini, bensì oggetti. È questa la breccia aperta dalla venuta dell'Occidente - economicamente, tecnicamente, militarmente più forte - nel mondo antico. Prima ancora di volersi imporre come unico termine di riferimento, cosa peraltro impossibile, perché questo mondo delle cose presupponeva una ontologia diversa, implicava altri orizzonti e veniva, in Oriente, a sovrapporsi semplicemente a un'ontologia delle Immagini senza riuscire a sradicarla né a radicarsi a sua volta. Cominciò così la "lacerazione", o la coesistenza schizofrenica, tra il mondo visionario delle Immagini e quello reificato dello sguardo e degli oggetti. L'incontro con l'Occidente sconvolse tutto, e il suo risultato politico-storico fu la rivoluzione costituzionalista: l'esigenza della libertà, di uno stato di diritto e di uno stato nazionale, e dell'ordine contro il disordine, la confusione e l'arbitrio in cui si contrapponevano tra loro i poteri dispotici della corte, dei mo/lah e delle tribù. Lo Stato nazionale, il diritto e l'ordine vennero stabiliti grazie alla dittatura di Reza Shah Pahlavi, in una versione orientale del dispotismo illuminato. Ma la libertà non venne raggiunta e l'opera di Hedàyat, dice il saggista iraniano Shahrokh Meskoob, è un risultato di questo fallimento. E anche di un duplice disincanto: insieme quello del mondo delle credenze religiosee mistiche, trasformato in sopravvivenze superstiziose, e quello dei "lumi" dell'Occidente: Perché all'epoca in cui Hedàyat conobbe l'Occidente, non si era più al tempo degli Enciclopedisti o del Faust di Goethe, contemporaneo della Rivoluzione francese: c'erano invece i campi di sterminio e la nuova figura dell'individuo era quella del Gregorio Samsa della Metamorfosi, che Hedàyat tradurrà in persiano facendola precedereda un lungo saggio su Kafka. È nella solitudine di Kafka, in "quest'obbligo, egli direbbe, di aspirare all'assoluto e di trovare il niente", che He-

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