Linea d'ombra - anno VI - n. 26 - aprile 1988

Cambiamo scena. Inaugurazione di una mostra. Se si capitasse tra dipinti astratti, ad esempio cambierebbe la musica, preferibilmente in questo caso dodecafonica, lacerante come il pennello del nostro maestro. Il commentatore strascicherebbe paroline che più astratte non si può. Resistendo si potrebbe decifrare: dolore, groviglio, interiorità, magie, ineluttabilità, obnubilamento, annichilimento. Disagio (quando va bene). Cioè noia. Per fortuna, come ci ha spiegato un giorno "Panorama" rilanciando in copertina Moana Pozzi (ma sarebbe uno scoop?), la toga di Giuliano Ferrara, lo yogurth di Beppe Grillo, siamo arrivati al video-shock: cioè, leggo, "fra azzardi e censure la tv cerca il pugno nello stomaco". L'anello si chiude. Siamo tornati a "Mixer cultura", che sarebbe appunto il pugno nello stomaco. Pugni per pugni, meglio quelli finti annunciati del Wrestling e di Hulk Hogan il biondo abbronzato o quelli veri di Thomas Motor City Cobra Hearns, Mike Tyson, Marvin Hagler the marvellous, John Mugabi the beast o quelli (che purtroppo non rivedremo più) di Carlos Monzon. Wrestling o pugilato, siamo nell'onestà totale: colpi veri o colpi falsi assolutamente dichiarati. Con "Mixer" siamo alla disonestà totale e lo spettatore più che colpi si becca dei grandi sgambetti da tergo e basta. Perché le liti, si sa, sono sceneggiate d'orchestra dove suonano sempre gli stessi orchestrali, tutti d'accordo e tutti piegati al mito dello spettacolo. Questa, signori, è la moda, assecondata dai malati di protagonismo, critici, scrittori, attori, presentatori, giornalisti in voga. L'obiettivo è l'Auditel, la cultura e l'informazione culturale si perdono tra un "cazzo" e l'altro, che gli autori della Rai s'augurano evidentemente possano far risalire l'audience. Certo quando s'annuncia soddisfatti che con il Festival di Sanremo la Rai ha raggiunto il top, quando cioè si esulta perché il massimo dell'imbecillità televisiva e canora ha conquistato il massimo dell'ascolto, quando Celentano diventa la nuova frontiera, quando, secondo il suo "autore", "con le ragazze Coccodè( ...) doveva venire fuori più ironia sull'esibizione del corpo, sullo sfruttamento televisivodella donna", eccetera eccetera, c'è da sentirsi approdati all'ultima spiaggia, pronti ad alzare bandiera bianca, sommersi dalla stupidità che solleva onde maestose, a ritmo continuo e perfettamente regolato, come nei simulatori olandesi delle alte maree, a ritmo governato, dentro ferree STORIA regole. Perché, sia ben chiaro, quei colpi nello stomaco, tipo "Mixer cultura", di trasgressivo non manifestano proprio nulla. Il giochino e gli insulti esprimono totale connivenza: nei confronti dei protagonisti, Bene, Almansi o Busi, delle loro passioni autocelebrative, dell'edonismo degli stenterelli, del mercato, della mondadori, della rizzoli, degli indici d'ascolto Rai, senza per altro svelare le bassezze umane della cultura (perché l'operazione si giustificherebbe come anti-idealista ... contro l'idealismo alla Luisi, ben s'intende) e senza, peggio ancora, divertire. Manco per il "cazzo". Il teatrino è perfettamente congegnato, perfettamente conformista, senza ombre (queste· sì pericolose e inquietanti, se si materializzassero) di cultura. E paga tutti. Lo spettatore paga già il canone per conto suo. Non può neppure imitare quel signore del pubblico che prende su, sbattendo la porta. Può sempre sintonizzarsi su Bocca. Ma è ben triste sintonizzarsi su Bocca! P.S. Del caso si sono largamente interessati i quotidiani e la vicenda si è via via precisata, i dialoghetti si sono definiti, i commenti si sono moltiplicati. Mi permetto solo di _esprimere umilissimo dissenso nei confronti di Placido, che ha gettato la croce addosso a Busi e Bellezza, che hanno, in quanto divi, le loro colpe ma non quelle della Rai, degli imitatori dellemode, dell'Auditel, della società spettacolo, eccetera, eccetera. ANCOU SULPASSATO TEDESCO Susanna Boehme-Kuby Quarant'anni dopo, si è riaperto nella RFT un acceso "dibattito fra gli storici" di opposti orientamenti politici sull'interpretazione del Terzo Reich e sul suo significato per il futuro tedesco. La novità non è tanto nelle argomentazioni, quanto piuttosto nel tono del dibattito: nella "nuova spregiudicatezza" con la quale si esprime chi intende "relativizzare" il nazionalsocialismo, in un momento storico nel quale molti politici tedeschi pensano di dover uscire da quella condizione di subalternità agli USA nella quale la RFT si è sviluppata dal 1949in poi. Si tratta di un sintomo fra gli altri (si pensi ai fatti di Birburg in occasione del 40° anniversario della resa tedesca, alle affermazioni più o meno dirette circa la costruzione di una nuova identità politica fatte da Kohl, Strauss, von Weizsaecker, ai progetti per IL CONTUTOo la fondazione di "musei di storia tedesca" a Berlino e Bonn). E questo sintomo fa intravvedere tutto un contesto intellettuale e politico che, liberandosi del proprio superio, intende separare nuovamente politica e morale per avere le mani libere, e compiere liberamente, senza vincoli e senza scrupoli, le scelte che si ritengono adeguate alla politica di una potenza economica che è al primo posto nell'Europa atlantica. Tema del dibattito, tutt'altro che accademico, sono le tesi di storici come Nolte, Hillgruber e altri, che "rivedono" la storia del nazionalsocialismo privandolo della sua "singolarità" storica, contestando per esempio l'originalità della politica di sterminio e di genocidio, citando altri esempi storici, da Stalin a Poi Pot, e rispolverando la tesi delirante della guerra necessaria e preventiva della Germania contro l'URSS. Tesi in sé non nuove, nel loro complesso (quelle di Nolte risalgono all'inizio degli anni Sessanta), ma fino a pochi anni fa non prese in seria considerazione. Gli anni Sessanta e Settanta avevano nuovi e più fondati accostamenti storici, che andarono al di là dello storicismo individualistico e demonizzante fissato sulla figura di Hitler, che aveva prevalso nel primo decennio della nuova repubblica. La svolta, tuttora in atto, del clima culturale e politico alla fine degli anni Settanta, ha cambiato il tono e spostato l'accento dei discorsi sul Terzo Reich. Habermas ha avuto il merito di richiamare l'opinione pubblica tedesca su questo "processo di revisione storica" in atto. Habermas e gli altri che sono più o meno sulle sue posizioni, si trovano un po' sulla difensiva e spesso le loro argomentazioni sembrano inadeguate. Uno di questi punti deboli è stato colto da Tiircke, quando mette in evidenza il consenso che c'è fra le opposte fazioni sulla necessità di ritrovare un'identità politica tedesca (occidentale). Il concetto di "identità politica" si fonda su quello di "storia" che a sua volta significa ricordare, prendere atto di una realtà, acquisirla criticamente per esserepoi eventualmente in grado di superarla in una prassi politica coerente. Ecco: un tale processo collettivo non ha mai avuto inizio nella RFT e non esistono scorciatoie per poter rientrare nel corso della propria storia quando se ne è persa la strada. Quando Habermas si appella al "patriottismo della costituzione", si ha l'impressione di avere a che fare soltanto con un rassicurante cliché. La stessa formulazione del Grundegesetz, con il preambolo che 31

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