Linea d'ombra - anno VI - n. 26 - aprile 1988

ILCONTUTO risposta nella distinzione fatta dalla Magli tra omosessualità mitica e pratica omosessuale. È indubbio d'altra parte che, contro l'affermazione progressiva del femminile attuata dalla donna, gli uomini oggi cercano sempre più rifugio in un maschile autosufficiente che, se non si può dire omosessuale, riconosce tuttavia sempre più al suo interno anche le prerogative dell'altro sesso. Un fenomeno reattivo, ma le cui origini possono essere molto lontane. Esemplare a questo proposito mi è parso un articolo di Alberoni apparso tempo fa sul Corriere. Esso trattava dell' "uomo nudo" e la sua lettura mi ha dato, in quanto donna, un senso di disagio. I termini con cui il noto sociologo descriveva il corpo maschile erano cosi imbarau.anti da apparire indecenti: "lui" (forma pronominale un tempo appannaggio, se usata fra virgolette, delle riviste femminili) appariva in primo piano, nudo, immenso, con i muscoli pettorali gonfiati come "grandi seni" (non solo appropriandosi di uno degli attributi specifici della femminilità ma addirittura superando la donna: al posto di miseri seni da femmina, "grandi seni" da maschio). Vicino a "lui", dal corpo "trionfante, competitivo (il corsivo è mio), orgoglioso", le donne, descritte come "piccole, imperfette, inferiori'', facevano la figura di "cameriere". Finalmente dunque un "lui" che riesce a strappare a "lei" l'ultimo trofeo: non c'è più Eva, ma un Adamo reintegrato della costola mancante. Contrariamente a quanto accaduto per il libro della Magli, nessuna voce maschile si è levata per prendere le distanze da un brano così sconcertante ed evocatore, pur nella sua attualità, dei miti virili di un nostro passato regime. Invece: nemmeno un sorriso. La tesi alberoniana è stata accettata con serietà. Come mai un così improvviso venir meno di quell'ausilio tanto prezioso del nostro vivere, il senso del ridicolo? Forse l'attività di opinion maker, qualifica attribuita da qualcuno alla Magli con intenti offensivi, diventa prestigiosa e degna di fede quando viene esercitata sulle pagine del Corriere? Che cosa dire infine del motiplicarsi di quel rito collettivo dello stupro in cui trova un esito estremo il gioco adolescenziale (ma non solo) di confrontare il membro? Stupro che non serve a procurare piacere, ma a rassicurare i partecipanti facendoli sentire solidali in una cosa "solo per uomini"? Non è inutile sottolineare come lo stupro non sia un rapporto con chi lo subisce, ma un rapporto fra chi lo compie. Forse l'uomo potrebbe cominciare a riflettere sui contenuti di un immaginario che ha effetti così drammaticamente reali. 30 TELEVISIONE PALATEDIM•••• Oreste Pivetta Telemaniaco non più di tanto, disrratto compulsatore di programmi televisivi (mi fermo per lo più all'elenco dei film), sono in compenso un divoratore di canali. Dall'uno all'altro freneticamente, finché m'arrendo, cado nella rassegnazione e pronuncio la solita e storica frase: "In questa tv non c'è mai niente da vedere". Senza discriminanti: pubblica o Berlusconi. Così una sera (la premessa era necessaria per spiegare la casualità dell'incontro), saltando per l'appunto di canale in canale, incontro il bel viso serio e scavato di una persona che mi sembra di riconoscere e che si presenta, se non ricordo male, al grido di "testa di cazzo, sei un imbecille, tu critico, tu sei merda". Ecco che il personaggio si precisa. A poco a poco. Qualcuno dal pubblico (pubblico selezionatissimo, una decina di persone) lo rimbecca: "Omosessuale". A questo punto la telecamera e l'occhio mio che la segue cadono su una montagna di libri disposti ordinatamente a configurare una scrivania. E tra tutti quei libri, buttato là con abile distrazione, Sodomie in corpo 11. Sì è lui, lo scrittore, Aldo Busi, "al sub-dio", come da anagramma. Solo che a cancellare questa appena ritrovata certezza arriva il critico che si annuncia quale Guido Almansi (famoso per aver contestato a D'Agostino, quello del look e della plastica, la paternità della parola "triculo"). Citando lo scrittore, perché "il cazzo è il diagramma perfetto del pensiero" o qualcosa di questo genere che poteva rifluire nel "pene" di Miller, mette in dubbio che Busi Aldo sia scrittore. "Questo è tutto da stabilire". Segue urro schiamazzo violentino. Scrittore (?) e critico (!) si parlano addosso. Poi un altro dei dieci del pubblico si alza e chiede di potersene andare, se il contratto non glielo impedisce (ma il pubblico è li a contratto allora, e se è lì a contratto vuol dire che lo pagano: e così, per soldi, non per cultura, mi ci metto anch'io in lista ... ). Una signora squisita e intelligente interrogata quando la pace è ristabilita, ammette che a quel punto non sa proprio più che cosa dire. Un altro si agita avvolto in una sciarpa da poeta. Voci dal coro. Insultano pure lui. "Bellezza, non capisci niente". Deduco si tratti di Dario Bellezza. "Basta basta", grida il cosiddetto moderatore avvolto in grandi giacche, grandi sciarpe, lunghi lunghi capelli, lunghe braceia, "sono pentito di avervi invitato". Chiuso. Giro nelle private e persino la faccia paciugona e livellata sul serio (o serioso) di Giorgio Bocca mi rallegra. Di fronte a lui - riconosco il giudice Caselli. Discutono di terrorismo, pentitismo, perdonismo. Con belle argomentazioni da parte del bravissimo Caselli, che indugia a spiegare a chiarire, a ricostruire. Seguono altri testimoni, avvocati, ex terroristi, ma nessuno alza la voce, non dicono "cazzo" e persino il terrorista pentito lascia stare Dio, la madonna, le visioni mistiche e tutto il resto. Alla fine della seratina cerco qualche informazione in più e apprendo che il moderatore sbottonato si chiama Arnaldo Bagnasco, funzionario Rai Tv, uomo di teatro, sceneggiatore, mi pare anche regista. La trasmissione si intitola "Mixer cultura". Pare che peschi nel calderone francese della mitica "Apostrophe". Qui si urla, lì forse si discuteva con qualche coraggio. Non so. Torno indietro nei giorni e mi ritrovo una paginetta del "Manifesto", che, invece di recensire, ripropone parola per parola un altro dialoghetto del genere, protagonista quella volta, ancora a "Mixer cultura", Carmelo Bene, da poco, allora, nominato responsabile della sezione teatro della Biennale. Alla fine mi chiedo perché la cultura televisiva non riesca a trovare una via di comunicazione e informazione, equidistante tanto dal mortuario quanto dall'insulto. Mi spiego. Il gusto prevalente viaggia ancora intorno al nero profondo. Immagino che chiunque anche se per pochi languidissimi istanti, per un dito banalmente scivolato sul tastino sbagliato del telecomando, per un colpo di sonno o per un generoso slancio intellettuale abbia prima o poi seguito un reportage da una fontana o da una piazzetta intorno alla quale erano ammarati un premio letterario, i suoi vincitori, i suoi sponsor, la sorella e la cugina di qualcuno, un paio di funzionari della Rai. Lì avrebbe potuto ascoltare il sommesso commento, ad esempio, di Luciano Luisi, che è anche poeta e soprattutto il più premiato dei poeti oltre che il più presente in giurie letterarie a gettone, Seguirebbe una musica che ti spezza il cuore, una marcetta funebre che più funebre non si può. Volti tesi e tristi finché scoppia l'ilarità del solito Stanis Nievo d'occasione, braccia alzate sul traguardo. L'intervista, se il nostro amico avesse avuto la pazienza di seguitare, sarebbe stata altrettanto moscia e disperata e tutto il dolore del mondo avrebbe trovato lì qualche altro grammo di sofferenza in più.

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