fosse per quella vigorìa scandalosa nella rappresentazione sociale, che resta a distinguere Busi nell'ormai nutrito gruppo dei nuovi autori emersi in questi anni. Poi anche l'immodestia e il furore narcisistico rischiano di fare velo. In verità lo stile di Busi non è gran che cambiato dal primo romanzo. Si regge ancora su una notevole abilità dialogica, in bilico sempre con un monologare visionario. Piuttosto, tra cultismi, dialettismi, stranierismi stravolti, si sta sempre più accostando al vero e proprio pastiche, così caro alla tradizione lombarda. Da vero e buon espressionista, Busi filtra il peggio della realtà sociale che lo circonda. Poi, aggiuntavi una buona dose di smalto letterario, la restituisce massacrata e quasi irriconoscibile. O almeno così pare (in realtà si ha sempre più spesso l'impressione che basterebbero una decina di telegiornali a smentirci). Ma il fatto è che l'autore insiste programmaticamente su queste latitudini. In ciò consiste il suo limite e la sua forza comico-grottesca. Egli elimina da trame e personaggi qualsiasi parvenza di medietà tipica. Guardate semplicemente i ritratti, nove su dieci sono delle storpiature. Basta scorrere le prime pagine: "Donna con sguardo trasecolato ... mingherlino tenebroso che sta parlottando con un omaccione sugli sgabelli del banco ... " Stabilito ciò, ed espunta ogni possibile solidarietà materiale o sentimentale, viene scoperchiato narrativamente l'inferno. Sul piano collettivo campeggiano assolute la violenza e l'espropriazione coscienziale. Poi tutto il repertorio basso e viscerale: sesso e putrescenza, presenze escrementizie, patologie fisiche e morali. Un inferno a cui soprattutto non corrisponde nessuna salvazione, né qui né altrove; poiché tutto coincide con la vita stessa, in cui omuncoli ridicoli possono solo arrabattarsi nell'illusione di durare, riproducendosi e accumulando. Una situazione, osserva l'autore, nemmeno rappresentabile in senso puramente tragico. Non c'è grandezza per chi non sa immaginarla secondo "controcanti umorali e controtempi comici". A suonare la spaventevole sinfonia resta certo un io-autobiografico, che con irritante cinismo si erge quale ultimo dei saggi. E tuttavia il comico nelle sue mani, · strumento formidabile di annullamento e vanificazione, rimanda pur sempre lontani echi romantici. Miguel Ventura: Natura morta con dinosauro (1983). CONFRONTI IMASCHEI LAMADONNA Donatella Bisutti Israele, popolo di maschi in cui le donne restavano relegate nell'ombra, ma anche popolo paradigmatico della civiltà occidentale, è sempre nominato nelle Scritture come "la sposa di dio". Il patto con Dio è un patto matrimoniale : così si arriva a fare a meno della donna perfino nella sua funzione essenziale. Questa metafora dello sposalizio divino di Israele contiene quindi di fatto una cancellazione totale del femminile e l'affermazione di un'autonomia assoluta del maschile. Il maschile, alle origini della nostra civiltà, assume su di sé il femminile, ma per escluderlo. In questo senso mitico, e beninteso solo in questo senso, l'antropologa Ida Magli nel suo ultimo libro, La Madonna (Rizzoli), parla di una omosessualità maschile, in quanto aspirazione ad escludere il sesso opposto: cosa ben diversa da una omosessualità reale che, sia nella società ebraica sia nella successiva società cristiana, a differenza da quanto avvenne nella cultura romana e greca, non fu mai praticata apertamente: per gli ebrei era "vietata da dio", nel Medio Evo fu punita come "eresia". Questo perché, dice sempre la Magli, l'uomo, assumendo nell'atto omosessuale un ruolo femminile, perde la sua prerogativa maschile, mentre un'omosessualità idealmente proiettata sul rapporto con la divini - ILCONTUTO tà, può abolire il femminile senza mettere in pericolo la nozione di virilità. Quella della Magli è una tesi audace e la prima reazione è quella di rifiutarla. Tuttavia si è insinuato in me successivamente il dubbio che essa sia assai meno paradossale di quanto sembra. Non voglio né sono in grado di entrare nel merito della sua legittimità scientifica: mi limiterò a indicare qui alcune possibili prove "indiziarie" che sembrerebbero suffragarla sul piano del costume. Prima di tutto proprio il fatto che il libro sia stato stroncato con violenza inconsueta in tempi in cui si è teorizzata l'inutilità della stroncatura ed essa viene sostituita per lo più da educate parole di circostanza, come a un funerale che non ci coinvolge. È forse un caso che tutti i recensori in questione fossero maschi? Si sa che la violenza di una reazione è sempre direttamente proporzionale non alla forza dell'avversario, ma alla debolezza di chi viéne attaccato. L'uomo normale dimostra sempre nei confronti di un sospetto, anche lieve, di omosessualità un'angoscia che una donna non dimostrerà mai nelle stesse circostanze. Segno che il venir meno della viriÌità è sentito come qualcosa di più di una deviazione dalla norma, ma, nell'assunzione del femminile, come una perdita totale di valore. Ma segno anche, si direbbe, che il desiderio di sostituire il femminile è così forte da dover essere negato e represso. Un atteggiamento così ansioso e ambiguo trova appunto una 29
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