IL CONTUTO dia luoghi e situazioni nero-gotiche alla Poe e Lovecraft, nonché mari orientali e giganteschi capodogli secondo Conrad e Melville. Il parodismo surreale è del resto un tratto originario della comicità di Benni. Come già in Terra!, i riferimenti letterari sono anche .qui svariati e apertamente dichiarati. Basta '.un salto di pagina per passare da Omero ad ·Agatha Christie, passando magari per il gu- ,stoso rifacimento di un racconto minimalista alla Leavitt in Californian crowl. Così come gustosa è la descrizione dell'epica lotta tra Ettore Baldi e Achille Lanzarini, svoltasi in quel di Sompazzo, paese fantastico ma dai vaghi contorni emiliano-romagnoli anni '60. Più che la costruzione narrativa, o la particolare situazione comica, resta evidentes mente lo scarto linguistico a produrre i .risultati più immediati e apprezzabili. Sono le appropriate, e talvolta raffinate elencazioni; unite sempre a un cumulo di iperboli grottesche. Si potrebbe anche osservare che, all'interno del volume di racconti, la trilogia di Sompazzo riconduce ai primordi della creatività benniana. A quel Bar Sport (Mondadori, 1976) che associava a un grottesco-surreale di evidente stampo fantozziano, una più ampia varietà di tipi e cari- ,cature. In cui la comica epopea dell'impiegato-massa ideata da Villaggio, veniva insomma dilatata a un più ampio affresco di umanità di provincia. Di qui in avanti, la produzione benniana si è sempre originata da inequivocabili ri- 'ferimenti letterari, quando non cinematografici o fumettistici. Questo sembra essere l'irl'inunciabile punto di partenza. Instancabile fagocitatore di stereotipi, addirittura luoghi comuni narrativi, Benni li travolge poi con repentini ritorni alla quotidianità più dimessa e triviale, spesso non priva di allusioni politiche e oppositive. Fa cozzare in sostanza il noto con l'arcinoto, e ne trae satira di costume mai riposante o addomesticata. Sono invece "tempi ispirati", per il protagonista de li poema dei lunatici (BollatiBoringhieri, L. 20.000), romanzo dell'esordiente Ermanno Cavazzoni. Tempi in cui il giovanotto chiamato Savini intraprende la sua strana ricerca, nella convinzione vi siano "delle bottiglie nei pozzi" contenenti i messaggi "di tutti quelli che sono naufragati". Materia e indirizzo narrativo si mostrano in qualche modo eccentrici rispetto all'odierno panorama letterario; anche se a guardare da vicino, il tono non sarebbe dispiaciuto a un novecentista come Bontempelli, o magari al Calvino più fantastico. .28 Sullo sfondo di una Bassa padana magicamente trasfigurata, il viaggio di Savini riesce a risaltare sulla pagina, grazie alla sua leggerezza onirica e a un'avventurosità ilare e picaresca. Solo che, attraversati paesi e raccolte le storie di curiosi personaggi, il protagonista si incontra alfine con il patetico Gonnella, commissario facente-funzioni. E con lui torna a indirizzare la sua donchisciottesca ricerca, ora rivolta alla stesura della mappa di una evanescente "prefettura"; zona di margine tra una realtà quotidiana, fitta di ipocrite finzioni e travestimenti ingannevoli, e le presenze sottili che la attraversano, invisibili ai più. Una prefettura "senza piano regolatore", tutta "un po' da inventare''. Esattamente come il romanzo di Cavazzoni, che vive in questa ampia parte centrale anche di episodi riempitivi, non sempre giustificati dal contesto. Particolarmente apprezzabili, sono in ogni caso le parti in cui Savini si addentra nella provincia a lui più sconosciuta: quella abitata dalla presenza femminile. "Essere donne" spiega anzitutto il commissario, "è un modo di travestirsi e gonfiarsi i capelli, dando a vedere anche certi sviluppi". In sostanza "un modo molto sui generis per mettersi in maschera". Ne deve derivare un preciso comportamento da parte dell'uomo. E sempre Gonnella a chiarirlo, in un tipico dialogo maschilista col barbiere Gaudenzi: "Le donne vanno prese per l'apotema e vanno messe di sotto ... altro che bisettrice!" Per loro "ci vuole il pi greco, ha capito? Vogliono solo il tre quattordici. .. Non vogliono altro!" Savini li ascolta confuso. Siamo evidentemente in ambito di satira antifemminile. Ed è qui che l'abilità comicolinguistica si realizza più felicemente, intrecciando con trasparente fantasia allusiva tono colloquiale e registri specialistici,riferibili alla geometria euclidea quanto alla meccanica applicata. Il tutto innestato su una sintassi che, anche se studiatissima, si presenta semplice e accattivante. Ma se il clima nel volgere delle pagine è sempre ilare e divertito, non si può dire altrettanto di fronte a quelle conclusive. Dopo tanta estroversione fantastica, il protagonista si ritrova alla fine del viaggio scoraggiato e pensieroso. Le peripezie affrontate non sembrano aver sedimentato alcun bagaglio di esperienze maturative. Precluso ogni positivo contatto con l'universo femminile, e trasvolato nell'aria il commissario con la sua evanescente prefettura Savini si trova a considerare, come un vecchio, che più che altro "passa il tempo. E basta. Che passa via pian piano, da tutte le parti". Parrebbe questo lo sconsolato messaggio giunto in bottiglia da quei lontani "tempi ispirati", allorquando sopravviene il dubbio di averli vissuti senza vero profitto. Più complessa è la presenza del comico e del grottesco nella narrativa di Aldo Busi. Accantonate per il momento le imperscrutabili allegorie trinitarie del precedente romanzo, Sodomie in corpo 11 (Mondadori, L. 24.000) si mostra maggiormente scoperto, anche se va accostato con un'immensità di cautele. È stato per esempio poco meno che una boutade, presentarlo nelle anticipazioni editoriali come libro di aforismi. Più che per la breve determinazione filosofica, lo scrittore bresciano ha il gusto per la contaminazione proverbiale, per il paradosso sentenzioso, magari protratto per più pagine e poi risolto in vera narrazione. Talora si tratterà di episodi in presa diretta e di grande efficacia (notte araba e stupro); talaltra saranno racconti riportati di minore mordente (Clementina Gnoccoli, parente troppo stretta del Celestino di Vita standard). A seguire le indicazioni del sottotitolo, Sodomie in corpo 11 dovrebbe esseresul piano tematico un libro di "non sesso, non viaggio e non scrittura". E questo è certo strano per un testo farcito di viaggi attorno al mondo, di coiti e di riflessioni d'autore sul proprio modo di essere omosessuale. Ma bisogna stare attenti: "non mi dispiace", scrive Busi, "affermare una cosa e poi ribaltarla scetticamente nel suo opposto". La faccenda è in effetti meno nitida di quanto si vorrebbe. Se per sesso si intende la realizzazione soddisfatta di una pulsione istintuale, bisogna dire che qui, nella ·sua ossessiva presenza, il sesso ha più il senso di una costrizione oscura, cui l'autore guarda con un inquietante distacco. Idem per il viaggio: al succedersi di popoli e paesi, raramente fanno seguito descrizioni esotiche e contemplative. Viaggiare non sembra diverso dal restare, la negazione che l'autore si porta appresso non ha propriam~nte alcun luogo al di fuori delle profondità viscerali e coscienziali. Qualche concessione occorrerà invece fare riguardo al tema della scrittura. Precedentemente Busi sosteneva di non essersi mai occupato dello stile. Ora, superata la metà di quella che egli stesso ha stabilito essere la sua produzione letteraria, dichiara di essersi imbattuto nei problemi della scrittura. E su questo si diffonde con invasamento mistico, sempre pronto a scambiare Dio e Sub-io, Totalità mondana e Scrittura, di cui il vero autore non può che risultare semplice esecutore strumentale. Non paiono davvero discorsi nuovi. Non
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