Linea d'ombra - anno VI - n. 26 - aprile 1988

CONFRONTI ILCAIMANOEILCOLIBRÌ Vanda Perretta La Sugarco Edizioni pubblica nella Coll~na Romanzi Storici il libro di Hans Christoph Buch Le sette vite del caimano (trad. di Luisa Coeta, pp. 325, L. 22.000) che appartiene in realtà a un genere ;'misto" incui micro e macrostoria sono tanto presenti quanto l'autobiografia, la biografia, il viaggio. Già il prologo rivela la cifra del mixtum compositorum alla base del racconto con una rutilante fantasmagoria di citazioni letterarie, politiche, storiche e personali in cui, tra aromi di cioccolato, cesti di frutta esotica, bisbiglii di rosari e trilli di colibrì, le ombre di Voltaire, Rousseau, Kleist e del povero Lenz, coinvolti in un pandemonium non più solo germanico rria generalmente europeo, es.orcizzano gli spettri della storia haitiana, dalle rivolte iniziali di Toussaint Louverture e Jean Jacques Dessalines sino alla ferocia del regime di Duvalier. Da tutta la memoria del passato H.Ch. Buch distilla il principio della violenza. Violenza antica, indotta dai coloni bianchi, che passa indenne attraverso gli slogan affratellanti della rivoluzione francese, smaschera lo pseudoprogressismo di Napoleone primo console e infetta di sé chiunque, bianco, si avvicini a Haiti. Francesi, inglesi, americani e addirittura anche i tedeschi, sia pure nella dimensione grottesca di una risibile contesa di presunto leso prestigio, tutti, abbacinati dal colore della ricchezza dei tropici e accecati dall'odio razziale, sembrano possedere o presentare una unica credenziale: quella dell'esercizio di una efferata crudeltà, di una miope aggressività o di una ottusa ferocia. Confortato dalla conoscenza puntuale del paese odierno, da una vasta esperienza di viaggio attraverso i paesi del sottosviluppo, Buch intreccia con là realtà di uno di questi, quel "dialogo condotto con lealtà e senza pregiudizi" (p. 91), auspicato dalle Raccomandazioni della Commissione NordSud e permanentemente ignorato o contraddetto nei fatti. A ciò si aggiungono un piacere e una variegata opulenza del raccontare, che testimoniano di come la lezione della grande narrativa latinoamericana abbia profondamente toccato i moduli narrativi europei, spalancando nuovi orizzonti all'immaginario e dilatando le dimensioni di ogni possibile favola. Le sette vite del caimano appare quindi come un frutto maturo delle modalità narrative attuali derivando il suo nutrimento anche dalla grande tradizione letteraria che in Germania ha visto nascere tanti racconti delle "isole felici" fra Caraibi e Mari del Sud, visti come ipostasi miracolose di un Eden scomparso. Il caimano custode e cronista di antiche storie che H.Ch. Buch incontra sulla sua strada, simbolo clella resistenza dei luoghi agli insulti degli eventi, è anche la bestia mostruosa che spazza via con la sua coda possente tutti i passati modelli esotico-idealizzanti di favoleggiati paradisi tropicali. Oggi - ammonisce il caimano - il tropico è triste. L'illusione che una natura trionfante cancelli le devastazioni prodotte dallo scontro tra due civiltà è svuotata di senso. Il caimano ha definitivamente soffocato la voce del colibrì, uccellino minuscolo e coloratissimo che non può più distrarre col suo canto o con la sua irreale bellezza nessun viaggiatore che voglia essere rispettato. In questo contesto smitizzato si inserisce la storia familiare di Buch. Stanco d'Europa e sedotto dalla "promessa di felicità simile a un aroma mai gustato prima" (p. 178), letta negli occhi di una statuina vista a Weimar in casa di Lizst, Louis Buch arriva a Haiti, sul finire del secolo passato; le vicissitudini della sua vita tesseranno i fili che legano passato a presente, Sud e Nord. Il legame tra Haiti e la Germania, tra natura e cultura arriva sino ad oggi, passando attraverso l'avventura sanguinosa di due guerre, in un'altalena di migrazioni dall'uno all'altro continente che finisce per riassumere in sé l'alternarsi stesso di bene e di male; fuggono dall'Europa i perseguitati dal regime nazista e poco più tardi gli stessi nazisti scampati alla fine del regime. Appena in tempo per esportare e innestare la loro aberrante visione del mondo sul tessuto politico periclitante del paese ospite. Il circolo della violenza si chiude. Solo la disperata volontà di bene della popolazione nera e non, la sua resistenza silenziosa e incontrollabile all'impero della violenza, permette che al fianco della morte si perpetui anche la vita; una vita al di fuori dei meccanismi del potere, custode dimessa e caparbia del sogno di un futuro lontanissimo ma libero. ILCONTUTO Lovls Corlnth (1884). COMICI, · POCOSPAVENTATI SCRlffORI Bruno Pischedda Il comico e il suo opposto, il serio, paiono convivere come componenti di un rapporto sbilanciato e quasi esclusivo, all'interno della narrativa nostrana più recente. Troppo facile scavalcare il primo in quanto basso e corrivo. Altrettanto sbrigativo è relegarlo in quella fetta di mercato (in verità assai ampia), in cui troverebbero spazio i soliti onesti mestieranti della penna. Dall'altro lato la fanno facile i cultori (e le cultrici) di una neo-mistica della scrittura, a interpretare il secondo sulle note di noiose malinconie memorative, o di ardui arrovellamenti esistenziali. Complessivamente, ne discende una sorta di incomunicabilità di cui è difficile gioire. A perderci rimane pur sempre un'idea di letteratura, dotata di sufficiente mordente realistico. Eppure, in termini quantitativi, il rapporto risulta quasi invertito se ci trasferiamo sul piano dell'esperienza quotidiana. Ha ragione Stefano Benni a scrivere che "passiamo metà della vita a deridere ciò in cui altri credono, e l'altra metà a credere a ciò che altri deridono''. È anche questo un contrasto che restituisce il sapore amaro di una condanna. Tuttavia, accettandolo senza remissione, giorno per giorno noi non ci assumiamo altro che un punto di vista comico sulla realtà che ci circonda. Non sembrano molti gli autori che mostrano di partire da questo dato di fatto; che è poi implicato con la ben nota impoeticità di questi tempi (neo- e poste trans- e cis-) moderni. Tra i pochi, si possono recentemente, e diversamente annoverare, lo stesso Benni, Busi e Cavazzoni. Abbandonati i pessimismi apocalittici dei due precedenti romanzi, Benni pare aver ritrovato nel suo ultimo volume di racconti (// bar sotto il màre, Feltrinelli) una sagacia inventiva dai colori meno cupi. Certo, come per il personaggio che raccoglie tutte le storie in una cornice, restano purtuttavia "tempi difficili". Ciononostante, "per qualche strana ragione''-, ci si può sempre sentire felici; di una felicità che è qui soprattutto varietà favolosa e surreale. A ben guardare, vi sono pezzi più adatti a un giornalismo satirico (ad esempio l'apologo sulla visita del Papa in Cile). Ma accanto si collocano pure racconti di maggiore respiro, come nel caso di O/eron e Matu Ma- /oa, che propongono in una divertita paro27

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