Linea d'ombra - anno VI - n. 26 - aprile 1988

IL CONTESTO Una scena di Prick Up di Stephen Frears. Totalmente estraneo alla dimensione realistica è invece l'unico romanzo di Orton, Da capo a piedi, pubblicato postumo in Inghilterra nel 1971ed uscito in Italia lo scorso anno (traduzione di Attilio Veraldi, Serra e Riva Editori). Scritto nel 1961, fortemente influenzato dal gusto per l'erudizione e per il mondo classico di Halliwell (che forse ci mise anche mano), il romanzo descrive il viaggio del protagonista, Gombold Provai, sul corpo di un gigante, da capo a piedi e ritorno con svariate tappe dentro il corpo stesso. Alla fine, quando il gigante muore, Gombold sparisce in quello stesso buco ai bordi del quale si era trovato all'inizio del romanzo. E chiaramente un'eco di Alice nel paese delle meraviglie, così come gli incontri di Gombold con strani popoli possono rimandare ai Viaggi di Gulliver e l'episodio del "cavallo di Troia" deriva dal Baiso Snell di Nathan_aelWest. Ma i fitti riferimenti culturali, siano essi parodici oppure no, hanno sempre un tono vagamente goliardico, da gioco intellettualistico di studenti alla scoperta della Cultura, come è particolarmente evidente nell'invenzione dei nomi propri, a volte deformazioni di quelli esistenti (Dinty/Dante, Kneetchur/Nietzsche: in inglese la pronuncia è quasi identica), a volte fortemente allusivi, spesso cripticamente allegorici. Nel romanzo non riesce a Orton ciò che gli riuscirà benissimo nel teatro, cioè la frase ironica e perfida, l'immagine comica nel suo violento sarcasmo, lo sberleffo crudele e divertente. Resta la trovata del viaggio sopra e dentro il corpo, restano alcuni momenti felicementefarseschi (legesta di Offjenkin, la fuga dal carcere), ma forse l'interesse - molto modesto - del libro sta soltanto nel 24 suo valore di repertorio dei temi ortoniani, in particolare la confusione e l'indeterminatezza dei sessi e la paura della donna, castratrice _eavidamente possessiva. Se fosse stato pubblicato nel '61 quando fu scritto si sarebbe certamente meritato l'etichetta di scandaloso e dissacrante. Dieci anni dopo, nella post-swinging b:mdon che non si scandalizzava più di niente se non del terrorismo, Da capo a piedi poteva essere soltanto un ulteriore e piccolo apporto al piccolo mito ortoniano di genio e sregolatezza. La persistenza, tuttavia, di questo mito spiega il lungo lavoro di Arnold Bennett, drammaturgo e sceneggiatore di buona fama, e di Stephen Frears, il regista di My Beautiful Laundrette, che dalla biografia dell'americano John Lahr hanno ricavato,un ritratto tutto sommato indovinato e convincente di Orton e dell'Inghilterra degli anni '50 e '60. Il film, Prick up.L'importanza di essere Joe, è quasi tutto in flash-back, dai diari di Joe alle testimonianze raccolte da John Lahr, soprattutto quella di Peggy Ramsay, agente teatrale di Orton e grande boss della scena inglese, resa con voluta ambiguità da una Vanessa Redgrave tutta calcolo e signorile freddezza. Prick up è un film girato bene, forse persino con qualche compiacimento tecnico di troppo, che ha una grande capacità di evocazione di atmosfere: la Londra degli anni '50 nella festa danzante sul Tamigi e la swinging London nel vernissage della mostra di Halliwell, il sottomondo dei gabinetti pubblici londinesi deputati agli incontri omosessuali, la provincia squallida e conformista della natia Leicester, con quel cognato ottuso preoccupato di cosa pen·seranno all'estero e quel padre patetico e inesistente. Certe scene probabilmente non hanno sullo spettatore italiano lo stesso impatto che hanno su quello inglese (come per esempio quella dell'iniziazione omosessuale di Joe durante la cerimonia dell'incoronazione di Elisabetta), ma in gener.el'idea di trasgressione beffarda che stava alla base del teatro MUSICA di Orton viene come incorporata nel film - si pensi all'episodio del funerale della madre, che sembra uscito da una delle sue commedie. La fierezza della trasgressione scompare ben presto dalla figura di Halliwell (il film segue fedelmente la ricostruzione che ne fa Lahr; ma il suo ruolo nella formazione artistica di Orton dev'essere stato maggiore di quanto non appaia qui, dove il pur bravo Alfred Molina è costretto a una recitazione troppo isterica e piagnucolosa), mentre mantiene giustamente un rilievo di primo piano nella figura di Orton. Ma questo, più che alla sceneggiatura, è dovu- .· to all'interpretazione di Gary Oldman, la cui presenza sullo schermo è davvero straordinaria. Oldman si impadronisce del personaggio, lo fa suo, diventa Orton. Per gli spettatori d'ora in poi Orton avrà il suo volto, i suoi gesti, il suo sorriso ingenuo e sfrontato; e con lui il suo piccolo mito potrà ancora per un po' continuare a sopravvivere. GLOBESTYLE Marcello Lorrai ''L'idea era quella di mettere insieme un catalogo. Se tu hai tre grandi dischi, la gente può dire: 'Tre, va bene. E allora?' Ma se tu dici: io ho venti grandi dischi, questa è una collezione, e può significare uno scomparto speciale in un negozio, e quindi uno corre anche il rischio di comprarti a scatola chiusa". Chi parla, in una dichiarazione a "New Musical Express" di qualche mese fa, è Roger Armstrong, con Ben Mandelson responsabile della GlobeStyle, una delle etichette attive nel campo di quella che soprattutto la stampa specializzata inglese usa chiamare, con un'espressione che più comprensiva non potrebbe essere, world music. World music può stare a indicare tante cose. Schematizzando: autentica musica tradizionale, o genuina musica popolare ·moderna, generalmente provenienti da aree insolite e scarsamente documentate; oppure contaminazione tra musica kadizionale e stimoli moderni, del rock innanzitutto, risultato talvolta di una spontanea esigenza evolutiva, talvolta dell'intervento studiato a tavolino dell'industria discografica; ma anche neofolk; e magari falsa musica tradizionale, scientemente prodotta con atteggiamento più o meno ludico. Etichette che operano in questo variegato ambito sono spuntate come funghi, negli ultimi anni, oltre Manica, ma sono numerose

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