Linea d'ombra - anno VI - n. 26 - aprile 1988

DISCUSSIONI/ ARLORIO c'è. E una pedagogia che non c'è esiste almeno per un motivo: che rincara le ansie degli educatori. Ansie così forti e diffuse che J. Kagan, per esempio, cerca di tranquillizzare dimostrando scientificamente che le cose non sono così complicate che è difficile stabilire gli effetti di un certo tipo di educazione, e che "la sensazione di essere amato o respinto è un'idea del bambino e non dipende dal modo di agire dei .genitori". · Ho spesso pensato che un bambino è un essere pieno di 'idee. D'ora in poi sarò più cauto. Ma mi sembra che Bettel- 'heim - dopo aver ribadito che il modo in cui i bambini vengono allevati influisce enormemente sul loro sviluppo e su come saranno da adulti - ponga meglio questa questione delle "idee" dei bambini. Dicendo: il modo in cui un genitore vive un evento cambia tutto per un bambino, perché è in base al vissuto del genitore che egli si crea la propria interpretazione del mondo. · A. Miller rincara la dose. Per lei l'educazione è un po' come se non avesse effetti ma solo conseguenze. Per fortuna, dice, la pedagogia nera spesso non ce la fa perfettamente, altrimenti le sue conseguenze sarebbero che saremmo tutti degli Hitler. Hitler è tra le persone più beneducate mai comparse su questa terra. È il modello dei beneducati secondo Miller. Visto che genere di minaccia per i bambini possono essere gli adulti con la loro pedagogia, vorrei dire quale minaccia possono essere i bambini per noi adulti di oggi. Per esempio: il bambino minaccia il nostro tempo di adulti. Essere e tempo. Essere senza tempo. Essere senza tempo per essere. Essere per essere senza tempo. Inoltre sembra quasi che molti genitori non abbiano tempo di stare coi loro figli tanto sono preoccupati di fare qualcosa per l'educazione dei figli (e trovo che Bettelheim fa bene a ricordare che il problema non è fare ma essere dei genitori passabili). Per quanto riguarda la minaccia del tempo vorrei chiedervi se avete mai notato che gli adulti fanno sempre fretta ai bambini anche quando non c'è nessuna fretta? Questo non vuole dire necessariamente che non dedichiamo tempo ai bambini; ma solo che non ne abbiamo. (Certe volte penso che sia una cosa molto grave che deve avere un qualche legame con la morte e il mortificare il tempo dell'infanzia come programma educativo; ma è un pensiero che non so ancora : bene che cosa voglia dire e lo metto solo tra parentesi). Se in questo momento qualcuno mi chiedesse di dare una definizione di adulto e una di bambino avrei persino la spudoratezza di rispondere (ma solo in questo momento e ricordandovi di sospettare sempre): Un bambino è uno che ha tempo. Un adulto è uno che ne è privo. Lo stereotipo per cui il bambino è un po' quello che non ha ancora ciò che l'adulto ha, almeno sotto questo aspetto non sembra corrispondere. Poi c'è la minaccia dello spazio adulto. Un bell'esempio sono i bambini nei passeggini esattamente ad altezza di tubo di scappamento automobilistico. IO Sembrerebbe che tra adulti e bambini la minaccia sia la normalità. Con questa minaccia del tempo e dello spazio non gli raccontereremmo mica (male) il mito dell'adulto? Prendo la palla al balzo per aggiungere che secondo me per stare coi bambini in maniera non proprio indecente bisogna essere dei narratori discreti, amici della comunicazione in diretta e dell'improvvisazione; quasi un po' contro la riflessione e la scrittura. Credo che sia una cosa che ha a che fare con le emozioni e che questa narratività vista da un'altra parte si potrebbe chiamare flessibilità. Qui "raccontare" significa che bisogna aver tempo e spazio per comunicare col bambino in un certo modo ... e per ascoltare ... imparare ... osservare. Magari prima di parlare ... sentenziare ... fare: come del resto normalmente s'ammette e persino si richiede in teoria; tranne verso i bambini, cui anche in questo caso sembra applicarsi una legislazione speciale. Dicendo che non si stanno ad ascoltare e non si osservano abbastanza i bambini si rischia una smentita clamorosa dai fatti. C'è tutta una psicologia infantile che continua a sguinzagliare migliaia di ricercatori a osservare migliaia di bambini. Il che va benissimo per la scienza, le università e le fondazioni; ma per te il " problema pedagogico" è quello di osservare e ascoltare quell'unico bambino che ti sta davanti (con in più, sempre di più, quello di evitare le interferenze di tutte quelle alte osservazioni). Così è successo che ci sono molti genitori che, come gli psicologi infantili, i bambini li osservano troppo, e molti genitori che, come gli psicologi infantili, il bambino lo vedono troppo poco. Sempre riferendosi a quel beneducatone di Hitler, A. Miller dice che i suoi trionfi di pedagogo di massa vanno spiegati anche con la gestuaHtà teatrale, che esercitava sulle masse altrettanto beneducate un'enorme forza di suggestione: perché è la stessa suggestione che subisce ogni bambino quando il suo papà si degna di parlare con lui. È l'aureola del padre. Non so se aureola si possa tradurre con look. Se per caso sì, la gestualità hitleriana come aureola del padre rivelerebbe un'origine drammatica del look: immagine nostalgica che ci porteremmo dipinta in faccia e negli abiti dell'amata/odiata figura del padre nostro; e del figlio che vorremmo/non vorremmo essere. Senza saperlo. Lo dico senza intenzione né spirito iconoclasta; ma per chiedere se il diffuso culto dell'immagine (iconolatria) non significhi milioni di genitori e per così dire un'epoca non favorevoli ai bambini? Infatti c'è anche un look pedagogico. Che tra l'altro ci riporta alla storia contro la tendenza a sottrarle il rapporto educativo. L'aureola Hitler/Himmler (il capo delle SS) è un po' passata di moda col suo modello pedagogico puramente autoritario. Al look pedagogico dittatoriale se n'è sostituito uno di tipo manageriale? L'aureola Agnelli/Romiti (il capo della Fiat) sembra: non c'è nulla da osservare, da imparare, da ascoltare in un bambino. Ossia: quelle facce così esplicitamente adulte nonostante l'implicito infantilismo del loro look manageriale, che cosa avrebbero mai da imparare ... ecc. da un bambino?

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