Linea d'ombra - anno VI - n. 26 - aprile 1988

APRILE 1988 - NUMERO 26 mensile di storie, LIRE 6.000 immagini, discussioni DAL' ------~ ·-RACCONT0-1-M . ·. INCHIESfA f:.JJifflMG - SAOÈGH--lilòA~. POESIE01 Ml&O OE..ÀNGEJ . __ IMMAGINI 01 PADRI E IMMAGINI 01 FIGLI

EricRohmer LamianotteconMaud Il cinema di Rohmer nasce da questi racconti: storie di emozioni appena accennate, di donne forti, di amori difficili. A cura di Sergio Toffetti. Traduzione di Elena De Angeli. «Supercoralli», pp. x-227, L. 24 ooo AnthonyPowell Il RePescatore Amori, imprevisti e pettegolezzi di una crociera. Un maestro inglese del romanzo-conversazione. Traduzione di Silvia Gariglio. «Supercoralli», pp. 258, L. 24 ooo MargueriteDuras L'amanteinglese L'ossessione di un delitto efferato nel piu «giallo» dei romanzi della Duras. Traduzione di Ginetta Vittorini. A cura di Edda Melon. «Nuovi Coralli», pp. 161, L. 12 ooo lsaakSabei Raccontid Odessa nellatraduzionediFrancoLucentini La violenza della vita nelle «miniature» picaresche dei racconti di Babel. «Scrittori tradotti da scrittori», pp. 121, L. 10 ooo Einaudi RenzoDeFelice Storiadegliebreitaliani 1 sotto il fascismo In una nuova edizione ampliata, la ricostruzione di uno dei capitoli piu drammatici della storia del regime fascista: la persecuzione antiebraica. «Biblioteca di cultura storica», pp. xxr-647, L. 65 000 SilvioLanaro l: Italianuova Identitàesviluppo1861-1988 L'Italia di oggi è proprio un paese indecifrabile? Una realtà divisa fra arretratezza e sviluppo, innovazione e tradizione, antico e moderno, in una «lettura» destinata a far discutere. «Nuovo Politecnico», pp. vn-257, L. 16 ooo A.Pelinka,K.Stuhlpfarrer, O.Rathkolb, W.Schmidt-Dengler Il cc casoAustria» Dall',Anschluss• all'èraWaldheim L'Austria fu vittima o complice nell'Anschluss cinquant'anni fa? In nove saggi la vicenda di un'identità nazionale ancora divisa fra colpa e innocenza. A cura di Roberto Cazzola e Gian Enrico Rusconi., «Nuovo Politecnico», pp. XLVII-211, L. 16 ooo JackGoody Lalogicadellascrittura el'organizzazione dellasocietà L'importanza della scrittura nell'organizzazione delle società umane. Traduzione di Piero Arlorio. «Paperbacks», pp. XIv-233, L. 25 ooo Jean-Didier Vincent Biologiadellepassioni Il desiderio, le paure, l'amore, la collera, il gusto del potere: un . neurobiologo svela la «chimica»:' recondita delle emozioni. Traduzione di Fiamma Bianchi Bandinelli «Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi», pp. XIV-330 con 62 illustrazioni nel testo, L. 36 000 DanielPoirion Il meraviglioso nellaletteratura francesedelMedioevo Lo strano, il fantastico, il meraviglioso in un trascinante viaggio nell'immaginario della letteratura medievale. Traduzione di Graziella Zattoni Nesi. «Saggi», pp. x-126, L. 20 ooo RudolfWittkower Principiarchitettonici nell'etàdell'Umanesimo Da Alberti a Palladio: un'esemplare ricerca storica mette in luce i rapporti tra l'architettura rinascimentale e le tendenze della cultura contemporanea. Traduzione di Renato Pedio. «Biblioteca di storia dell'arte», pp. XIV-165 con IO illustrazioni nel testo e 119 tavole fuori testo, L. 60 ooo ErichFried È quelche è Poesied'amoredipauradicollera Un grande poeta contemporaneo per la prima volta in traduzione italiana. Traduzione di Andrea Casalegno. «Collezione di poesia», pp. xvm-220, L. 14 ooo HeinrichvonKleist Il PrincipediHomburg Nell'ultimo dramma di Kleist l'eterna lotta dell'uomo di fronte alla scelta tra dignità e sopravvivenza. Introduzione di Luigi Forte. Traduzione di Italo Alighiero Chiusano. «Collezione di teatro», pp. XI-80, L. 9000 Hicks,Kaldorealtri Il mestieredieconomista Le esperienze, le discussioni, i percorsi di ricerca e le conquiste scientifiche di dodici grandi economisti del nostro secolo. A cura di J. A. Kregel. «Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi», pp. XXI-232, L. 26 000

~ ~ ~ ~ ~ ora mensile, in edicola e in libreria ~ ~ llNIAD'OMBRA ~ 10 I~~ ~ Anders, Buflue/, Cortazar, ~ ~ Faulkner, Genet, Kubrick... 0 0. Morante, Orwe/1,Pasolini, ~ I Simone Wei/... i ~ ~ ~ la letteratura e la scienza, ~ ~ l'arte e lo spettacolo, ~ -- ~ la politica e la morale: ~ ~ una rivista d'opposizione ~ ~ per conoscere e scegliere ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ CAMPAGNA ABBONAMENTI a ogni abbonato un libro in dono: li lavoro del Living Theatre (ad esaurimento), Racconti cinematografici di Werner Herzog (Ubulibri) lire 50.000 annuali su c.c.p. 54140207 intestato a Linea d'Ombra Edizioni Via Gaffurio, 4 - 20124 Milano

1968:ILGRANDETIMONIEREE'INVOGA Vent'anni fa, il '68. Oggi con il manifesto potete rileggere i temi e i momenti di un'anno indimenticabile, insieme ai protagonisti di allora: dodici inserti mensili monografici diventano un libro dedicato a voi che volete capire il passato per cambiare il presente. il . Nel quarto numero: termina la rivoluzioneculturalecinese, il maoismo si espande in occidente. In edicola il 27 aprile con il manifesto al prezzo complessivo di 2.000 lire.

Direttore Goffredo Foti Direzioneeditoriale Lia Sacerdote Grupporedazionale Adelina Aletù, Giancarlo Ascari, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Beoni, Alfonso Berardinelli, Paolo Bertinetù, Gianfranco Bettin, Franco Brioschi, Marisa Caramella, Cesare Cases, Severino Cesari, Grazia Cherchi, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Stefano De Matteis, Bruno Falcetto, Fabio Gambaro, Piergiorgio Giacché, Giovanni Jervis, Filippo La Porta, Gad Lemer, Claudio Lolli, Marco Lombardo Radice, Maria Madema, Luigi Manconi, Danilo Manera, Edoarda Masi, Santina Mobiglia, Maria Nadotti, Antonello Negri, Cesare Pianciola, Gianandrea Piccioli, Bruno Pischedda, Alessandra Riccio, Roberto Rossi, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Paola Splendore, Gianni Turchetta, Emanuele Vinassa de Regny, Gianni Volpi. ProgettoGrafico Andrea Rauch/Graphiti Ricercheiconografiche Carla Rabuffetti Pubblicitàsettoreeditoria/e Emanuela Merli Via Giolitti, 40 - 10123Torino Tel. 011/832255 Hanno inoltrecollaboratoa questonumero: Pasquale Alferi, Francesco Cavallone, Anna Chiarloni, Paola Costa, Vincenzo Cottinelli, Luciana Dini, Giorgio Ferrari, Laura Gonçalez, Orietta Guaita, Regina Hayon Cohen, Bruno Mari, Roberta Mazzanti, Paolo Mereghetti, Grazia Neri, Cristina Peraboni, Fabrizia Ramondino, Emanuela Re, Marco Rossi Doria, Alfredo Salsano, Itala Vivan, il Teatro Nuovo e le librerie Feltrinelli di Via Manzoni, Milano Libri e La Nuova Corsia di Milano. Editore Linea d'Ombra Edizioni srl Via Gaffurio, 4 - 20124 Milano Tel. 02/6690931-6691132 Fotocomposizionee montaggi multiCOMPOS snc Distribuzionenelleedicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. Via Famagosta, 75 - Milano Telefono 02/8467545-8464950 Distribuzionenelle librerie PDE - Viale Manfredo Fanti, 91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini, 6 Buccinasco (MI) - Tel. 02/4473146 LINEA D'OMBRA mensile di storie, immagini, discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 Direttore responsabile: Goffredo Foti Sped. Abb. Post. Gruppo lll/70% Numero 26 - Lire 6.000 Abbonamenti Abbonamento annuale: ITALIA: L. 50.000 da versare a mezzo assegno bancario o c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'Ombra ESTERO: L. 70.000 I manoscritti non vengono restituiti Si risponde a discrezionedella redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. UNIID'OMBRA anno VI aprile 1988 numero 26 EDITORIALI 4 7 9 12 13 Piergiorgio Giacchè Enrico Alleva Piero Arlorio Vincenza Consolo Filippo Gentiloni Per la critica, contro i critici L'uomo e la bestia Adulti che parlano di bambini Il vestito parlato Note a un'enciclica IL CONTESTO 15 Confronti (F. Ciafaloni su Operai di Gad Lerner, P. Bertinetti su Joe Orton e il film di S. Frears, V. Perretta su H.C. Buch, B. Pischedda su Benni, Busi e Cavazzoni, D. Bisutti su Ida Magli e il maschilismo); Consigli/Sconsigli (G. Cherchi su Novello, Orkény e l'umorismo); Memoria (G. Fofi su teatro di Viviani, L. Binni su René Char); Antologia (Tre poesie di René Char); Musica (A. Baricco su Mozart e Rossini a Reggio Emilia, M. Lorrai sui dischi della Globe Style); Fumetto (una storia di Elfo); Teatro (S. De Matteis su Carmelo Bene); Cinema (G. Volpi su Filmaker 1988); Televisione (0. Pivetta su "Mixer Cultura"); Storia (S. BoehmeKuby sul dibattito degli storici tedeschi); Dai lettori (L. Guadagnucci su N. Lisi e la cultura della provincia). POESIA 63 70 Mito De Angelis Giuliano Baltico Doe man Lamento del vecchio fauno STORIE 33 35 39 47 51 64 71 Annibale Ruccello Enza Moscato Aurelio Grimaldi Rocco Brindisi Maria Schiavo Siìdegh Hediìyat Caio Fernando Abreu La telefonata - piccola tragedia minimale Tatuaggio, ovvero Compleanno Le buttane Racconti della morte gentile Pace fiorentina In cerca di assoluzione L'uovo pugnalato NARRARELASCIENZA 73 Gunnar Olsson Perché tracciare una mappa incontro a cura di Franco Farinelli SAGGI 55 68 78 79 D_ickHebidge Youssef lshaghpour Di padri e di figli Hedayat il "~epolto vivo" Gli autori di questo numero Pro memoria La copertina di questo numero è l'elaborazione grafica di una foto di Guido Giannini a opera di Andrea Rauch.

DISCUSSIONE/GIACCHI PERLACRITICA, CONTROI CRITICI Piergiorgio Giacchè 'Dispiace doversi occupare di trasmissioni televisive. Non per snobismo ma per decenza, dal momento che sembrano diventate, negli ultimi tempi, l'oggetto privilegiato dell'attenzione e della riflessione di tutta la "grande" stampa. Le pagine di guida ai programmi, corredate di anticipazioni e di commenti, di punti di vista d'autore e statistiche giornaliere della audience, sono solo una parte dello spazio dedicato alla tivù: ormai le rubriche culturali di quotidiani e settimanali, anche quelle che ieri si spendevano per l'invenzione dei temi sociologici "emergenti", sono frequentemente impegnate dalle storie, dalle filosofie e dalle polemiche che gli uomini-spettacolo della televisione sembrano in grado - essi soli - di proporre. Così quegli stessi personaggi che fino a ieri si dovevano contentare del falso guardonismo dei rotocalchi da parrucchieria, oggi sono finalmente liberati dai pettegolezzi sulle loro presunte follie private, e possono librarsi con autorevolezza nella sfera pubblica. La loro abilità negli affari, la loro preparazione culturale, il loro orientamento politico ed etico, li rende oggetto di ammirazione letteralmente sconfinata. Gli arbore, i celentano, i pippobaudo - per fare d'ogni erba un fascio - non sono più gli idoli della massa: piuttosto sono i modelli più brillanti del manager e del professionista, e intanto sono gli esempi più riusciti e dunque più seguiti dell'uomo di cultura contemporaneo. "Il medium è il messaggio" non è più un'avvertenza epistemologica, ma un'evidenza teofanica: è "verbo incarnato", almeno da quando il medium si è accaparrato tutti i messaggi comprandosi tutti i messaggeri. Dentro quella stessa scatola il giornalista di rango o il sociologo di prestigio come lo scienziato di passaggio, non possono evitare il confronto con il presentatore o lo show-man di qualche minuto prima, di qualche canale in là. E nel confronto ci perdono senz'altro, dando oltrettutto la sensazione che si tratti di una giusta sconfitta, dell'instaurarsi di una più vera e accettabile classifica. È inutile affannarsi con i contenitori distinti e le fasce orarie distanti: gli stili "divano" o "paillettes" non bastano più a separare e magari a contrapporre divertimento e cultura, informazione e varietà, presentatori e commentatori, artisti e critici ... Ma non era poi questo il sogno di ciascun conduttore di programma, da Corrado a Costanzo, e, ieri, da Angelo Lombardi a Enzo Siciliano? Raggiunta questa liquida uniformità occuparsi di televisione non è soltanto un dispiacere, ma una seria difficoltà che converrebbe evitare, se non ci si riferisse ad un grumo improvviso, ad un incidente imprevisto. Un'eccezione che non conferma affatto la regola, ma che come sempre nulla può contro di essa. L'eccezione è capitata un lunedì di qualche tempo fa, 4 alla prima puntata del serial "Mixer Cultura", uno di quei programmi dalle pretese pepate, un po' salotto e un po' tribunale, del genere "tiro incrociato", "telefono giallo", "linea rovente", "giudizio d'iddio", che sono l'orgoglio della nuova linea rampante e tengono alto il vessillo della glasnost nostrana. Nella "poltrona scomoda" di Mixer Cultura, sotto lo sguardo corrusco di un conduttore barricato dietro un tavolo fatto di libri (e magari zeppato con legno), veniva fatto accomodare Carmelo Bene. E, mentre un tabellone elettronico da pizzeria gigante annunciava in termini pugilistici gli argomenti della contesa, si dava qualche minuto all'ospite per spiegarsi in attesa dello scontro. Bene riusciva ad introdurre appena la complessa e sacrosanta definizione di "scrittura scenica" e stava per rendere finalmente comprensibile al "grande" pubblico qualche distinguo, che gli avrebbe certo giovato in quest'epoca di abbonamento selvaggio al teatro di prosa, quando la necessità tutta televisiva di darsi dei ritmi nervosi, più il senso di imparzialità del suo inquisitore, lo interrompevano di colpo. ("Non vorrà mica fare il mattatore?" si rimproverava sveltamente all'ospite, pregandolo di sottostare al gioco dell'imputato). E venivano fatti entrare i leoni, cioè le bestie nere di ogni attore di teatro: a quei signori nulla sfugge, hanno da cessare le bravate, che solo le bravure passano l'esame! I Critici erano degnamente rappresentati in tutt'e tre le fondamentali sfumature. Dal Benpensante abbottonato che incarna la seria modestia dell'istituzione della critica teatrale con toni pacificati e didattici, all'Erudito espansivo e bonario, il grand gourmet un po' bollito e un po' unto per la vasta esperienza e per l'ingenua golosità, a un terzo - ritratto nel suo posto di lavoro - il tipo del Letterato-poeta che concede recensioni soltanto per il dovere civile di intrattenersi generosamente con il Sociale. Inutile ricordare a chi ha visto la trasmissione, e a chi non l'ha vista ma la può facilmente immaginare, come e quanto sia sceso il livello della disputa. Fra svarioni e cialtronate, appena frenate dall'intervento di due studiosi forse incaricati di avvertire i teleutenti di non credere completamente allo scherzo, i Critici si sono volontariamente dissacrati e, crescendo la foga e il disagio, hanno perso le staffe e la faccia. Com'era diversa, una settimana dopo, la puntata in cui si celebrava lo "scontro" fra Giorgio Bocca e i Politici! Quanta leggerezza nei disaccordi e quanti complimenti sottintesi! Ma evidentemente non si riesce a tenere a freno i Critici, una volta eccezionalmente esposti alla gloria della ribalta. Carmelo Bene ha provato a contrastarli: ha chiesto primi piani e campi lunghi, ha dimostrato e rimostrato invano. Il lato comico, e quello tragico (ahimè), continuavano a pendere tutti da una parte. (È stato facile il giorno dopo a Placido, commentatore dei commentatori televisivi, scegliere il campo del maggior merito teatrale!). Naturalmente però quello che ha reso eccezionale la trasmissione in questione non è stato il lato spettacolare che non può sorprendere più nessuno, ma la scelta del contenu-

DISCUSSIONE/GIACCHÈ Nella pagina precedente, Carmelo Bene In ffomme/ette for Hamlet (foto di Tommaso Le Pera). to. Sembrava quasi che il termine polemica, contro l'abituale ridefinizione politica è televisiva di "garbato dissenso" o di " pretestuoso movimento", stesse recuperando la sua etimologia guerriera. Contro ogni aspettativa e ogni previsione, la contraddizione c'era davvero, e il litigio non s'è potuto ridurre a de.corosa schermaglia. Sono volati, frammezzo alle sciocchezze, aperti insulti e nascosti ricatti. Ma perché, si saranno chiesti in molti, tanta animosità, addirittura nel parlare di teatro? Cosi eccessiva da.realizzare per davvero quel match aggressivo che doveva restare nelle promesse ~ell'imbonitore, cosi straripante da smentire il destino piatto delle trasmissioni registrate, che dunque possono anch'esse talvolta competere con "il bello della diretta"? Il primo perché è in un certo senso storico, e la trasmissione lo dava forse per scontato. Carmelo Bene ha tuttà una storia di rapporti tesi con i Critici; una storia significativa, nonostante la si sia sempre voluta ridurre a intemperanze narcisistiche a scopi pubblicitari. Dagli scalpori e dissapori dei. suoi primi e secondi inizi, del "genialaccio" un po' immatu- 1 ro e un po' cialtrone da sopportare come un'indisciplinata sorpresa, alle ovazioni non troppo convinte, dovute alla progressiva necessità di molti Critici di accodarsi all'imprevedibile successo di massa e di piazza delle sue "lecturae Dantis", dalla lite con De Monticelli all'espulsione di Lucchesini, i Critici - per parte loro - hanno sempre prov~to, con le buone e con le cattive, un improbabile dialogo e un)impossibile controllo. Carmelo Bene, da parte sua, ha sempre manifestato una coerente e profonda insofferenza verso la critica dei "gazzettieri", cioè la recensioJ\e. Una··recensiQl}e,qualunque ecomunque, è sempre un intervento indebito e riduttivo, un parere spropositato cui corrisponde un potere sproporzionato. Anche la lode, salvo quando è esagerata e dunque incondizionata, è segretamente inaccettata: vale come complimento, ma non come complemento del teatro. La recensione, più che fastidiosa, risulta "esterna": Carmelo si ostina a non riconoscere cittadinanza teatrale al Critico. Almeno nel suo teatro lo prega di non venire; del suo teatro ·glichiede di non scrivere. Ed è questo un primo irritante casus belli, che anche un solo attore - ma potrebbe essere un rovinoso inizio - protesti non tanto per quello che i Critici scrivono, ma per il fatto stesso che scrivono. Chi scrive, di teatro e nel teatro, è semmai lui stesso: nella "scrittura scenica" è la critica, quella vera, parte e motore del suo processo creativo. E il rifiuto del ruolo diventa sottrazione di questo stesso ambito che il Critico, approfittandosi di un gioco di omonimia, crede di poter occupare e, peggio, rappresentare. Al limite si può concedere che le "critiche" siano due, e che quella del recensore è tanto straniera quanto soggettiva e parziale. Ma sentirsi rinfacciare il limite della soggettività è cosa diversa dal riconoscere e rivendicare, orgogliosi e compiaciuti, la propria soggettività. Diventa evidente una distanza di valutazione e di stima: soggettivi va bene, ma che soggetti sono i Critici? Qual è il loro livello di sensibilità, intelligenza e, perché no, di competenza? Allora 6 ci si accorge che se l'intenzione del Critico è quella naturalmente di affermarsi come un soggetto cosi raffinato e straordinario da avere il diritto-dovere di sfornare una stampata e dunque oggettiva opinione, la valutazione di Carmelo può essere molto diversa. E la pioggia dei paragoni con i Baudelaire di un altro tempo e i Deleuze di un altro luogo, può suonare ingiuria. Ma sarà poi questa l'offesa che più temono i Critici? Sarà stato questo il motivo che non ha consentito lo svolgimento sereno e il recitativo andante con brio, che una normale trasmissione televisiva, sia pure della serie hard, doveva avere? O piuttosto il recente sgarbo improprio e imprevisto di Carmelo Bene, questo si minaccioso e imperdonabile, di occupare, fresco fresco, una "poltrona comoda", di quelle che i Critici sono abituati a considerare proprio appannaggio o comunque a tenere sotto il proprio controlloZ Non sarà che la storia spicciola del quotidiano disturba più della filosofia del teatro? Per essere ancora più espliciti, e scendere allo stesso livello della trasmissione, non sarà che la nomina di Bene alla Biennale costituisce la più preoccupante e indigesta delle minacce? Non alla corporeità del proprio ruolo e mestiere, ma al proprio corporativismo offeso? "Mixer Cultura" non poteva davvero diffondersi in tali problemi: anche alle basse malignità c'è un limite, ed è come sempre quello delle beghe di potere. Inoltre le esigenze del linguaggio televisivo e i doveri di un servizio pubblico sping9110verso la velocità e l'apertura. Ed è cosi che, rubando tempo a Carmelo e ai Critici, si è preferito dare un po' di spazio all'opinione della gente comune. Va ricordato allora, dulcis in fundo, un collegamento con un casuale teleutente, un certo Bonino da Vico, alla periferia - credo - di Torino. Spigliato e per nulla emozionato dalle telecamere, si è prima diffuso sulle piaghe culturali che affliggono la sua città, prendendosela con i francesi e i meridionali, poi ha rozzamente espresso la sua ammirazione per l'attore ospite. "Divertirci ancora, fai l'antipatico", lo incalzava. Ma anche un "grandissimo attore" come Carmelo Bene ha dei limiti. Talvolta la tecnica non basta e nemmeno il genio. Certe caratterizzazioni riescono meglio a chi, dentro il personaggio dell'antipatico, ci vive tutto il giorno. Nel faccia a faccia che ne è seguito è apparso chiaro che, alle volte, un ragioniere di Torino può risultare più efficace e rivelare un talento naturale, sia pure d'amateur, soprattutto quando alle spalle c'è una forte tradizione locale: appartiene al folklore di lassù quel Franti, l'infame, che rise.

L'UOMOELABESTIA Enrico Alleva L'essere umano non ha mai avuto rapporti facili con gli altri animali: nella storia del mondo è stato, di volta in volta, predatore o preda. Ma - soprattutto-'- all'uomo occidentale è rimproverabile un complesso di superiorità filosofica nei confronti degli animali; di essere stato, ·cioè, il creatore di cosmologie culturali il cui centro gravitazionale era sempre rappresentato da lui - l'Uomo - mentre agli altri esseri animali non restava che un ruolo dimesso, di sfondo, che magnificasse la superiorità dell'essere umano tra i viventi. E anche le filosofie gerarchizzanti, come le religioni che prevedono entità divine - superiori all'uomo perché soprannaturali - costruivano e costruiscono "scale naturali" di crescente perfezione, al cui vertice si trova l'essere più che perfetto del mondo: quell' "Uomo" che diventa talvolta l'unico essere simile al Dio soprannaturale. Vertice assoluto della storia della vita, o essere angeliforme - transizione tra il bestiale e il divino - l'uomo resta tra gli animali terrestri quello più spocchioso, perché l'unico in grado di mettere per iscritto maldicenze sul conto degli altri esseri del Pianeta. Così l'uomo ha abusato sempre dei confronti che ha fatto tra sé e gli altri animali. Confronti comunque operati - è ovvio rammentarlo - a fini precipuamente umani. Nella favolistica di Esopo, per fare un esempio, le varie specie animali assumono toni caricaturali che hanno lo scopo preciso di moralizzare l'uomo. Si parte cioè da caratteristiche realmente presenti e osservabili in una specie animale, che vengono umanizzate per creare accorte metafore moralizzanti: trasformandosi nell'incarnazione di una qualità umana, la bestia diventa "disumanamente perfetta" o, a tratti, "disumanamente immorale". Diventa cioè un termine di paragone al quale l'uomo dovrebbe assimilarsi il più possibile, oppure l'essere bestiale la cui natura l'uomo dovrebbe aborrire con tutte le sue forze. Riandiamo agli albori dell'era della modernità scientifica, tra i filosofi naturali che ancora masticano un gergo da alchimisti, ma che già possiedono una concezione esatta, sperimentabile, ripetibile e comunicabile dell'osservazione na- •turalistica; che, nei fatti, giocano allo stesso gioco. · Come l'insospettabile Leonardo, tanto moderno nel suo , genio intellettuale quanto medievale nel suo Bestiario. Un testo, questo, in cui tutte le virtù e i vizi umani hanno un corrispettivo animale, con la sua debita giustificazione scientifica. Alle Liberalità corrisponde l'Aquila, alla Gola l'Avvoltoio; alla Fedeltà la Gru, come all'Invidia il Nibbio; alla Giustizia l'Ape Regina come ali' Avarizia il Rospo. E per essere belli come una Farfalla, e al pari di essa librarsi liberi in cielo, bisogna lavorare a lungo, con l'esercitata perizia del Bruco tessitore. Ci sono certamente degli aspetti di metafora pura nell'uoDISCUSSIONI/ALLEVA mo che confronta l'animale a sé per migliorare l'immagine di sé ai suoi stessi occhi. Ma, oltre alla metafora, c'è anche , qualcosa di più, e di peggio: l'edificazione di un'ideologia antropocentrica, dove la superiorità culturale dell'uomo va a scapito diretto del mondo animale. La caccia è, ed è stata, un'attività dell'uomo, nobile animale predatore di animali, anche se oggi si va trasformando in un consumo di massa di oggetti di lusso dubbio, e in un fattore di squilibrio ambientale; ma è anche, ed è stata, un'attività non meno nobile dell'animale predatore di uomini. Invece l'allevamento e la selezione artificiale degli animali da parte degli uomini è qualcosa di più ignobile, visto con occhi non umani. Perché attività mai reciproca. Pensiamo alla domesticazione, cioè alla trasformazione genetica di esseri liberi, prodotti del mondo non umano, che dall'uomo vengono presi e indelebilmente trasformati a suo uso, o a suo piacere. Centinaia, migliaia di razze di colombi, ottenute prostituendo e modificando una sola specie di colombo, quel capostipite selvatico che dalle rupi di roccia scoscesa ebbe la malaugurata idea di frequentare i tetti delle case, per rubacchiare i grani dell'uomo. Centinaia di razze più grasse e più grosse, ottenute dall'uomo mediante l'accoppiamento forzoso di animali, e con l'eliminazione dal sesso di quelli che l'uomo non desiderava avessero figli. Razze piu carnose, che producono più carne per l'uomo; razze più veloci, per trasportare più velocemente i messaggi dell'uomo; razze più belle, o più strambe, fenotipi prostituiti all'umano diletto. Esseri che nascono, vivono e muoiono semplicemente per strappare all'uomo un'occhiata ammirata, o un sorriso. Animali mostruosi, innaturali, proprio perché non prodotti dalla natura, ma dal gioco dell'uomo per il gioco dell'uomo. Grazie a questo gioco, nel mondo esistono colombi a forma di rondine, di gazza, o di rapace; colombi con code da pavone; colombi epilettici, che tremolano e camminano dondolandosi; colombi che volano altissimi, e che dall'alto si precipitano, con buffissimi capitomboli. E per la stessa ragione nel mondo abbiamo vacche che producono quantità inimmaginabili di latte, destinato all'uomo, e non ai propri figli. Vacche che fanno figli solo perché l'uomo li divori. Maiali che crescono rapidissimi, per finire quanto prima insaccati. Galline che vivono in lager d'acciaio, oramai non più esseri viventi, ma stadi meccanici di transizione tra una certa quantità di mangime e una certa quantità di uova. Animali che l'uomo ha creato, grazie alla sua cultura, assieme all'idea della sua superiorità sull'animale. E per sottacere tanta sottomessa prostituzione, l'uomo ha costruito quest'ideologia di su- . periorità che lo rende sostanzialmente differente dai suoi · simili, e che gli elimina qualsiasi dubbio d'immoralità. Ma le ideologie antropocentriche, come i bestiari moralizzanti, nell'era perfusa di oggettività scientifica, hanno ricevuto cç>lpimolto duri, dai quali ancora non riescono a riaversi. Tutto ciò è avvenuto con l'affinarsi dei metodi di raccolta sistematica del dato scientifico, con il suo successivo inserimento in una realtà paradigmatica, con le connes7

DISCUSSIONE/ ALLEVA sioni create da nuove logiche intellettuali; con la creazione di consessi di uomini di fede scientifica, con i loro riti e le loro regole di morale. Gli uomini si posero di fronte al mondo animale per descriverlo con criteri scientifici,ma anche per classificarlo. Cioè, se da una parte nacque il problema di attribuire un'identità scientifica a ciascuna specie animale, dall'altra sorse l'esigenza di mettere un ordine alle bestie, una volta etichettate. All'epoca di Linneo venne iniziata la grande opera di censimento delle specie animali del pianeta, opera che prosegue tuttora, visto che siamo ben lontani dall'averle scoperte (cioè etichettate) t,utte. Ebbe inizio così l'opera di classificazione delle specie animali, cioè di creare entità omogenee e discrete all'interno delle quali posizionare i vari tipi di bestia. Uomo incluso, perché anche la specie umana condivide caratteristiche fisiche con gli animali, e in virtù di queste agli animali può essere confrontata, in termini di analogie e differenze. E Linneo, come ogni zoologo che si rispetti, inserì l'uomo tra le scimmie, per le evidenti analogie strutturali e funzionali, anche se gli riconobbe a pieno titolo alcune caratteristiche di unicità. Ma ci volle ancora qualche secolo perché l'ideologia di unicità e di assoluta e separata superiorità umana sugli animali venisse ben più seriamente messa in discussione da Charles Darwin; né questa visione nuova, ai nostri giorni, è ancora pienamente accettata da tutti. Darwin ebbe l'invidiabile fortuna di viaggiare, all'età di vent'anni, per le zone del mondo meglio provviste di animali, sia in termini quantitativi, sia per varietà di tipi: i tropici. Durante i cinque anni del suo viaggio, la sua fervida immaginazione di naturalista prospettò un'idea tanto assurda per i suoi tempi quanto suggestiva per chiunque, viaggiando, si confrontasse quotidianamente con specie animali tanto diversificate. L'idea di Darwin era che il mondo degli esseri viventi, che i naturalisti si affaticavano a etichettare e a classificare - magari affrontando viaggi difficili e rischiosi in parti del pianeta ancora poco note alla scienza occidentale - non fosse un universo fisso e definito di esseri, bensì un insieme di specie in continua trasformazione le une nelle altre. La teoria di Darwin, apparentemente semplice nella sua enunciazione, 8 portava a corollari terribili, per l'ideologia antropocentrica, che millenni di storia avevano edificato: non solamente l'essere umano era molto simile agli animali, ma da essi doveva provenire per ascendenza diretta. In altre parole, l'uomo, collocato da Linneo accanto alle scimmie, diventava con Darwin il prodotto di una catena di esseri viventi, per trasmutazione diretta di una specie animale in un'altra. A tutti gli effetti l'uomo era un animale né più né meno come gli altri; questa considerazione è di per sé talmente oltraggiosa per l'uomo, che lo stesso Darwin meditò per anni prima di trovare la forza morale di affermare pubblicamente la sua idea. E a centoventi e a più anni da quel giorno, quanti sono sulla Terra gli uomini che si trovano pienamente d'accordo con Darwin? Arrivando ai nostri giorni, nella comunità scientifica internazionale che attualmente si occupa di biologia, l'idea di Darwin è ben radicata, ovvero sono relativamente pochissimi i biologi che si dichiarano contrari all'idea di trasformazione evolutiva dei viventi. Ciò nonostante, talvolta i biologi ricadono nel peccato ideologico di costruire, attraverso analisi malaccorte, qualche parametro di "crescente superiorità", il quale conduce, lungo la scala evolutiva dei viventi, a un essere che, seppure diverso (per quanto una specie animale può differire da un'altra), è a tutte "superiore" per legge darwiniana. Così al pubblico non specializzato arriva l'informazione erronea che l'uomo è superiore agli altri animali, perché ha un cervello più grosso, oppure perché è l'unico a camminare su due gambe. D'altra parte, alcuni biologi sono ricaduti nell'errore opposto, volendo spiegare a tutti i costi aspetti tipici delle attività umane con esempi tratti dal mondo animale. Una ripresa cinematografica di New York dall'alto di un aereo, accortamente accelerata durante la proiezione, fa sì che la vita di una metropoli appaia simile a un formicaio. Ma ha senso spiegare la società degli uomini confrontandola con quella delle formiche, supponendo identiche regolazioni del comportamento sociale? Al di là del fatto che in ambedue i casi centinaia di migliaia di esseri animali trascorrono assieme la propria vita, solo la società degli uomini ha prodotto sulla Terra chiese, biblioteche, università, religioni e guerre.

AOU&TICHESI OCCUPANO DI BAMBINI Piero Arlorio I riferimenti di questo testo sono a: B. Bette/heim, Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli 1987; J. Kagan, La natura del bambino, Einaudi 1988; A. Miller, La persecuzione del bambino, Boringhieri 1987. Gli adulti che si occupano di bambini sono sospetti. Un sospetto particolarissimo: tutti siamo stati bambini ed è probabile che abbiamo mille difficoltà di, o mille ragioni per non, contarla giusta. Siamo gli storici cristiani delle crociate. E un adulto si . può anche definire: uno che è passato al nemico. Volevo solo dire: riusciremo a ricordarci che ciò che diciamo e pensiamo dei bambini è sempre sospettabile? E a nutrire un altrettanto legittimo sospetto nei confronti di qualsiasi pedagogia futura che voglia presentarsi come scienza? Quando la faccenda riguarda i bambini la sospettabilità degli adulti riguarda la persona. Non siamo sospettabili come "teorici" né "scienziati"; ma persone sospette. Constatare che la pedagogia non è molto scientifica può anche essere fantasticare un modello di scienza inesistente. La scienza scientifica: un genere di fantasticheria adulta probabilmente frutto di una cattiva pedagogia un po' ottocentesca. D'altra parte sembra una schivata: il problema forse è non tanto quello della pedagogia, quanto quello di molti milioni di adulti che stanno convivendo con molti milioni di bambini. O meglio (o peggio): che li stanno educando. Gli esiti di questo trattamento mondiale dell'infanzia sono davanti agli occhi di tutti. La faccenda riguarda la nostra persona anche nel senso che ciascuno di questi molti milioni di bambini è sempre più una minaccia per la nostra persona adulta. Questo mondo invecchiato sembra anche malamente adultato. E per non essere troppo parziali dobbiamo riconoscere che ciascuno di questi molti milioni di adulti potrebbe anche essere una minaccia per la loro persona di bambini. Ho messo avanti questa dicotomia per mantenere promesse e premesse di sospetto: il sospetto verso gli adulti che confondono le posizioni, che credono di stare o poter essere quasi naturalmente dalla parte dei bambini; mentre mi sembra che l'adulto possa compiere quel passo fondamentale che consiste nel mettersi dalla parte dei bambini sempre con molta difficoltà. Una difficoltà "oggettiva". Nel senso che per i razionalizzatori che dietro i propri comportamenti vedono solo ragioni logiche e razionali è piuttosto impossibile con- - vivere coi bambini. La speranza è che anche gli adulti - razionalizzatori di necessità - non siano sempre tutti d'un pezzo nonostante gli slogan; ché anche i torroni si sbriciolano. Una sintesi probabilmente vera e un po' tranquillizzante DISCUSSIONI/ARLORIO sostiene che c'è molto amore/odio verso i bambini. Ma è la paura verso i bambini che mi fa più paura: perché non trovo un altro termine per fare il paio come nel caso dell'amore/odio: e quasi ricomporre la dicotomia adulto/bambino. È una paura orfana; forse quella cui si riferiva chi ha detto che gli adulti sono orfani. Se fossi un bambino mi piaçerebbe poter dire c'è molta paura/dispaura verso i bambini. Ma la "dispaura" non esiste nel nostro lessico inadatto a parlare col bambino: impaurito di esprimere le emozioni del bambino. Infatti adultagoghi e pedagogisti a ondate (storiche) ci fanno coraggio. Dicono: bisogna avere il coraggio di educarli. Un coraggio che la dice lunga in fatto di paure e fa molta paura. Al che in genere si commenta, da parte di certi adulti come potrei essere io: ma questa è la pedagogia nera! Poi in genere mi chiedo: ma esiste la. pedagogia bianca? A. Miller è tassativa in proposito. Dice: ogni tipo di pedagogia è pervaso dai precetti della pedagogia nera. Il mio atteggiamento pedagogico non si rivolge contro un determinato tipo d'educazione, bensì contro l'educazione in genere, anche quella antiautoritaria. Non posso attribuire al termine educazione alcun significato positivo. Intorno al 1468mi esprimevo in modo molto simile; molto simile a quello che moltissimi intorno a me pensavano. A cinquecentovent'anni di distanza preferirei esprimere il mio duplice antipedagogismo con altre parole. Circa in quella stessa epoca si parlava e riparlava di consigli: consigli di fabbrica ... repubblica dei consigli... come simbolo di democrazia. Un po' per celia e un po' per non morire si può dire che forse quelle speranze non si realizzarono anche per la difficoltà della gente di ricevere consigli. Ma per passare, se si dice ancora così, dalla politica alla pedagogia: nella repubblica di quest'ultima i consigli sono sospetti al pari di chi li ammannisce, per il semplice fatto che non esistono regole. E le stesse persone che chiedono consigli come regole suscitano il sospetto di non aver alcuna intenzione di risolvere personalmente un problema che riguarda e coinvolge sempre la per-. sona. Pòi c'è anche il fatto che la storia dei consigli è molto' spiritosa, tanto da meritare di essere oggetto di una fiaba per bambini: in genere chi ne avrebbe bisogno non è disposto ad accettarli, spesso proprio perché li invoca, sicché in ogni caso si potrebbero dare solo a coloro che non ne hanno bisogno. Se esistessero. · Per la seconda faccia del mio antipedagogismo, integro un po' Bettelheim: il genitore deve resistere all'impulso di cercare di costruire il figlio che lui vorrebbe avere (essere stato) ... il bambino ha bisogno della comprensione, sensibilità e aiuto dei suoi genitori (a conferma che non esistono regole e consigli se non genericissimi). Per finirla con la mia storia di educatore antiautoritario sottolineo quest'ultima affermazione; ho infatti la sensazione che alla mia antipedagogia non sia stata del tutto chiara sin dall'inizio (non so se anche alla vostra antipedagogia conserva qualcosa di plasmatorio ... ). Insomma: l'antipedagogia la definirei una pedagogia che non · 9

DISCUSSIONI/ ARLORIO c'è. E una pedagogia che non c'è esiste almeno per un motivo: che rincara le ansie degli educatori. Ansie così forti e diffuse che J. Kagan, per esempio, cerca di tranquillizzare dimostrando scientificamente che le cose non sono così complicate che è difficile stabilire gli effetti di un certo tipo di educazione, e che "la sensazione di essere amato o respinto è un'idea del bambino e non dipende dal modo di agire dei .genitori". · Ho spesso pensato che un bambino è un essere pieno di 'idee. D'ora in poi sarò più cauto. Ma mi sembra che Bettel- 'heim - dopo aver ribadito che il modo in cui i bambini vengono allevati influisce enormemente sul loro sviluppo e su come saranno da adulti - ponga meglio questa questione delle "idee" dei bambini. Dicendo: il modo in cui un genitore vive un evento cambia tutto per un bambino, perché è in base al vissuto del genitore che egli si crea la propria interpretazione del mondo. · A. Miller rincara la dose. Per lei l'educazione è un po' come se non avesse effetti ma solo conseguenze. Per fortuna, dice, la pedagogia nera spesso non ce la fa perfettamente, altrimenti le sue conseguenze sarebbero che saremmo tutti degli Hitler. Hitler è tra le persone più beneducate mai comparse su questa terra. È il modello dei beneducati secondo Miller. Visto che genere di minaccia per i bambini possono essere gli adulti con la loro pedagogia, vorrei dire quale minaccia possono essere i bambini per noi adulti di oggi. Per esempio: il bambino minaccia il nostro tempo di adulti. Essere e tempo. Essere senza tempo. Essere senza tempo per essere. Essere per essere senza tempo. Inoltre sembra quasi che molti genitori non abbiano tempo di stare coi loro figli tanto sono preoccupati di fare qualcosa per l'educazione dei figli (e trovo che Bettelheim fa bene a ricordare che il problema non è fare ma essere dei genitori passabili). Per quanto riguarda la minaccia del tempo vorrei chiedervi se avete mai notato che gli adulti fanno sempre fretta ai bambini anche quando non c'è nessuna fretta? Questo non vuole dire necessariamente che non dedichiamo tempo ai bambini; ma solo che non ne abbiamo. (Certe volte penso che sia una cosa molto grave che deve avere un qualche legame con la morte e il mortificare il tempo dell'infanzia come programma educativo; ma è un pensiero che non so ancora : bene che cosa voglia dire e lo metto solo tra parentesi). Se in questo momento qualcuno mi chiedesse di dare una definizione di adulto e una di bambino avrei persino la spudoratezza di rispondere (ma solo in questo momento e ricordandovi di sospettare sempre): Un bambino è uno che ha tempo. Un adulto è uno che ne è privo. Lo stereotipo per cui il bambino è un po' quello che non ha ancora ciò che l'adulto ha, almeno sotto questo aspetto non sembra corrispondere. Poi c'è la minaccia dello spazio adulto. Un bell'esempio sono i bambini nei passeggini esattamente ad altezza di tubo di scappamento automobilistico. IO Sembrerebbe che tra adulti e bambini la minaccia sia la normalità. Con questa minaccia del tempo e dello spazio non gli raccontereremmo mica (male) il mito dell'adulto? Prendo la palla al balzo per aggiungere che secondo me per stare coi bambini in maniera non proprio indecente bisogna essere dei narratori discreti, amici della comunicazione in diretta e dell'improvvisazione; quasi un po' contro la riflessione e la scrittura. Credo che sia una cosa che ha a che fare con le emozioni e che questa narratività vista da un'altra parte si potrebbe chiamare flessibilità. Qui "raccontare" significa che bisogna aver tempo e spazio per comunicare col bambino in un certo modo ... e per ascoltare ... imparare ... osservare. Magari prima di parlare ... sentenziare ... fare: come del resto normalmente s'ammette e persino si richiede in teoria; tranne verso i bambini, cui anche in questo caso sembra applicarsi una legislazione speciale. Dicendo che non si stanno ad ascoltare e non si osservano abbastanza i bambini si rischia una smentita clamorosa dai fatti. C'è tutta una psicologia infantile che continua a sguinzagliare migliaia di ricercatori a osservare migliaia di bambini. Il che va benissimo per la scienza, le università e le fondazioni; ma per te il " problema pedagogico" è quello di osservare e ascoltare quell'unico bambino che ti sta davanti (con in più, sempre di più, quello di evitare le interferenze di tutte quelle alte osservazioni). Così è successo che ci sono molti genitori che, come gli psicologi infantili, i bambini li osservano troppo, e molti genitori che, come gli psicologi infantili, il bambino lo vedono troppo poco. Sempre riferendosi a quel beneducatone di Hitler, A. Miller dice che i suoi trionfi di pedagogo di massa vanno spiegati anche con la gestuaHtà teatrale, che esercitava sulle masse altrettanto beneducate un'enorme forza di suggestione: perché è la stessa suggestione che subisce ogni bambino quando il suo papà si degna di parlare con lui. È l'aureola del padre. Non so se aureola si possa tradurre con look. Se per caso sì, la gestualità hitleriana come aureola del padre rivelerebbe un'origine drammatica del look: immagine nostalgica che ci porteremmo dipinta in faccia e negli abiti dell'amata/odiata figura del padre nostro; e del figlio che vorremmo/non vorremmo essere. Senza saperlo. Lo dico senza intenzione né spirito iconoclasta; ma per chiedere se il diffuso culto dell'immagine (iconolatria) non significhi milioni di genitori e per così dire un'epoca non favorevoli ai bambini? Infatti c'è anche un look pedagogico. Che tra l'altro ci riporta alla storia contro la tendenza a sottrarle il rapporto educativo. L'aureola Hitler/Himmler (il capo delle SS) è un po' passata di moda col suo modello pedagogico puramente autoritario. Al look pedagogico dittatoriale se n'è sostituito uno di tipo manageriale? L'aureola Agnelli/Romiti (il capo della Fiat) sembra: non c'è nulla da osservare, da imparare, da ascoltare in un bambino. Ossia: quelle facce così esplicitamente adulte nonostante l'implicito infantilismo del loro look manageriale, che cosa avrebbero mai da imparare ... ecc. da un bambino?

f -.l o ~ et .J O( .~ ~ ~ ~ ~ \. DISCUSSIONI/ARLORIO Disegni di Michele Valdlvla. Si potrà obiettare che non è un grande cambiamento. È vero: nient'altro che una variazione sul tema perenne della tendenza a sbarazzarsi il più in fretta possibile del bambino che è in noi; cioè della creatura debole, indifesa e dipendente per poter diventare finalmente l'individuo adulto, autonomo ed efficace che suscita rispetto e considerazione (Miller). Come la storia, la storia dell'educazione è fatta di variazioni sul tema. Un'altra variazione su un tema forse ancor più perenne sono i sensi di colpa. Tra i tanti, uno che potrebbe aver preso particolarmente piede ha a che fare col mondo terrificante che stiamo approntando a quegli stessi bambini che stiamo educando. Sembra difficile non provare la sensazione che da una parte li stiamo allevando amorevolmentee dall'altra stiamo creando le condizioni per renderne impossibile la sopravvivenza. Un'ambivalenza antichissima: la stessa che si ebbe nei confronti degli animali sacrificali, allevati appunto amorevolmente per il sacrificio; per il macello. So che in una certa cultura (è quella nella quale sono stato allevato!) collegaremaggior cònsapevolezzacon insuccesso, invecedi progresso, "non è cosa". Ma che dire di una maggior consapevolezza teorica che in pratica sembra aver portato solo angoscia? (Non è del resto una novità che l'albero della conoscenza può essere una fregatura.) Insomma tanto vale parlar chiaro: il grande o piccolo insuccesso dell'educazione antiautoritaria - spesso personale constatazione di molti di noialtri - continuo a non vederlo nell'erroneità dei principi; ma nella pratica di persone per altro così consapevoli, teoricamente preparate e volenterosamente preoccupate di ben fare, che il tutto mi spaventa ancor di più che constatare gli ovvi danni della pedagogia nera. E per parlar chiaro sino a rozzezza e schematismo: cosa non s'è finito per accettare, di tutta evidenza, di gravemente dannoso per i bambini! - in termini di alimentazionee di ambiente; di scuola e di deprivazione culturale; di dittatura del modello.di vita dominante del pupo, ossia di sua plasmazione senza alternative; di abuso dello stesso sino al suo uso vomitevole, attivo e passivo, da parte della pubblicità; di negazione e mortificazione del suo corpo pianificata e benedetta ''ben oltre la violenzafisica'' ... Genitori che hanno avuto l'avventura di veder grosso modo identificati gli anni della propria adolescenza con quelli della concreta illusione di una rivoluzione mondiale alle porte, possono aver perso molte speranze e illusioni come ad esempio quelle della possibilità della rivoluzione. Ma possono, appunto, continuare a illudersi o sperare di poter educare, o antieducare, decentemente, un figlio senza nemmeno una rivendicazione, per quanto riformistica, di cambiamento di qualcosa di questo mondo di tutta evidenza gravemente dannoso per i bambini. .. ! Certo, più si è consapevoli più si avrà la sensazione di aver assicurato il proprio contributo alla costruzione di questo mondo in cui non c'è né spazio né tempo per i bambini; sino a concepire l'idea del pagamento di un debito contratto nei loro confronti per una colpa grave. Ma arrivando a monetizzare questo debito, a pagarlo in contanti e beni di consumo, e comunque all'insegna di una "tolleranza inespressiva" quale massima risorsa e disponibilità pedagogica nei loro confronti... 11

DISCUSSIONE/CONSOLO IL VESTITOPARLATO Vincenzo Consolo "E sì ver voi aguzzavan le ciglia/come il vecchio sartor fa nella cruna". Questa famosa similitudine è nel XV del1' Inferno, nel canto dei Violenti contro natura (che non sono gli inquinatori), come a scuola, nel bisogno di titolare le scansioni del poema, ci insegnavano. In quel canto è la similitudine del vecchio sarto che strizza gli occhi per infilare l'ago, canto in cui Dante incontra il suo maestro, l'autore del Tesoretto: e a ragione, et pour cause, si sarà detto per secoli. "Siete voi qui, ser Brunetto?" chiede l'allievo ("quel qui così denso di angoscioso stupore - in questo luogo? tra questi peccatori di una colpa tanto vergognosa e così duramente puniti? -" annota il Sapegno, il miglior commentatore della Commedia, a giudizio di Borges). Certo non per ragioni di orientamento sessuale Dante accomuna il modo di guardare dei dannati a quello del sarto, ma per ragioni diciamo di atteggiamento visivo. C'è infatti nei primi, nel loro modo di guardare, qualcosa di furtivo e insieme di insistito, di ansioso e di febbrile nel voler cogliere l'insieme rapidamente escoprire il particolare che appaghi, di bramoso e disilluso, sì che gli occhi si fanno piccoli, aguzzi, come di miope che si sforzi di superare il limite del suo orizzonte visivo; così negli altri, nei sarti, c'è lo stesso sguardo, dato il loro vivere e lavorare in angusti interni, male illuminati, gli occhi sempre appuntati sul particolare monotono e deludente. E c'è quindi, negli uni e negli altri, in questo loro "aguzzar le ciglia", il pericolo della sclerosi, dell'irrigidimento dello sguardo sull'esterno, la superficie, il significante. Questa parola, significante, appartenente alla linguistica, ci fa saltare da Dante a Roland Barthes, e dal medievale sarto all'attuale stilista o creatore di moda. li sistema della moda si chiama un ponderoso studio del semiologo francese, che esamina il fenomeno della moda, ne analizza la struttura. Ma la esamina dall'angolazione francese, e nel momento in cui la haute couture, fatta per le classi appunto alte e dalla massa vissuta come mitologia, si stava trasformando, da produzione artigianale diveniva industriale, di consumo non più di élite ma di massa, dai sacri ateliers si trasferiva negli emporii, nei grandi magazzini. Nel momento in cui dalla Francia il primato della produzione della moda si trasferiva in Italia. A Milano. Perché in Italia? Crediamo sia questa la risposta, rischiando il facile sociologismo e la mancanza di carità di patria: cessando d'essere "artistica" e "culturale", prodotta e consumata da e per una consolidata borghesia, la moda trovava nel nostro paese (paese d'antica cultura e arte sì, ma dove è stata da sempre assente una borghesia e dove il popolo più radicalmente e rapidamente s'è trasformato in massa, cioè supina entità consumistica priva d'identità e di cultura) il terreno più adatto, sgombra d'ogni remora o ostacolo alle sue .nuove esigenze industriali e consumistiche. 12 Perché a Milano? Perché in questa città non bella, non d'arte come Roma, Firenze o Venezia, in questa città exindustriale e affaristica? Per due ragioni, secondo noi. Prima, perché Milano è la città dove la moda poteva essere ed è più "parlata". Dice Barthes: "Perché la Moda parla così abbondantemente l'indumento? Perché interpone fra l'oggetto e il suo utente un tale lusso di parole (senza contare le immagini), una tale rete di sensi? La ragione, lo sappiamo, è di ordine economico. Calcolatrice, la società industriale è condannata a formare dei consumatori che non calcolino; se produttori e compratori dell'indumento avessero una coscienza identica, l'indumento non si comprerebbe (e non si produrrebbe) che secondo i tempi, lentissimi, della sua usura; la Moda, come tutte le mode, poggia sulla disparità delle due coscienze". A Milano, quindi, si possono interporre, più che in qualsiasi altra città italiana, tutte le parole e le immagini tra l'oggetto e l'utente, qui e da qui si possono formare meglio i consumatori, perché qui è tutto l'apparato delle case editrici di rotocalchi, riviste, giornali, agenzie pubblicitarie e ora anche delle potentissime emittenti televisive. Non c'è stato in questi anni, oltre ai cosiddetti addetti ai lavori, poeta o scrittore, sociologo, critico d'arte o esteta, oscuro cronista o grande firma del giornalismo, economico, politico o di costume, che a Milano non abbia bruciato la propria manciata d'incenso alla moda. Un famosossimo giornalista della carta stampata e del piccolo (ma terribile) schermo, campione del più vieto conformismo e predicatore del più greve buon senso, ha chiamato un levigato stilista per farsi firmare il vestitino principe di Galles e l'apparato scenico di una sua trasmissione televisiva. Milano poi (e questa è la seconda ragione), con l'avvento del periodo cosiddetto post-industriale, con la caduta delle istanze politiche e sociali, da quella città brutta che è, e disumana, sia dal punto di vista fisico che climatico, è tornata ad essere insoddisfacente, angosciante, nevrotizzante, dove più si ha bisogno di compensi, di consumi consolatori. Dove più si è spinti a staccarsi dal reale, a vivere nell'irreale. E niente è più irreale, più priva di significato della moda. T.S. Eliot ha scritto che il genere umano è incapace di reggere una misura troppo alta di realtà. Sì, e la storia della civiltà umana è questo continuo oscillare, questo accostarsi e discostarsi dalla realtà. Da cui in questo momento siamo lontanissimi. E a Milano, con grande trionfo e gioia dei "sartori" dagli occhi aguzzi, e degli psicanalisti, più che in qualsiasi altra città .

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