Linea d'ombra - anno VI - n. 25 - marzo 1988

DISCUSSIONI/IPLINDORE se non del proprio vuoto suono. La televisione e la pubblicità hanno enormemente modificato, in questi anni, il rapporto con l'immagine proprio nel suo aspetto di rapporto con la memoria, di attivazione e allargamento di maggiori facoltà critico-descrittive o di loro negazione e progressivo annullamento. Registi capaci di vero racconto sono riusciti a stare al passo con l'evoluzione della tecnica e del gusto e ad approfondire in modo prima forse impensabile proprio il rapporto tra passato e presente, tra memoria e coscienza, tra descrizione e racconto. Penso per esempio a film come Cotton Club di Coppola o Full Metal Jacket di Kubrick, dove gli eventi e le strutture collettive e individuali, sociali e psicologiche, si coagulano proprio nel rigore del racconto cinematografico, del suo ritmo, della sua alta capacità tecnicolinguistica. Altri, come quelli di cui si sta parlando, sono il risultato evidente, e ad alto livello, di come la "civiltà" dell'immagine quando non riesce e vuole reagire al predominio della "cultura" dello spettacolo, non solo abdica a un ruolo intellettuale e critico insostituibile (e questo dipende forse dal carattere morale e culturale dei singoli autori) ma rinuncia anche a raccontare (e cioè a divertirci e, insieme, a dirci qualcosa). È comprensibile che il caso di cui più si sia discusso sia quello de // siciliano di Cimino, perché è doveroso non dimenticare mai che la "licenza" di distaccarsi dalla "verità" storica, propria dell'artista (Shakespeare e Brecht insegnano) se diventa un disinteressarsi e un distrarsi dalla storia non potrà mai portare ad alcuna "verità" del racconto. Ma il discorso vale per tutti. Tanto per il lungo documentario turistico di Bertolucci (la polemica sul quale 72 Due scene di L'ultimo Imperatore di Bertoluccl e Gli Intoccabili di De Palma. è stata subito rintuzzata dalla sottocorporazione dei giornalisti critici forse perché avviata da un'altra sottocorporazione, quella dei giornalisti inviati) che per l'autobiografismo narcisistico dei fratelli Taviani; sia per il ridicolo omaggio alla propria ascendenza di Cimino che per il fumettone pseudo-avventuroso di De Palma. Un'ultima osservazione, perché queste riflessioni pur volutamente generali non rimangano astrattamente ancorate a un lamento sulla caduta del senso ~torico che questo scorcio di millennio sta drammaticamente vivendo. I personaggi di questi film, tutti anche se alcuni più di altri, sono figure essenzialmentemonocordi, sono simboli (senza spessore, chiaroscuro, profondità) di ruoli, di qualità, di tipologie individuali. Sono insomma figure false, ideologiche, intellettualizzate, così diverse da una tipicità storica che non può mancare di contrasti e contraddizioni pur all'interno di una raffigurazione dominante. I buoni e i cattivi, i belli e i brutti, i disonesti e gli ingenui, i violenti e i codardi, gli orgogliosi e i paranoici che compongono questi film, si muovono come burattini impossibilitati a mostrare più di quell'unico e ristretto carattere che è stato loro assegnato dal burattinaio. Ma non siamo, qui, nel regno della favola, alla Spielbergo alla Lucas (che sono favole storicamente adeguate al mondo d'oggi). L'intercambiabilità di ogni periodo e di ogni storia, l'assimilazione di ogni vicenda e ogni problema con vicende e problemi in realtà assai lontani e diversi, non piu il presente che si proietta sul passato ma l'assenza di presente che rende muto un affresco del passato di cui si scorgono a malapena (e per interposta memoria cinematografica) le ombre: non un attentato alla storia o una lesa "verità", ma un attentato alla sopportazione (alla fantasia e all'intelletto e al gusto) di uno spettatore sempre più costretto ad annoiarsi con dimostrazioni di bravura che potrebbero ormai circolare solo per gli addetti ai lavori. PASTICHESPOST-MODERNI Paola Splendore Ogni scrittore ha alle spalle un autore da cui si sente irresistibilmente attratto, un doppio ideale o un odiato maestro; qualcuno da imitare o da dissacrare. È noto come Proust raccomandasse a tutti gli scrittori in cerca di una propria identità stilistica l'esercizio "epurativo ed esorcizzante della parodia", perché solo dopo essersi liberati dalla tentazione di imitare potevano essere pronti per la propria scrittura. Ma le molte riscritture, parodie e imitazioni che offre il romanzo contemporaneo sembrano puntare altrove: da un lato tendono a esorcizzare quella che Harold Bloom definisce !"'angoscia dell'influenza", la paura cioè di ripetere il già detto, dall'altro, portando allo scoperto l'imitazione, si servono del già detto per parlare di sé. Nei casi migliori, dunque, il romanzo postmoderno ci mette di fronte a un testo che fa del confronto con opere e autori del passato una metafora, una proposta, una riflessione critica. La parodia e il pastiche, riciclando personaggi, luoghi, motivi, forme, diventano cosi un modo per fare i conti con la tradizione, un tentativo di misurarsi con i mostri sacri, mettendo allo stesso tempo in discussione la propria autorità e legittimità di testo. La diffusa pratica del pastiche e il suo valore in sede critica sono tuttora oggetto di dibattito: è possibile considerarla un'arte satirica e di opposizione come la parodia, o non si tratta piuttosto

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