DISCUUION■nARPINO figura in Koselleck - e questo è certo il nucleo più originale della sua riflessione - come il prodotto di un intreccio tra due misure temporali costitutivamente nuove: l' "esperienza" e l' "aspettativa", il passato già esperito e il futuro atteso. La modernità così definita appare allora anche qui luogo in cui il passato viene proclamato radicalmente "altro" rispetto a ogni presente vissuto: la sua unicità garantisce infatti che esso non tornerà mai e, insieme, esso si vede dotato di tratti dinamici, suscettibili di mutare: ogni nuova esperienza prodottasi nel tempo permetterà infatti - secondo questa lettura - di reinterpretarlo retrospettivamente. Analogamente per Le Goff il passato è continuamente "in movimento"; "è una costruzione e una reinterpretazione costante e ha un avvenire [ritorna qui il paradosso di Futuro e Passato] che fa parte integrante e significativa della storia". Nulla del passato, neanche la memoria, può dunque sottrarsi alle incursioni del presente; Schelling era giunto ad ammettere l'idea sconcertante di un passato che non è mai possibile riconvertire nel presente di ieri. L'universo del tempo risulta essere così dominato dalla forma del movimento, dalla instabilità e dalla irrequietezza, come ebbe a notare con rammarico un sensibile conservatore del primo Ottocento ricordato a questo proposito da Koselleck: "Tutto è divenuto mobile, o è reso tale e con l'intenzione o il pretesto di perfezionare tutto, tutto viene messo in questione, in dubbio, e va incontro a una trasformazione generale. L'amore per il movimento in sé, anche senza scopi e senza un fine preciso, [le assonanze con Berman sono sbalorditive] "è nato e si è sviluppato dai movimenti del tempo. In esso soltanto, si cerca di capire e si pone la vera vita". Seguendo il corso impazzito della modernità, il divario tra aspettative ed esperienza non può che crescere fino a rendere l'apertura verso losconosciuto - si può concludere con Koselleck - sempre più indipendente dal dominio di tutti i nostri ieri. Su un versante più strettamente filosofico, anche per Jilrgen Habermas, autore de Il discorso filosofico della modernità (Laterza 1987), il moderno è il prodotto di una nuova coscienza del tempo. Un tempo proiettato verso il futuro - i riferimenti a Koselleck sono espliciti - in cui l'inizio di un'età inedita si ripete e si perpetua in ogni momento del presente che generi da se stesso il nuovo. La modernità è, riprendendo Baudelaire (tra gli autori privilegiati anche da Berman) il transitorio, l'evanescente, l'accidentale, che può riscattarsi, tuttavia, à la Benjamin, solo ritrovando la propria verità nell'irrompere dell' "istante autentico" di un presente innovativo; nel punto temporale che spezza il continuum della storia. In altre parole con la rivoluzione (anche se in Benjamin, invertendo l'equazione di Koselleck, l'attesa della novità futura si avvera unicamente con la rimemorazione di un passato represso). Tutto questo premette Habermas, anche se poi l'essenza più propria della modernità, aggiunge, è da cogliersi soprattutto nella categoria della soggettività tematizzata da Hegel: il primo a elevare a problema filosofico quel processo di distacco della modernità dalle suggestioni normative del passato che ne costituisce il tratto più caratteristico e che, insieme, ne stabilisce il carattere "autofondato". Nel moderno vige infatti il dogma della "autorelazione", il dominio della libertà del soggetto: tanto la vita religiosa, lo Stato e la società, quanto la scienza, la morale e l'arte, si tramutano in altrettante incarnazioni del principio della soggettività. Al sacro come potere unificante si sostituisce la ragione, su cui ricade un compito immane: ricomporre l'armonia lacerata del vivere, superare lo stato crescente di scissione che attraversa il tempo della modernità. Da questa concettualizzazione del moderno Habermas può procedere alla critica, in nome della "ragione discorsiva", del "post-moderno", nella 70 sua doppia accezione, neo-conservatrice ed anarchica, intese entrambe come forme di congedo dal carattere razionale e autoriflessivo del moderno. "Rottura con il passato", "frattura", "cesura": anche per Ugo Perone, filosofo, autore del volume Modernità e memoria (SEI 1987) l'era del moderno è segnata da uno sbalzo temporale; il moderno si configura cioè come "differenza divenuta cosciente" (un'espressione che richiama alla mente Ariès) nel quadro di una storia che tende sempre più a temporalizzarsi; e dove, rifacendosi a Koselleck, l'aspettativa del nuovo brucia con sempre maggiore rapidità il radicamento nell'esperienza della tradizione fino a renderne impossibile il costituirsi. Gli esiti estremi di questo processo portano alla dichiarata impossibilità della temporalità del moderno come attestano, osserva Perone, le stesse espressioni post-moderno e post-histoire. E tuttavia, avverte l'autore, in queste forme, più che prodursi il compimento di un destino dell'Occidente, si esprime l'atto conclusivo del moderno. Parafrasando Arnold Ghelen, si può allqra forse concludere che se le premesse della modernità sono estinte, rimangono pur · tuttavia attivi i suoi effetti: i tentativi, tuttora vani eppur reiterati, di definire in positivo quella differenza da cui muove la rivoluzione del moderno. La coscienza moderna, costitutivamente in crisi, si vive continuamente in bilico tra la consapevolezza dell'irrecuperabilità di un passato "ingenuo", incantato e divinizzato e la tensione ad'· aggrapparsi a quell'unico elemento che solo può sottrarla-al potere del. negativo e delladissoluzione:la memoria. Unicamente la memoria consente, continua Perone, di offrire all'essere un terreno di resistenz.r~· anche se neanche questa viene in ultima istanza risparmiata dagli assalti della modernità: "la memoria", conclude l'autore, "è memoria del tempo della secolarizzazione..Essa assume la lacerazionedella continuità tra finito e infinito come una condizione ineludibile".
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