Linea d'ombra - anno VI - n. 25 - marzo 1988

Ma certo gli stessi modi di vita, i bisogni, stanno profondamente modificandosi insieme ai consumi e sottp l'egemonia dei massmedia. Altri dati sembrano indicare modificazioni altrettanto consistenti dal punto di vista delle classi dirigenti. Già abbiamo visto come in ambito amministrativo e politico la tradizione parassitaria e speculativa abbia trovato nel sistema dei partiti e nella criminalità organizzata alimento e supporto per un ulteriore sviluppo. La gestione degli enti locali evidenzia l'assommarsi di questa deleteria tradizione, dell'incompetenza e dell'inerzia. L'intero sistema amministrativo e politico meridionale ne è pervaso: alle strutture deboli e giovani si aggiunge così una soggettività perversa, con risultati che abbiamo sotto gli occhi tutti. Anche settori che mostrano un carattere più dinamico e lasciano soprattutto intravvedere potenzialità di sviluppo vengono invece, proprio a causa di una gestione politica di tal genere, repressi e bloccati. Tutto il campo delle politiche del lavoro potrebbe oggi avere ben altra direzione e progetto, solo che si intendesse la sua finalità generale. La domanda e l'offerta di lavoro forse mai come oggi - e soprattutto nel Mezzogiorno - presentano una notevole omogeneità di indirizzo: il lavoro socialmente utile piuttosto che quello industriale e direttamente produttivo. Settori come il turismo, il commercio, l'artigianato, il lavoro nei beni culturali ed ambientali, la ricerca, in generale i servizi e il cosiddetto terziario richiedono sempre di più impiego di manodopera, e contemporaneamente molti giovani rivolgono la propria attenzione e la propria preparazione (spesso del tutto volontaria e da autodidatti) verso questo genere di attività. Il risultato di tale convergenza è frequentemente in modo riduttivo piegato, e nel migliore dei casi, al puro e semplice "posto": energie sprecate, che non producono e non si rinnovano ed estendono come pure reclamerebbero. Qui si intrecciano in un nodo che appare inestricabile sistema politico nazionale e sua articolazione meridionale. Lo stesso Rapporto SVIMEZ, sembra avvicinarsi al problema, quando dice (p. 18): "Il Mezzogiorno non può far conto esclusivamente sulle virtù spontanee dei soggetti sociali e del mercato. Per la sua modernizzazione sarebbe invece sempre necessaria l'azione di uno stato che DISCUSSIONI/DINI Foto di Peppe Avallone. esso per primo diventi finalmente moderno, in tutte le sue articolazioni centrali e locali, ordinarie e straordinarie". Ma la soluzione è difficilmente attingibile attraverso il recupero di una progettualità perduta e di un'autonomia di organi ed enti operativi, come subito dopo viene indicato. · Se il Mezzogiorno è cambiato, la natura e la funzione degli intellettuali ha subito metamorfosi altrettanto rilevanti. Socialmente, è difficile non applicare ad essi il termine, una volta abusato, di "proletarizzazione"; anche se è innegabile che al Sud la laurea conferisce ancora uno status particolare fruibile spesso anche sul piano politico. Ma la vecchia dicotomia che spingeva l'intellettuale meridionale a scegliere il filisteismo verso i ceti dominanti o l'alternativa anarchica al potere è oggi assai meno presente: gli intellettuali formano e sviluppano, a seconda delle loro forze, propri gruppi e corporazioni con relativi sistemi di alleanza con altri gruppi e con le forze organizzate (istituzioni, partiti, sindacato). Dal punto di vista intellettuale, dell'ideologia, i termini sono anch'essi profondmente mutati. L'intellettuale meridionale tende sempre più a sfuggire e a far dimenticare, a nascondere la propria origine, quasi ne provasse vergogna: richiamato altrove perché altrove si trovano i mezzi di produzione intellettuale, è poi spinto a questa dimenticanza del1'origine e, se proprio vi è costretto, ne parla solo per giustificare la partenza, quasi si trattasse di una fuga. Se rimane, e non è funzionario di establishments dominanti, è quasi sempre dedito al lamento, al rimpianto delle occasioni perdute, alla denuncia di un sistema nemico che lo costringe a non esprimersi come vorrebbe e saprebbe. C'è un altro atteggiamento, questo già presente in una tradizione non priva di momenti di autentica nobiltà intellettuale: l'atteggiamento illuministico-radicale, oggi ben rappresentato da Sciascia. È un atteggiamento generoso, molto spesso francamente utile e-necessario - penso ad esempio alla recente polemica di Sciascia verso il conformismo dello schieramento antimafi~, specie se visto in contrapposizione alla gretta logica di schieramento condita di pericolosi germi di totalitarismo sostenuta da difensori di quello schieramento come Giampaolo Pansa. Tuttavia la verità che con questo atteggiamento si afferma è pur sempre una verità parziale: ciò che si denuncia è la degenerazione, la deformazione del potere, mai la radice reale delle disfunzioni. Si attingono così importanti acquisizioni sul piano dei diritti civili e delle battaglie conseguenti. Ma, anche in confronto con l'illuminismo radicale classico, manca una prospettiva riformistica conseguente, cosicché il radicalismo della denuncia rischia di diventare disperato pessimismo. Non sembra esservi via d'uscita se non la pura resistenza, la difesa di spazi comunque delimitati. Certo, ottimismo è veramente difficile mostrarne, a meno che non si sia disposti a contrabbandare idee; ma è forse ancora possibile svolgere una funzione critica di conoscenza nel Mezzogiorno senza perdere di vista possibili obiettivi di trasformazione dell'esistente. 5

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