Linea d'ombra - anno VI - n. 25 - marzo 1988

DISCUISIONI/DINI SUOENAZIONE Vittorio Dini Da qualchetempo ormai l'intellettualità sociologica e politica di questo paese ha dichiarato finita la questione meridionale;conalcunidistinguo, in quanto molti specificano che finiti sono i vecchitermini della questione meridionale. Anche il poterepoliticosembra avere sancito tale atto di morte, ponendo fine - ma di fatto soltanto ridimensionando e ristrutturando - all'intervento straordinario, che dal secondo dopoguerraha costituito l'asse portante della politica meridionalistica dei vari governi. Eppure, a qualsiasiosservatore anche non particolarmente attento la realtà appare ancora segnare profonde differenze tra Nord e Sud; basta trascorrere solo poche ore sia nelle città, sia soprattutto nei piccoli centri delle due aree per cogliere tutta la distanza di condizioni sociali, economiche, di qualità della vita che le separa. La stessa dimensione culturale, così come quella antropologica, mostrano a prima vista differenziazioni analoghe a quelle di qualche decennio fa. I dati oggettivi,dal canto loro, confermano tale impressione; basta dare uno sguardo al recente Rapporto 1987sull'economia del Mezzogiorno della SVIMEZ (Il Mulino, Bologna 1987).Sesi guarda all'occupazione, dato certo fondamentale, risulta che il tasso di disoccupazione effettiva e il tasso di inoccupazione totale sono all'incirca il doppio rispetto al Nord e, per di più, mostrano una crescita preoccupante. Tuttavia, non c'è alcun dubbio che la situazione presenti caratteristiche del tutto nuove in confronto a qualche decennio fa. Lo sviluppoc'è stato, dal punto di vista economico e nelle sue conseguenzesociali e culturali. Un radicale processodi modernizzazionesi è verificato, secondo tempi e modalità affatto peculiari. I tempi, in primo luogo: l'accelerazione spinta ha realizzato in un trentennio un processo che altrove ha richiestouna dimensione secolare. E se teniamo presente che sempretale processo ha comportato acute diseguaglianze e profonde distorsioni nello sviluppo sociale ed economico, non ci si poteva attendere certamente che una simile accelerazionenon amplificasse gli effetti negativi. Il quadro che ne emerge è pertanto estremamente complesso: accantoa dati e fenomeni di chiaro significato - qua- !e, per esempio,i consumi notevolmente accresciuti e tuttora 1~ crescita proporzionalmente maggiore che nel resto d'Italia - e che esprimono la modernizzazione avvenuta, persistono invececaratteristiche e strutture del tutto inidonee ad una società modernasviluppata. I servizi in generale, ma anc?ra di più per la qualità stessa della vita le strutture ammin!strative e politiche, presentano livelli di arretratezza e disfunzione assolutamente inaccettabili. La crescita caotica, senza nessun disegno programmatore, degli insediamenti e 4 delle realtà urbane ha moltiplicato, fino a renderli intollerabili, gli effetti perversi del disservizio. Secondo lo stesso Rapporto SVIMEZ, l'area urbana di Napoli, opportunamente e realisticamente ricalcolata, comprende 4,3 milioni di abitanti, la metà circa della popolazione urbana dell'intero Mezzogiorno. Se a ciò si aggiunge la natura del sistema politico locale, immagine riflessa di quello nazionale, e la sua educazione e formazione - anche a livello di personale politico ed amministrativo - all'esclusiva attenzione verso i flussi della spesa pubblica, con relative articolazioni malavitose e camorristiche, allora non ci si dovrà sorprendere più di tanto per come vanno le cose. Che a Napoli la Nettezza urbana e i trasporti, il traffico siano giunti a livelli di insopportabilità così acuti, non è un mero problema di arretratezza, di gestione amministrativa, quanto piuttosto un problema squisitamente politico. Occorreranno profonde riforme del sistema politico, affinché si possano ottenere dei risultati significativi. Discorso analogo e talvolta complementare vale per la malavita organizzata: essa, più che rappresentare il cancro delle attuali istituzioni, affonda le radici nella natura del sistema sociale e politico, del quale rende più efficaci e realizzabili compiti e finalità troppo complicati dentro il quadro della legalità. Dal punto di vista sociale, in seguito allo sviluppo è avvenuta una disarticolazione delle classi e dei gruppi sociali. La polarizzazione netta tra ricchi - per lo più arroganti e incapaci di progettare attività produttive - e poveri - destinati alla povertà o all'emigrazione - non è più così netta. Beninteso, non è che la distanza non esista o non sia molto radicale. Tutt'altro: la miseria sociale esiste ancora e in certo senso si è anche estesa e radicalizzata. Ciò che invece si è modificata è l'estrema diffusione e differenziazione delle fonti dei redditi: il lavoro salariato nelle sue diverse espressioni, l'erogazione da parte dello stato assistenziale e degli enti locali hanno determinato una giungla di retribuzioni e coagulato interessi e corporazioni più o meno forti e consistenti. Ne è risultata sì una omologazione dei ceti popolari, ma si tratta di una omologazione parziale, quasi esclusivamente legata al livello dei consumi: non a caso proprio i consumi - abbiamo visto - risultano in aumento. La straordinaria diffusione dei mezzi di comunicazione di massa è un altro e decisivo strumento di omologazione. E tuttavia non soltanto gli ambiti sociali appaiono diversificati, le stesse culture che essi esprimono sono per così dire frastagliate; la loro diversificazione è in relazione non solo con l'insediamento sociale, ma anche con importanti sopravvivenze di tradizioni culturali antiche. Ed è un intreccio che potrebbe avere anche un significato decisamente positivo, se si riuscisse a rendere effettivamente produttiva questa relazione tra modernità e tradizione. Si tratterebbe di recuperare una identità non del tutto perduta e coniugarla con una modernità pienamente dispiegata; se l'omologazione - come abbiamo supposto - riguarda principalmente la forma (consumi, massmedia, ecc.) e non ancora l'identità stessa in senso compiuto.

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