PADRECONTROMADRE Joaquim Maria Machado de Assis Nel 1988si celebra in Brasile il centenario della abolizione della schiavitù. Il mondo letterario è infermento e si stanno preparando non solo commemorazioni (il Brasile è stato l'ultimo dei paesi schiavisti a sopprimere la schiavitù) ma anche testi poetici e narrativi d'occasione. Ci sembra che meglio di qualunque altro testo possa ricreare il clima dei tempi de/l'abolizione questo ironico racconto del maggior narratore brasiliano, Machado de Assis, che, mulatto com'era, sentiva evidentemente il problema in forma più sottile di altri più impegnati suoi contemporanei. Il racconto Pai contra mae faceva parte della raccolta Reliquias de casa velha, che reca la data del 1906. Rita Desti. e ome sarà di certo accaduto con altre istituzioni sociali, la schiavitù portò con sé apparecchiature e strumenti suoi propri. Ne cito solo alcuni perché legati a determinati uffizi: parlo del ferro al collo, e di quello al piede; c'era poi anche la maschera di latta. La maschera faceva perdere agli schiavi il vezzo dell'ubriachezza, tappando loro la bocca. C'erano solo tre fori, due per vedere, uno per respirare ed era chiusa alla nuca con un lucchetto. Insieme al vizio del bere gli schiavi perdevano così anche la tentazione di rubare, perché di solito era con ciò che riuscivano a sottrarre al padrone che ammazzavano appunto la sete, ed ecco che venivano eliminati due peccati e assicurate sobrietà e onestà. Era grottesca quella maschera, ma l'ordine sociale e umano non sempre si può raggiungere senza il grottesco, e talvolta il crudele. I lattonieri le tenevano appese, in vendita, sulla porta dei negozi. Ma lasciamo perdere le maschere. Il ferro al collo veniva applicato agli schiavi fuggiaschi. Immaginate un grosso collare, con una grossa asta a destra o a sinistra, su fin in cima alla testa, e chiuso dietro con una chiave. Pesava, naturalmente, ma era un segnale più che un castigo. Fuggendo così, lo schiavo, dovunque andasse, dimostrava di essere un renitente e in breve veniva riacciuffato. Or è mezzo secolo gli schiavi fuggivano spesso. Erano molti e non a tutti piaceva la schiavitù. Capitava talvolta che si prendessero qualche calcio, e non a tutti piaceva prendere calci. La maggior parte veniva solo rimproverata: c'era sempre in casa qualcuno che faceva loro da padrino, e lo stesso padrone non era cattivo; inoltre, il senso della proprietà moderava l'azione, perché il denaro a volte scotta. Eppure, le fughe si ripetevano. Ci furono casi, purtuttavia rari, in cui lo schiavo, appena comprato di contrabbando al mercato del Valongo, si buttava a correre, senza neppure conoscere le strade della città. Di quelli che se ne venivano buoni buoni a casa, non era raro il caso che alcuni, appena aperto l'occhio, chiedessero al padrone di stabilire un affitto, che poi loro andavano a guadagnare fuori, lavoricchiando qua e là. Chi perdeva uno schiavo per fuga, offriva del denaro a chi glielo riconsegnasse. Metteva annunci sui giornali, con i connotati del fuggiasco, nome, abiti, difetto fisico, se l'aveva il quartiere dove viveva e l'ammontare della ricompensa. Quando non era indicato l'ammontare, c'era la promessa "si ricompenserà generosamente", oppure "riceverà una buona ricompensa". Molte volte nell'annuncio si vedeva, in alto o a fianco, una vignetta, una sagoma nera, scalza, che correva, bastone in spalla con un fardello in punta. Si protestava con tutto il rigore della legge contro chi gli desse asilo. Acchiappare schiavi fuggiaschi era quindi un mestiere di quel tempo. Non era nobile, forse, ma come strumento della forza con cui si mantengono la legge e la proprietà, possedeva un altro tipo di nobiltà, quella implicita in ogni atto di risarcimento. Non c'era nessuno che si avviasse a tal mestiere per noia o per disegno; la povertà, la necessità di un sussidio, l'inettitudine ad altri lavori, il caso, e talvolta anche il piacere di essere utili, sebbene per altri versi, vi spingevano chi si sentisse tanto energico da metter ordine al disordine. e andido Neves - familiarmente Candinho - è la persona cui è legata la ~toria di una fuga; si era ormai arreso alla povertà quando ottenne di poter accalappiare schiavi fuggiaschi. Aveva un gran difetto, quest'uomo, non riusciva a conservarsi né un impiego né un mestiere, mancava di stabilità; per lui era iella. Aveva cominciato come apprendista in tipografia, ma si era ben presto reso conto che ci voleva un certo tempo per comporre bene, e comunque non avrebbe forse guadagnato abbastanza, se lo era detto subito fra sé e sé. Lo aveva poi attirato il commercio, era un bel lavoro. Con un certo sforzo era entrato come cassiere in un negozietto. Il dovere, però, di servire tutti lo feriva nell'orgoglio e in capo a cinque o sei settimane era di nuovo in istrada di sua volontà. Impiegato d'archivio di una sezione annessa al Ministero dell'Impero, postino e altri impieghi furono lasciati poco dopo essere stati ottenuti. Quando sbocciò la passione per la giovane Clara, lui non aveva altro che debiti, anche se pochi, perché viveva con un cugino che faceva l'ebanista. Dopo vari tentativi per ottenere un impiego, decise di dedicarsi al mestiere del cugino, dal quale del resto aveva già preso alcune lezioni. Non gli costò granché prenderne altre, ma volendo imparare in fretta, imparò male. Non faceva lavori accurati né complicati, solo zampe per divani e banali intarsi per sedie. Voleva avere un lavoro per quando si fosse sposato, e il matrimonio non si fece attendere molto. Lui aveva trent'anni. Clara ventidue. Lei era orfana, viveva con una zia, Monica, con cui faceva lavori di cucito. Non cuciva tanto da non avere qualche suo amoretto, ma gli innamorati volevano solo ammazzare il tempo; non avevano altro scopo. Al pomeriggio passavano, la guardavano a lungo, lei guardava loro, fino a che la sera la costringeva a tornare al cucito. Nessuno, peraltro, le sembrava che le lasciasse un po' di nostalgia o l'accendesse di desiderio. Di molti, forse, non sapeva neanche il nome. Voleva sposarsi, certo. Come le diceva la zia era come pescare con la lenza, per vedere se mai qualche pesce abboccasse, ma il pesce passava 47
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