Linea d'ombra - anno VI - n. 25 - marzo 1988

Nacfa Sono passati 10 anni da quando l'aviazione etiopica ha trasformato Nacfa in una città fantasma, eppure queste rovine calcinate dal sole e dalle bombe sembrano vecchie di secoli. Rasa al suolo ma mai conquistata Nacfa è diventata il simbolo di una lotta di liberazione che dura da 27 anni, la più lunga, la più dimenticata guerra d'Africa. Nel 1978 i guerriglieri del Fronte Popolare di Liberazione Eritreo avevano liberato 1'80% del territorio ma l'intervento dei Russi a fianco dei colonnelli etiopici li costrinse alla ritirata. Da allora otto grandi offensive etiopiche si sono frantumate contro queste montagne lasciando sul terreno migliaia di morti. Da allora i MIG ritornano a intervalli regolari a bombardare Nacfa, a rinnovare con rito ossessivola promessa di sterminio che incombe sull'Eritrea. Frontline Le montagne circondano Nacfa come un cerchio di pietra: è il "gate", come lo chiamano qui, il cancello di roccia che ha respinto otto offensive etiopiche. Fra la città fantasma e il fronte c'è solo un'ora di cammino, in una terra vuota cosparsa di bossoli e di alberi morti. In queste zone intermedie che sembrano le pendici di un vulcano, i canyon scavati dall'acqua devastano le trincee abbandonate delle precedenti offensive. Enormi bombe piovute chissà da dove costeggiano il sentiero, sparse un po' dovunque. Dopo, inizia "den den", la prima linea, 400 km di trincee scavate nella roccia sull'orlo dell'ignoto. Siamo a 400 metri dalle linee etiopiche. Da queste montagne rossicce partirà forse la nona offensiva, l'ultimo tentativo della Giunta Militare di dare una "soluzione finale" alla questione Eritrea. La stanno preparando da 2 anni e avrebbe dovuto celebrare i 13 anni della "rivoluzione socialista". In realtà nessuno sa quando partirà l'attacco, le guerre d'Africa hanno tempi imprevedibili, ma come nei precedenti assalti, ogni combattente sa che non può arrendersi, che preso prigioniero verrebbe torturato e ucciso. "Re del mare" Bersagliate dal sole e dai cecchini etiopici le trincee hanno nomi italiani: una si a chiama "Fornello", l'altra "Rigore". Per conoscere la "punizione" basta sollevare la testa di dieci centimetri ... Pochi metri sotto, lungo la pietraia che precipita verso l'Etiopia, giacciono i soldati morti della precedente offensiva. Sono ancora aggrappati ai kalashnikov e il sole li ha mummificati nell'ultimo gesto di un assalto suicida. "Erano dei Galla" ci dice la nostra guida, "solo in questa zona ne abbiamo uccisi più di mille'' ... li nome in codice òt>ll'at.t.acco era "Bahari negash": " Re del mare". STORIE/LOMBIUI Fame La carestia in Etiopia è stata una tragedia in mondovisione. Mentre i deportati della fame di Khorem e Makallé aumentavano a tal segno da confondersi con i puntini dello schermo tv, migliaia di cifre - sui morti, sui salvati, sui soccorsi, sugli ammalati ecc. - accompagnavano nel tempo quell'unica immagine (sempre la stessa) di migliaia di fantasmi che si spegnevano giorno per giorno, sino a raggiungere la cifra, senza immagine, di un milione di morti. In Eritrea !'apocalissi della fame si è compiuta in silenzio, senza immagini e senza cifre. Qui nell'85 la carestia minacciava 400.000 persone ma nessuno sa quanti eritrei sono morti. Si sa soltanto che il governo etiopico ha impedito con ogni mezzo che gli aiuti raggiungessero le zone controllate dalla guerriglia, usando la carestia come arma politica. "Un milione di morti non sarebbe troppo" disse un giorno Menghistu, "per il trionfo della rivoluzione in Etiopia". Swakim Da quattro secoli le moschee di Swakim sono granai di silenzio dove echeggia solo il grido dei gabbiani. La città dei pirati che spazzavano la costa sino al Madagascar, continua a franare nel Mar Rosso sin dal giorno in cui venne bombardata quattrocento anni fa. La clinica del Fronte Eritreo sorge qui, sul bordo del mare; ospita i grandi invalidi quasi tutti ventenni - di una guerra nata prima di loro. Una guerra biblica, che li ha gettati fuori del tempo, pensionandoli a 20 anni in una città morta. Le mine antiuomo e le bombe a frammentazione li hanno resi paraplegici e solo nell'acqua e nei bagni possono trovare il ricordo di quei movimenti che la guerra ha reso impossibili. Alcuni hanno i parenti ad Asmara ma non li vedono più da anni, altri appartengono a tribù nomadi disperse su distanze infinite da un conflitto senza frontiere. I più fortunati si spostano in carrozzella, gli altri invecchiano sul bordo del mare cullati dalla brezza della città fantasma.

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